Le strutture pastorali personali: unità e pluralità nella comunione ecclesiale

 

In «Veritas et Jus», 9 (2014), pp. 55-72

Arturo Cattaneo

Un aspetto caratteristico della legislazione postcodiciale è la creazione di diverse strutture pastorali1 che trascendono l’ambito diocesano e sono circoscritte principalmente sulla base di un criterio personale: la prelatura personale, l’ordinariato militare e l’ordinariato personale2. Per quanto riguarda l’ambito diocesano non sono invece una novità le parrocchie personali e l’organizzazione della pastorale categoriale con rispettivi cappellani (per ospedali, scuole, carcerati ecc.).

Uno dei compiti dell’ecclesiologia e della canonistica è l’adeguato inquadramento di tali strutture nell’insieme della Chiesa, che è fondamentalmente costituita da Chiese locali, organizzate sulla base del principio territoriale. Ciò significa armonizzare unità e varietà nella Chiesa, o – come ha osservato la Lettera Communionis notio – promuovere «una diversificazione che non ostacola l’unità ma la arricchisce», poiché il carattere di comunione proprio della Chiesa comporta «una pluralità e una diversificazione» (n. 16)3.

1. La distinzione fra strutture territoriali e personali

Nell’organizzazione della pastorale, il Vaticano II ha ricordato la priorità che va riconosciuta all’elemento comunitario su quello territoriale. Ciò si manifesta, per esempio, nella concezione della Chiesa locale quale «porzione del popolo di Dio»4 e della parrocchia quale «comunità di fedeli» (can. 515 §1). L’aver abbandonato la prospettiva territorialista per seguirne una personale o comunionale è stato riconosciuto quale importante progresso conciliare5. Ciò non significa che il Concilio neghi l’importanza del territorio nella determinazione di una Chiesa particolare, come più avanti si preciserà.

A proposito della distinzione fra strutture o circoscrizioni territoriali e personali va anzitutto ricordato il fatto che i due criteri si trovano spesso collegati, non esistendo fra di essi una contrapposizione nel senso di un aut aut. Infatti, come giustamente è stato fatto notare, «tutte le circoscrizioni ecclesiastiche debbono considerarsi personali, in quanto sono essenzialmente comunità di persone»6. Del resto, anche il domicilio – quale criterio delimitante – è, almeno in parte, personale, nel senso che trascende la delimitazione territoriale, come indica il can. 136 CIC. I fedeli di una Chiesa locale rimangono quindi, in buona parte, soggetti alla potestà del proprio vescovo anche quando si trovano al di fuori dei limiti territoriali della diocesi.

D’altro lato, anche le circoscrizioni personali non prescindono completamente dal territorio. La loro Chiesa-sede, la curia e l’eventuale seminario hanno una certa rilevanza territoriale in modo tale che colui che presiede la circoscrizione ha in quei luoghi le competenze proprie dell’ordinario del luogo. Inoltre, le circoscrizioni personali sono spesso delimitate anche territorialmente. In realtà, come A. Viana ha osservato, «la personalità non è un’alternativa generale alla territorialità ma un complemento o un prolungamento, presupponendo sempre l’inserimento degli uomini in comunità locali»7. Perciò, conclude questo autore, «il termine chiave per parlare delle relazioni fra territorialità e personalità è quello di complementarità»8.

La delimitazione personale non può quindi essere intesa come un’eccezione rispetto a quella territoriale; essa costituisce piuttosto un suo utile complemento. Per i fedeli delle strutture personali – almeno nell’ambito della Chiesa latina – si avrà quindi normalmente un’appartenenza primaria o originaria alla Chiesa locale e un’appartenenza complementare alla struttura personale. Ne consegue la necessità di un adeguato coordinamento fra le due giurisdizioni.

Le strutture pastorali personali vanno perciò definite quali comunità di fedeli delimitate principalmente sulla base di una condizione personale dei rispettivi fedeli, la cui cura pastorale è affidata a un pastore proprio, sotto l’autorità del Romano Pontefice.

Si può anche notare che la delimitazione personale-territoriale è predominante nelle Chiese di rito orientale (eparchie e esarcati), i cui fedeli sono determinati, oltre che dal rito, anche da un territorio (che può comprendere quello di una nazione o anche di un’area più vasta, come per esempio l’America latina).

Non esiste nessuna Chiesa particolare circoscritta unicamente sulla base del rito o di altro simile criterio personale (cfr. can. 372 §2), dato che esso viene sempre combinato con un territorio. Il motivo di questo fatto risiede, a mio parere, nella necessità che la Chiesa particolare costituisca una porzione del popolo di Dio che possa aderire al suo pastore ed essere «da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Vangelo e l’Eucaristia» (CIC, can 369). Ciò risulterebbe quanto mai difficile da attuare se la porzione del popolo di Dio fosse estesa in tutto il mondo.

