LE STRUTTURE PERSONALI E LE FINALITÀ PASTORALI




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Giuseppe Dalla Torre

Libera Università Maria Ss. Assunta – Lumsa di Roma

1. I mutamenti dell’organizzazione ecclesiastica nel divenire della storia.

Lo studio dei mutamenti che, nel divenire della storia, ha conosciuto l’organizzazione ecclesiastica, non può essere adeguatamente sviluppato se non alla stregua di alcune considerazioni preliminari.

Esse prendono l’avvio dalla «non debole analogia» fra l’incarnazione del Verbo e la Chiesa-popolo di Dio che vive nella storia, di cui al paragrafo 8 della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, del Concilio Vaticano II.

Dice in particolare la costituzione conciliare: «la società costituita di organi gerarchici e il Corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due cose, ma formano una sola complessa realtà, risultante di un duplice elemento umano e divino. Per una non debole analogia, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo spirito di Cristo, che la vivifica, per la crescita del corpo».

Questo passo, che può davvero assurgere a canone ermeneutico di tutto il diritto canonico, chiarisce come l’incarnazione della Chiesa in un  corpo sociale comporta, di conseguenza, l’assunzione di forme giuridiche.   Come ogni «organismo sociale», che è naturalmente strutturato giuridicamente e vive giuridicamente, anche la Chiesa-popolo di Dio che vive nella storia non può prescindere dalla esperienza giuridica. Il suo diritto non è, quindi, sovrastruttura ma struttura necessaria in quanto  postulato dalla incarnazione di essa Chiesa, realtà spirituale e carismatica, Corpo Mistico di Cristo, in un organismo sociale 1.

Ciò significa anche che le forme giuridiche che, di volta in volta l’organismo sociale della Chiesa ritiene di dover assumere, soggiacciono alle leggi della storicità. Non è qui in discussione certamente quella parte del diritto canonico, che per via di natura o per via di redenzione è riferibile al Legislatore divino e che di conseguenza, in quanto tale, è storicamente immutabile. Ci si riferisce ovviamente a quella consistente porzione del diritto canonico, anche afferente alla costituzione della Chiesa, che procede dal legislatore umano e che quindi è soggetto alle ragioni del mutamento a seconda delle esigenze di tempo e di luogo.

Come ha insegnato Gabriel Le Bras, con grande autorevolezza, compito del canonista e dello storico del diritto della Chiesa è, appunto, «l’inserimento del cristianesimo organizzato nelle categorie della mobilità» 2.

Quanto or ora rilevato è del tutto ovvio per lo studioso del diritto e delle istituzioni ecclesiastiche; eppure deve essere qui richiamato, perché quello della storicità costituisce canone interpretativo imprescindibile nella valutazione del tema della territorialità e personalità dell’organizzazione della Chiesa. Detto in altri termini, la non considerazione dell’ adattarsi del corpo sociale della Chiesa alle mutevoli condizioni di tempo e di luogo, può condurre ad una incompleta, o addirittura inesatta, valutazione dei criteri con cui si è venuto via via strutturando il popolo  di Dio.

Alcuni riferimenti storici possono costituire conferma di tale assunto.

Un primo riferimento può cogliersi sul terreno della storia del diritto. Esso è legato alle esperienze di solidarietà e di modellamento reciproco che, nel corso della storia, si possono cogliere fra organizzazione statale ed organizzazione ecclesiastica. Al riguardo si può ricordare ad esempio come, in luogo del principio della personalità del diritto per molti aspetti dominante nell’età di mezzo 3, con lo Stato moderno si affermi il principio della territorialità del diritto. Si potrebbe dire che siffatto principio è connaturato allo Stato moderno, che si pone come ordinamento sovrano, quindi chiuso verso l’esterno ed autosufficiente, e nel quale il territorio diviene elemento costitutivo della persona giuridica pubblica-Stato.