In questo contributo, pur senza dimenticare la realtà delle Chiese orientali, nelle quali il criterio di delimitazione basato sul rito ha una notevole rilevanza, rivolgerò l’attenzione alle strutture della Chiesa latina.

2. La giusta flessibilizzazione dell’organizzazione territoriale

La concezione comunionale della Chiesa ha permesso al Vaticano II di superare quella visione gerarcologica e territorialista che considerava la diocesi quale territorio soggetto a un vescovo, concezione che si riflette chiaramente nel CIC/17, can. 216 §19. Nella visione conciliare, l’attenzione è invece centrata sul popolo di Dio, ossia sulla comunità di fedeli strutturata organicamente, all’interno della quale – e al suo servizio – si situa il ministero gerarchico. Di conseguenza, la Chiesa locale è definita anzitutto quale «portio Populi Dei»10 e il territorio ne costituisce solo un elemento determinativo.

Il can. 372 §1 prescrive: «Pro regula habeatur ut portio populi Dei quae dioecesim aliamve Ecclesiam particularem constituat, certo territorio circumscribatur, ita ut omnes comprehendat fideles in territorio habitantes». Di conseguenza, l’erezione di diverse Chiese particolari sullo stesso territorio costituisce un caso in un certo senso eccezionale11.

Va anche osservato che solo in epoca relativamente recente, si sono iniziate a costituire in uno stesso territorio Chiese particolari distinte secondo il rito. Ciò si è verificato soprattutto in alcuni paesi del Medio oriente, ma anche in paesi dell’Europa settentrionale, negli Stati Uniti, nel Canada, in alcune regioni dell’India e in alcuni paesi d’America latina. Il fenomeno è iniziato nel XVII-XVIII secolo, quando parti di Chiese orientali ritornarono alla piena comunione con la Chiesa cattolica. Il fenomeno si è incrementato nel XIX e XX secolo per via dell’emigrazione di fedeli cattolici di rito orientale soprattutto verso paesi occidentali.

I motivi che hanno spinto la Chiesa a introdurre una certa flessibilità nel principio territoriale – anche se in via un po’ eccezionale per quanto riguarda le Chiese particolari – sono evidentemente di carattere pastorale. Il Concilio parla di «provvedere alle necessità dei fedeli di rito orientale» (CD 23); altrove riconosce che a volte «lo richiede il bene spirituale dei fedeli» (EO 4).

Questa flessibilizzazione del principio territoriale pone due interrogativi. Da un lato quello circa il perché la Chiesa continui a riconoscere il criterio territoriale quale base della sua articolazione, mentre quello personale è considerato, in un certo senso, eccezionale; d’altra parte ci si può chiedere se, e in che misura, la Chiesa potrebbe accogliere, oltre al rito, altri criteri di tipo personale nella determinazione delle Chiese particolari. In tal senso, viene spesso ricordato che il CIC nel §2 del succitato can. 372 afferma: «Tuttavia, dove a giudizio della suprema autorità della Chiesa, sentite le Conferenze Episcopali interessate, l’utilità lo suggerisca, nello stesso territorio possono essere erette Chiese particolari distinte sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi». Il Codice non specifica quali possano essere questi «altri simili motivi», non sorprende quindi che ciò abbia suscitato un certo dibattito. È stato fatto notare che l’aggettivo simili «sembrerebbe restringere i casi nei quali è legittima l’erezione di Chiese particolari personali a situazioni analoghe a quelle delle diversità di rito e quindi sulla base di ragioni identificative di carattere esclusivamente intra-ecclesiale»12. Ci si può quindi porre la domanda circa la possibilità/convenienza di creare – oltre a quelle determinate per il rito – altre Chiese particolari di tipo personale. Così sembra essere stato concepito – anche se suscitando alcuni problemi – l’ordinariato personale, come poi si vedrà.

Il fatto che il Vaticano II e il Codice continuino a considerare la territorialità quale criterio prioritario nella determinazione delle Chiese particolari ha ovvi motivi di tipo pratico. La scelta dei criteri per circoscrivere una Chiesa particolare non può tuttavia essere unicamente dettata dalla praticità, dato che essi dovranno rispettare la natura della Chiesa particolare o, detto con altre parole, il contenitore deve essere adeguato al contenuto. Occorrono perciò criteri adeguati a quella esigenza di fondo essenziale ad ogni Chiesa particolare, che possiamo così sintetizzare: rendere presente e operante la Chiesa di Cristo nella sua unità e cattolicità, o – in termini conciliari – far sì che in essa «vere inest et operatur Una Sancta Catholica et Apostolica Christi Ecclesia» (CD 11, cfr. CIC can. 369).

Che ogni Chiesa particolare sia chiamata a promuovere l’unità e la cattolicità è corroborato da altre affermazioni conciliari che sottolineano la presenza della pienezza degli elementi ecclesiali in ogni Chiesa particolare (cfr. ad esempio LG 26 e AG 20). Precipuamente va qui richiamata la mutua immanenza fra Chiesa universale e Chiesa particolare (cfr. LG 23), secondo cui non solo la Chiesa universale tende verso la piena unità e cattolicità, ma anche ogni Chiesa particolare. Di ognuna di esse si deve quindi poter dire che «parla tutte le lingue, comprende e abbraccia nella sua carità tutte le lingue, superando così la dispersione babelica» (AG 4); che raggiunge penetra e assume le diversità umane «nella pienezza cattolica» (AG 6)»; che fonde «insieme (in unum congregans) tutte le differenze umane che vi si trovano inserendole nell’universalità della Chiesa» (AA 10); che «assume tutte le capacità, le risorse e le consuetudini di vita dei popoli, nella misura in cui sono buone, e assumendole le purifica, le consolida e le eleva. La Chiesa si ricorda di dover raccogliere insieme con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2, 8), e nella cui città vengono portati doni e offerte (cfr. Sal 71, 10; Is 60, 4-7; Ap 21, 24). Questo carattere di universalità che adorna il popolo di Dio è un dono del Signore; mediante esso la Chiesa cattolica tende efficacemente e perpetuamente a ricapitolare tutta l’umanità e i suoi beni sotto il Cristo capo, nell’unità del suo Spirito» (LG 13).

Si può quindi concludere che la territorialità ha il pregio di essere il criterio che meglio risponde all’esigenza di garantire che una Chiesa particolare sia potenzialmente aperta ad accogliere la «diversità di ministeri, carismi, forme di vita e di apostolato»13, ossia quella molteplicità di elementi che edificano, in diverso modo, la Chiesa di Cristo, attuandola nella sua unità e cattolicità. Questa esigenza implica che sarebbe ecclesiologicamente improponibile determinare una Chiesa particolare con criteri fondati su condizioni personali di tipo umano quali la nazionalità, la razza, la lingua, il sesso, l’età, lo stato civile, la professione…; o con criteri di tipo soprannaturale quali una particolare vocazione o missione. Nella determinazione territoriale della Chiesa particolare può quindi essere vista una garanzia della sua pienezza di cattolicità e una manifestazione di quello spirito di Pentecoste che assume ogni tipo di legittima differenza nell’unità.

In questa prospettiva si comprende anche perché gli ecclesiologi preferiscano l’espressione «Chiesa locale» a quella di «Chiesa particolare»14. La prima mette infatti in maggior rilievo l’aspetto di convocazione ecclesiale completa, e non parziale, che concretamente si attua in luoghi determinati, traducendo con maggior forza la dimensione incarnazionistica della Chiesa.

3. Il perché delle strutture pastorali personali

Il criterio personale nella determinazione delle strutture pastorali trova la sua ragion d’essere nelle molteplici esigenze pastorali alle quali deve rispondere l’organizzazione ecclesiastica. A tal proposito va osservato che siamo passati da un’epoca in cui la stabilità territoriale era assai marcata a un modus vivendi caratterizzato da una sempre maggiore mobilità. Il fenomeno migratorio e altri fattori di tipo sociale e professionale hanno fatto sorgere esigenze pastorali di tipo personale e di ambito transdiocesano. Lo «spazio umano» è oggi determinato non solo dal domicilio, ma sempre più anche da altri criteri quali la professione, gli interessi comuni, o altre diverse circostanze personali. Nello svolgimento della sua missione la Chiesa deve naturalmente tener conto di tutto ciò. In questa prospettiva si apprezza il valore delle strutture pastorali personali destinate ad attuare una determinata opera pastorale in seno a diverse Chiese locali.