Siffatto processo di “territorializzazione” del diritto, come assai bene mise in evidenza Del Portillo 4, ebbe una enorme influenza sulla Chiesa, inducendo nel tempo ad una sopravvalutazione dell’elemento territoriale nella organizzazione ecclesiastica. E ciò, nonostante che il principio della personalità del diritto e, quindi, la rilevanza dell’elemento personale nella determinazione delle circoscrizioni ecclesiastiche, sia strutturalmente e funzionalmente congruo alla Chiesa, la quale – come noto – dà vita ad un ordinamento giuridico naturalmente aperto e non chiuso 5,  e si autoqualifica come comunità, cioè come insieme di individui incorporati a Cristo mediante il battesimo (can. 204 § 1) e congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico (can. 205). E se tali aspetti sono stati particolarmente evidenziati nell’ecclesiologia del Vaticano II, essi non erano certamente – né potevano esserlo – sconosciuti nell’età preconciliare: si pensi solo alla famosa definizione che Del Giudice dava della Chiesa come «corporazione istituzionale non territoriale» 6.

Del resto, come annotava Le Bras, «come lo Spirito soffia dove vuole così la fede non conosce frontiere. Al contrario, la Chiesa organizzata incontra ad ogni sitante i problemi dello spazio» 7

Un secondo riferimento può cogliersi nelle provocazioni della storia, che hanno di volta in volta indotto la Chiesa a modificare la propria organizzazione. Tali provocazioni possono essere derivate dall’esterno dell’istituzione ecclesiastica: si pensi ad esempio alle vicende della nascita della Congregazione de Propaganda fide , che scaturiscono dall’esigenza di emancipare l’azione missionaria dai lacciuoli del regalismo spagnolo e del Padroado  portoghese 8; ovvero al processo di accentuazione dell’universalità della Chiesa, di centralizzazione dell’organizzazione ecclesiastica e di progressiva riduzione del diritto canonico a diritto pontificio 9, che è imposto dal giurisdizionalismo degli Stati cattolici del seicento e del settecento. Nell’un caso come nell’altro il principio della personalità del diritto ha tendenzialmente fatto aggio, nella Chiesa, su quello della territorialità, con sostanziose conseguenze sul piano dell’organizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche. Ma la storia ha fatto conoscere anche “provocazioni” nate all’interno dell’istituzione ecclesiatica. Si pensi al tema, tutto pastorale, della residenzialità dei vescovi che si agitò nel Concilio tridentino, dal quale discesero elementi per una riconsiderazione delle ragioni anche “giuridiche” della Chiesa locale, con conseguente accentuazione di profili di territorialità del diritto e dell’organizzazione ecclesiastica 10.

Un terzo riferimento più essere rintracciato nella consapevolezza storica che, di tempo in tempo, la Chiesa ha di sé. Perché è evidente che, sul terreno ecclesiologico, il volgere l’attenzione sulla Chiesa universale o su quella particolare, ovvero la sua considerazione come popolo di Dio, hanno indubbi riflessi nel determinare la prevalenza del criterio di territorialità o di personalità nell’individuazione della legge e nell’organizzazione ecclesiastica. Lo stesso dicasi sul terreno della pastorale. Come è stato osservato, «alla proclamata indole “praesertim pastoralis del Concilio Vaticano II fa […] riscontro l’esplicita sottolineatura dell’eguale carattere da parte della nuova legislazione canonica» 11. Come noto, è tutt’affatto che concluso il dibattito fra canonisti su quali siano le precise identificazioni concettuali e la corretta portata giuridica della qualifica di “pastoralità” applicata al nuovo diritto della Chiesa. Certo è tuttavia che la suprema ratio pastoralis  è tale, nei documenti conciliari e postconciliari, da giustificare l’assunzione di inedite forme di organizzazione ecclesiastica.

Si tratta solo di riferimenti indicativi, che peraltro fanno considerare come il passaggio – come bene è stato detto 12– dalla piccola comunità di Gerusalemme all’immensa congregatio fidelium e communio ecclesiarum che è oggi la Chiesa cattolica, si realizza nel divenire della storia attraverso complessi sviluppi giuridici sia a livello di costituzione ecclesiastica sia a livello di organizzazioni derivate. Sussistono cioè aspetti della storicità della organizzazione della Chiesa, che si connettono anche con una certa storicità della costituzione ecclesiastica 13, i quali mettono in evidenza un senso della elasticità del diritto canonico del tutto diverso rispetto a quello tradizionale e ben noto.

2. I principi conciliari ed i «Principia quae codicis iuris canonici recognitionem dirigant».

Il problema di una revisione dell’organizzazione ecclesiastica, volta a conformarla alle nuove esigenze della pastorale, fu ben presente nell’assise conciliare.