Nell’ambito diocesano esiste da tempo la pastorale categoriale. Basti ricordare le parrocchie personali, i vicari episcopali o i cappellani al servizio di scuole, ospedali, carceri, ecc. Ma le nuove sfide pastorali provenienti dall’accresciuta mobilità umana trascendono spesso gli ambiti diocesani. La Chiesa si è quindi dotata di circoscrizioni personali, che sono strutture flessibili in grado di assolvere tali compiti. Naturalmente deve trattarsi di necessità pastorali che, per la loro importanza e le loro caratteristiche, siano tali da non essere facilmente assolte dalle singole diocesi. Le circoscrizioni personali non sono quindi concepite per essere «indipendenti» dal vescovo diocesano, ma piuttosto per svolgere un’attività complementare a quella svolta dalla diocesi, coordinandosi con la pastorale ordinaria di ogni Chiesa locale. Queste strutture si caratterizzano per il fatto che i fedeli da esse interessati o coinvolti rimangono fedeli appartenenti alla rispettiva Chiesa locale. Un’eccezione sembra costituire l’ordinariato personale.

Per una comprensione ecclesiologica delle strutture personali va osservato che, mentre le circoscrizioni territoriali costituiscono manifestazioni – istituzionalmente più o meno complete – della Chiesa locale (cfr. can. 368 CIC), le circoscrizioni personali sono ad esse complementari. Non sono quindi Chiese locali, pur presentando elementi comuni con queste ultime. Seguendo gli spunti offerti da diversi autori, e in modo particolare da J. Hervada15, queste figure possono quindi denominarsi «comunità complementari», un’espressione che esprime sia la loro differenza con le Chiese locali, sia il loro inserimento in esse.

a. Gli elementi comuni con le Chiese locali

Come le Chiese locali, anche le strutture pastorali personali sono comunità di fedeli strutturate gerarchicamente (pastore-presbiterio-fedeli) sulla base dell’originario dinamismo della Chiesa, costituito dalla correlazione sacerdozio comune-sacerdozio ministeriale. Si comprende così perché tutte queste figure vengano incluse nel genere «circoscrizioni ecclesiastiche», terminologia usata, ad esempio, dall’Annuario pontificio e dall’Annuarium statisticum Ecclesiae.

Questo elemento comune, che caratterizza sia le circoscrizioni personali, sia le Chiese locali, fonda e spiega numerosi altri aspetti comuni, fra i quali si possono rilevare: la possibilità di avere un seminario; la dipendenza dalla Congregazione per i vescovi16; l’esistenza di una Chiesa-sede, eretta o costituita dal romano pontefice insieme con l’erezione della circoscrizione. Conseguenza di tutti questi aspetti comuni è la già menzionata possibilità di una equiparazione in iure e l’esistenza di una terminologia comune osservabile in termini quali: prelato, vicario, presbiterio, seminario, fedeli, ecc. Ciò non toglie che il significato esatto di ognuno di questi termini acquisti connotati un po’ diversi, a seconda delle caratteristiche della figura cui fa riferimento.

b. Le differenze fra Chiese locali e strutture personali

Insieme agli elementi comuni, ci sono importanti differenze; quella fondamentale risiede nella loro diversa finalità che si ripercuote nella rispettiva sostanza teologica. Ciò è particolarmente chiaro per le circoscrizioni prettamente personali. Nelle altre tale differenza può essere in alcuni casi più sfumata. Va infatti ricordato che le Chiese locali sono costituite da una porzione del popolo di Dio la cui finalità è di rendere presente e operante «la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica» (CD 11). Esse sono perciò chiamate ad attuare la missione della Chiesa di Cristo nella sua pienezza. Le circoscrizioni personali interessano invece fedeli appartenenti alle diverse porzioni del popolo di Dio, svolgendo una finalità specifica o peculiare al servizio delle rispettive Chiese locali.

Si comprende così perché i fedeli raggruppati in tali circoscrizioni debbano necessariamente appartenere anche a una Chiesa locale. Di conseguenza – è stato pure fatto notare –, le circoscrizioni personali «rispondono ad un momento organizzativo della gerarchia episcopale che, si potrebbe dire, “successivo” o “susseguente” rispetto a quello originario-sacramentale che propriamente dà origine alle Chiese particolari in senso stretto»17.

Oltre alla diversa finalità si osserva anche – come conseguenza – una diversità per quanto riguarda sia l’appartenenza ai due tipi di circoscrizioni, sia la potestà dei rispettivi pastori. L’appartenenza dei fedeli a una determinata Chiesa locale costituisce una necessità fondamentale per ogni fedele. Infatti, la Chiesa di Cristo, nella sua fase storica, è originariamente strutturata secondo la duplice modalità di Chiesa universale e di Chiesa particolare. Di conseguenza, l’incorporazione alla Chiesa ha un duplice aspetto: si appartiene alla Chiesa universale, ma anche a una determinata Chiesa particolare. Un documento autorevole ha spiegato l’incorporazione battesimale alla Chiesa «come un solo ed unico atto, con duplice dimensione, universale e locale. […] In questo senso, l’incorporazione alla Chiesa universale è tanto immediata quanto quella ad una Chiesa particolare»18. La mutua immanenza fra Chiesa universale e locale, che emerge nell’affermazione secondo cui nella Chiesa locale «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica» (CD 11), implica la «cattolicità antropologica» della Chiesa locale, ossia la sua potenziale apertura ad accogliere tutta la varietà di situazioni personali, carismatiche e vocazionali che possono darsi nella Chiesa.

Nelle circoscrizioni personali, conseguentemente alla specificità del compito pastorale loro affidato, tale apertura a ogni situazione personale e vocazionale non sarà normalmente né essenziale, né necessaria. Ciò è ben chiaro per la prelatura personale finora eretta, ma lo è anche per l’ordinariato militare. Infatti, benché in esso possano essere incluse anche persone che hanno rapporti con i militari, come nel caso di membri di istituti di vita consacrata che collaborano con i fini dell’ordinariato militare, non sembra ragionevole pensare che l’ordinariato militare debba – ad esempio – poter accogliere la varietà della vita religiosa contemplativa.

4. La complementarità delle strutture personali

Le circoscrizioni personali possono perciò essere chiamate «comunità complementari», manifestando così la differenza ecclesiologica esistente fra esse e le Chiese locali, le quali costituiscono invece sempre «comunità originarie» o fondamentali. I fedeli delle circoscrizioni personali sono, infatti, anzitutto fedeli di una determinata Chiesa locale, e continuano a esserlo anche dopo il loro eventuale inserimento in una circoscrizione personale. Nel caso di queste comunità complementari, la Santa Sede non crea quindi una porzione del popolo di Dio a sé stante e affidata alla piena e originaria cura pastorale di un pastore, come avviene nel caso delle Chiese locali. I fedeli che si beneficiano della loro peculiare opera pastorale – è stato precisato per gli ordinariati militari – «non cessano di essere fedeli di quella Chiesa particolare del cui popolo, in ragione del domicilio o del rito, costituiscono una porzione»19. È quanto avviene anche nella prima e finora unica prelatura personale che sia stata eretta, quella dell’Opus Dei. La costituzione apostolica Ut sit, specifica che la giurisdizione della prelatura personale si estende ai laici che si dedicano alle opere apostoliche «limitatamente all’adempimento dei peculiari obblighi che essi hanno assunto con vincolo giuridico»20. La Congregazione per i vescovi ha precisato che «i laici incorporati alla prelatura dell’Opus Dei rimangono fedeli delle singole diocesi nelle quali hanno il proprio domicilio o quasi-domicilio, sono quindi sottoposti alla giurisdizione del Vescovo diocesano in tutto quanto il diritto stabilisce per la generalità dei semplici fedeli»21.

Le modalità giuridiche del servizio prestato dalle circoscrizioni personali alle Chiese locali e la potestà dei rispettivi pastori saranno stabilite negli statuti dati dalla Santa Sede a ogni circoscrizione personale. La peculiarità del loro compito pastorale può essere determinata sia dal tipo di fedeli (una determinata categoria), sia dal tipo di servizio pastorale che viene offerto. Ciò porta con sé anche una diversità nella composizione della comunità di fedeli.

La diversa sostanza teologica delle Chiese locali e delle circoscrizioni personali si riflette anche sulla potestà dei rispettivi pastori. Nel caso delle Chiese locali, il pastore, cui è affidata una determinata porzione del popolo di Dio, la pasce (iure divino) con una potestà che si può conseguentemente chiamare esclusiva o, in modo forse più adeguato, originaria. La sua potestà – di per sé – non è infatti concorrente con quella di altri pastori. Mi riferisco con questa espressione ai casi in cui esiste una pluralità di giurisdizioni su dei medesimi fedeli e non uso quindi il termine nel significato tecnico-giuridico proprio dell’ambito processuale.

La potestà del pastore di circoscrizioni personali è invece coordinata (iure ecclesiastico) con quella del pastore delle rispettive Chiese locali. Il coordinamento fra le due potestà può, a sua volta, tradursi in una potestà cumulativa (se le due potestà si riferiscono alle stesse materie) o non cumulativa – a volte chiamata anche mista – (se le due potestà si riferiscono ad ambiti materialmente diversi, sempre però in riferimento a ciò che può essere competenza della potestà sacra). Il primo caso si verifica negli ordinariati militari e in alcuni ordinariati per fedeli di rito orientale (per esempio nell’ordinariato eretto in Francia), il secondo caso si verifica nella prelatura dell’Opus Dei.

La complementarità delle circoscrizioni personali si riflette anche sul diverso grado di esigenza dell’episcopato per il proprio pastore con rispetto a quanto vale per le Chiese locali pienamente costituite, nelle quali tale esigenza è una necessità. Per le comunità complementari si tratta invece di una convenienza, più o meno grande a seconda della rilevanza ecclesiale di ciascuna di esse.

Malgrado queste importanti differenze va riconosciuta una notevole analogia fra le circoscrizioni personali e le Chiese locali. Ciò costituisce il fondamento per l’equiparazione giuridica – non teologica – che per diversi aspetti si può stabilire fra esse.

Le circoscrizioni personali vanno quindi considerate quali sviluppi storici dell’organizzazione pastorale della Chiesa universale. Ai pastori che le presiedono viene affidata una missione – e viene loro concessa la necessaria giurisdizione – affinché, convocando ministri e laici, la possano attuare nelle Chiese locali e in comunione con l’ordinario del luogo, secondo il coordinamento stabilito dalla Santa Sede. A tal riguardo, è interessante ricordare quanto affermato dalla già citata Lettera Communionis notio: «È necessario considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall’Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano. Tale appartenenza alle Chiese particolari, con la flessibilità che le è propria, trova diverse espressioni giuridiche. Ciò non solo non intacca l’unità della Chiesa particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a quest’unità l’interiore diversificazione propria della comunione» (n. 16). In quanto alla loro origine (la Sede apostolica) queste circoscrizioni sono istituzioni della Chiesa universale; per il loro dinamismo pastorale – dato che i loro membri sono anche fedeli delle Chiese locali nelle quali risiedono – esse esistono e operano nel seno delle porzioni del Popolo di Dio. La Chiesa universale infatti – come ha insegnato il Vaticano II – existit, inest et operatur (cfr. LG 23 e CD 11) in ogni Chiesa locale.

Si può perciò concludere che il criterio personale, che ha limiti evidenti quale criterio per circoscrivere le Chiese locali, trova invece nella determinazione delle strutture personali l’ambito adeguato per una sua piena valorizzazione al servizio di una pastorale flessibile, qualificata e personalizzata. Tali comunità, infatti, non solo non intaccano l’unità teologico-sacramentale della Chiesa locale fondata nel Vescovo, bensì contribuiscono a dare a quest’unità – come il magistero ha fatto notare – «l’interiore diversificazione propria della comunione»22. In tal senso è stato fatto notare che le strutture personali «non costituiscono un’eccezione ma un complemento organizzativo di cui l’organizzazione territoriale, in determinate circostanze, può aver bisogno per motivi pastorali e apostolici»23.

5. Il caso singolare degli ordinariati personali

Benedetto XVI con la Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus (4 XI 2009) ha previsto l’istituzione di ordinariati personali per i fedeli anglicani che desiderano entrare, anche corporativamente, in piena comunione con la Chiesa cattolica. Nella stessa data, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha emanato Norme complementari riguardanti tali ordinariati24. Successivamente sono stati eretti l’ordinariato personale per l’ambito della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles25 e poi quello nel territorio della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America e quello per l’Australia26. I tre Decreti di erezione sono sostanzialmente equivalenti e in tutti e tre si afferma che se un fedele vuole lasciare l’ordinariato, deve rendere nota tale decisione al proprio ordinario e diviene «automaticamente un membro della diocesi in cui risiede»27. Questa affermazione indica che i fedeli dell’ordinariato personale vengono considerati unicamente quali membri di quest’ultimo, avendo l’ordinario personale potestà esclusiva nei loro confronti28. L’ordinariato personale è quindi concepito quale Chiesa particolare.

È questo ciò che rende singolare la configurazione di questa struttura personale, differenziandola dalle altre strutture personali. Esse sono infatti – come si è visto – strutture complementari alle Chiese particolari e, di conseguenza, i loro fedeli appartengono ad entrambe le circoscrizioni (quella locale e quella personale) e l’ordinario della struttura personale non gode di potestà esclusiva (come l’ordinario locale) ma cumulativa o concorrente.

A prima vista si potrebbe pensare che gli ordinariati personali costituiscono una nuova Chiesa sui iuris, quella di rito anglicano. In effetti la Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus afferma che «… l’Ordinariato ha la facoltà di celebrare l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, la Liturgia delle Ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, in modo da mantenere vive all’interno della Chiesa cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione Anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere» (III).

Gli autori sono tuttavia concordi nel negare tale possibilità29, riconoscendo che si tratta di una liturgia compresa all’interno della Chiesa latina, nella quale esiste una piccola varietà, basti pensare a riti sopravvissuti come il mozarabico o l’ambrosiano e ora anche al rito straordinario (liturgia anteriore al 1970). Di fatto il CIC non prevede la possibilità che all’interno della tradizione latina vengano erette Chiese sui iuris.

Il CIC, nel già citato can. 372 §2, prevede comunque che «nello stesso territorio possono essere erette Chiese particolari distinte sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi». Si è fatto notare che l’aggettivo simili sembrerebbe richiedere situazioni analoghe a quelle delle diversità di rito e quindi di carattere esclusivamente intra-ecclesiale, come effettivamente si osserva in questo caso.

Ciò non elimina tuttavia alcune perplessità nei confronti di una concezione degli ordinariati personali come Chiese particolari. Dal punto di vista canonico, la perplessità è stata ben sintetizzata da E. Baura, il quale conclude uno studio sugli aspetti canonici (problematici) della nuova figura, osservando che il problema di fondo si incontra «nell’aver voluto seguire come modello la Cost. ap. Spirituali militum curae30, però con l’intenzione (così parrebbe) di creare una giurisdizione esclusiva»31. Ciò ha determinato «una tensione interna che si riverbera in alcune difficoltà pratiche a livello giuridico»32.

Anche dal punto di vista ecclesiologico, la considerazione di questi ordinariati personali quali Chiese particolari suscita qualche perplessità. Il loro obiettivo è infatti quello di accompagnare i fedeli provenienti dall’anglicanesimo verso una piena integrazione nella Chiesa cattolica, come del resto è manifestato sia dalla Cost. ap. Anglicanorum coetibus33, sia dalle Norme complementari34. La creazione di Chiese particolari – con la potestà esclusiva del loro ordinario – tende invece a «isolare» tali fedeli dal resto dei fedeli cattolici. Gli ordinariati personali sono chiamati «ad avviare un processo di integrazione che in seguito dovrà essere monitorato attentamente e incanalato nel giusto verso»35. Sembra quindi ragionevole chiedersi se essi non compirebbero meglio il loro compito, concedendo al loro ordinario una potestà cumulativa, in modo che costituiscano strutture complementari alle Chiese locali.


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1 Con l’espressione «struttura pastorale» si intende qui una comunità di fedeli affidata a un pastore proprio. Non entrano perciò in considerazione le «strutture gerarchiche di governo» che non esercitano una diretta cura pastorale come sono, ad esempio, la Curia romana, la Conferenza episcopale, ecc.

2 Si potrebbero qui menzionare anche gli ordinariati per fedeli di rito orientale, che ebbero origine nel 1912, ma si diffusero negli anni ‘50. Costituiscono una struttura pastorale della Chiesa latina – non contemplata nel CIC – per fedeli orientali che si trovano in regioni senza gerarchia propria nel luogo. Nella maggior parte dei casi l’ordinario rituale ha potestà cumulativa con quella degli ordinari locali, ma a volte la sua potestà è esclusiva (per es. quello dell’Argentina), costituendo in tal caso un tipo di Chiesa particolare.

3 Lettera Communionis notio (=CN) della Congregazione per la Dottrina della Fede, su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione (28.V.1992). Mi sono occupato del tema nella monografia Unità e varietà nella comunione della Chiesa locale. Riflessioni ecclesiologiche e canonistiche, Venezia 2006.

4 Cfr. soprattutto LG 23 e 28. Ciò è stato ripreso dal CIC nel can. 369. Nel CIC 1917 la Chiesa particolare veniva ancora definita sulla base di un territorio (cfr. can. 216 §1).

5 Cfr. ad esempio A. del Portillo, Dinamicidad y funcionalidad de las estructuras pastorales, in «Ius Canonicum» 9 (1969) pp. 305-329.

6 J.I. Arrieta, Le circoscrizioni personali, in «Fidelium Iura» 4 (1994) p. 212.

7 A. Viana, Derecho Canónico territorial. Historia y doctrina del territorio diocesano, Pamplona 2002, pp. 316-317.

8 Ibid.

9 La concezione territorialista del CIC 17 emerge in molti altri canoni nei quali – a proposito dei pastori – si parla del «proprio territorio».

10 CD 11 e CIC, can. 369.

11 Cfr. W. Aymans-K. Mörsdorf, Kanonisches Recht. Lehrbuch aufgrund des Codex Iuris Canonici, vol. II, Paderborn 1997, pp. 317 e 327.

12 Secondo G. Dalla Torre, l’aggettivo simili «sembrerebbe restringere i casi nei quali è legittima l’erezione di Chiese particolari personali a situazioni analoghe a quelle delle diversità di rito e quindi sulla base di ragioni identificative di carattere esclusivamente intra-ecclesiale»: G. Dalla Torre, Le strutture personali e le finalità pastorali, in Aa.Vv., I principi per la revisione del Codice di Diritto Canonico. La recezione giuridica del Concilio Vaticano II, a cura di J. Canosa, Milano 2000, p. 570.

13 Lettera Communionis notio, cit., n. 15.

14 Nel Vaticano II le due espressioni sono usate come sinonimi e così anche nei documenti del magistero postconciliare. Il CIC ha invece optato per usare solo l’espressione Chiesa particolare. Sul tema cfr. A. Cattaneo, La Chiesa locale. I fondamenti ecclesiologici e la sua missione nella teologia postconciliare, Città del Vaticano 2003, pp. 10 e 31-44.

15 Cfr. Diritto costituzionale canonico, Milano 1989, pp. 308-313.

16 O da quella per l’Evangelizzazione dei popoli per le circoscrizioni erette in territori di missione, o da quella per le Chiese orientali per le circoscrizioni erette nell’ambito delle Chiese orientali o per fedeli di rito orientale.

17 J.I. Arrieta, Le prelature personali e le loro relazioni con le strutture territoriali, ne «Il Diritto Ecclesiastico» 112 (2001) p. 24.

18 *** La Chiesa come comunione. A un anno dalla pubblicazione della Lettera Communionis notio, ne «L’Osservatore Romano», 23 giugno 1993.

19 Costituzione ap. Spirituali militum curae, pubblicata in AAS 78 (1986) IV §3.

20 Costituzione ap. Ut sit, pubblicata in AAS 75 (1983) p. 423, III.

21 Congregazione per i vescovi, Dichiarazione Praelaturae personales, IV, C, in AAS 75 (1983) I, p. 466.

22 Lettera Communionis notio, cit., n. 16.

23 A. Viana, Derecho Canónico territorial, cit., p. 318.

24 Cfr. «L’Osservatore Romano» (9-10 novembre 2009) p. 7.

25 In data 15.I.2011 è stato eretto l’Ordinariato personale «Our Lady of Walsingham».

26 In data 1.I.2012 è stato eretto l’Ordinariato personale per gli USA e il 15.VI.2012 quello per l’Australia.

27 L’affermazione si trova nei tre Decreti: nel n. 10 del primo e del terzo Ordinariato e nel n. 2 del secondo.

28 Alcuni autori hanno manifestato un certo disaccordo su questo punto: cfr. Arrieta, Parlato e Huels. Personalmente mi sembra più condivisibile la posizione di E. Baura che, soprattutto sulla base della citata affermazione contenuta nei due Decreti, riconosce che «la giurisdizione dell’ordinario personale pare concepita come esclusiva»: Gli ordinariati personali per gli ex-anglicani. Aspetti canonici della risposta ai gruppi di anglicani che domandano di essere ricevuti nella Chiesa cattolica, in «Ius Ecclesiae» 24 (2012) p. 36.

29 Così per es. Ghirlanda, Langham, Arrieta e Baura.

30 Ricordo che l’ordinario militare gode di potestà cumulativa con l’ordinario del luogo.

31 Gli ordinariati personali, cit., pp. 47-48.

32 Ibid., p. 48.

33 «I presbiteri incardinati in un Ordinariato, che costituiscono il suo presbiterio, debbono anche coltivare un vincolo di unità con il presbiterio della Diocesi nel cui territorio svolgono il loro ministero; essi dovranno favorire iniziative e attività pastorali e caritative congiunte, che potranno essere oggetto di convenzioni stipulate tra l’Ordinario e il Vescovo diocesano locale» (VI §4).

34 L’articolo 8 di tali Norme prevede: §1. «I presbiteri, pur costituendo il presbiterio dell’Ordinariato, possono essere eletti membri del Consiglio presbiterale della Diocesi nel cui territorio esercitano la cura pastorale dei fedeli dell’Ordinariato (cfr. CIC, can. 498 §2). §2. I presbiteri e i diaconi incardinati nell’Ordinariato possono essere, secondo il modo determinato dal Vescovo diocesano, membri del Consiglio pastorale della Diocesi nel cui territorio esercitano il loro ministero (cfr. CIC, can. 512 §1)».

35 J.I. Arrieta, Gli ordinariati personali, in «Ius Ecclesiae» 22 (2010) p. 158.