In particolare nel decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus  si pone l’esigenza della revisione delle circoscrizioni ecclesiastiche per una serie di ragioni: la necessità che nel popolo di Dio appartenente alla diocesi si  manifesti chiaramente la natura della Chiesa; la possibilità che in essa i Vescovi siano messi in condizione di compiere efficacemente i loro doveri pastorali; l’opportunità che si possa provvedere il più perfettamente possibile all’assistenza spirituale del popolo di Dio 14.

Per ragione di “buon governo”, il Vaticano II dettava poi una serie di indicazioni per risolvere i problemi relativi all’assistenza dei fedeli di diverso rito, disponendosi che – a giudizio della Sede Apostolica – si potesse anche procedere alla costituzione di «una gerarchia propria secondo la diversità dei Riti» 15, in ciò seguendo una precisa indicazione già data nel Decreto sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum 16.

Sempre nel decreto Christus Dominus si segnalava l’esigenza dell’assistenza spirituale ai militari, invitandosi la competente autorità all’erezione di un Vicariato Castrense 17.

In diversa ma, nelle finalità pastorali, concorrente prospettiva il decreto conciliare sul ministero e la vita sacerdotale, trattando della distribuzione dei presbiteri, prevedeva anche l’attuazione di particolari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali, in certe regioni o nazioni o addirittura in tutto il mondo, nel contesto di una riorganizzazione dell’istituto della incardinazione più rispondente ai bisogni pastorali di oggi, con riferimento anche a nuove modalità di organizzazione ecclesiastica 18. Si accennava, in particolare, alla creazione di «particolari diocesi o prelature personali».

Queste indicazioni di carattere generale trovarono – come è noto – una più precisa ed organica formulazione nei Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem proponuntur, approvati dalla Assemblea del Sinodo dei Vescovi il 7 ottobre 1967 19, sulla base di un testo elaborato dalla Commissione centrale dei consultori della competente Commissione pontificia nella primavera del 1967 20. In particolare nel punto 8 dei Principia si delineavano i criteri per il riordino delle circoscrizioni ecclesiastiche.

Per quanto qui interessa, si deve sottolineare che a fronte del ribadito principio della territorialità nell’organizzazione di base della Chiesa, il documento poneva in evidenza come le esigenze del moderno apostolato richiedessero anche la configurazione – del resto già sperimentata in passato – di unità giurisdizionali «ad peculiarem curam pastoralem destinatas».

Alla luce degli insegnamenti conciliari sulla Chiesa particolare come «porzione di popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio» 21, il documento dava quindi una precisa direttiva al codificatore. E cioè che tenuta come regola generale la determinazione per territorio della porzione di popolo di Dio costituente la Chiesa particolare, si potessero ammettere ulteriori criteri di individuazione, come quelli del rito o della nazionalità od altri ancora, qualora l’utilità – evidentemente d’ordine pastorale – lo suggerisse.

I Principia, dunque, formulavano una regola di organizzazione ecclesiastica che risultava dall’acquisizione di diversi insegnamenti conciliari e dalla loro organica composizione.

In particolare dal punto di vista strutturale  collegavano strutture giuridiche gerarchiche e porzioni del popolo di Dio, cioè Chiese particolari; dal punto di vista funzionale assumevano una pluralità di criteri differenti per la concreta individuazione delle Chiese particolari.

Si può notare come i Principia, sul punto, organizzando i dati conciliari ne traessero tutte le potenziali conseguenze, andando oltre – se così si può dire – il concreto contenuto delle singole determinazioni del Vaticano II. E ciò sia nel senso di collegare mere strutture organizzative dell’ ordo alla configurazione delle Chiese particolari; sia nel senso di prospettare un’ampia gamma di criteri giustificanti una pluralità di strutture organizzative dell’ ordo, oltre il dato conciliare della diversità dei riti o dell’assistenza spirituale ai militari.

3. La regolamentazione del codice.

La codificazione sembra non cogliere appieno le potenzialità racchiuse negli insegnamenti conciliari e le prospettive dischiuse dal n. 8 dei Principia.

Difatti posto il principio che di regola la Chiesa particolare è territoriale (can. 373 § 1), il codice aggiunge che «attamen, ubi de iudicio supremae Ecclesiae auctoritatis, auditis Episcoporum conferentiis quarum interest, utilitas id suadeat, in eodem territorio erigi possunt Ecclesiae particulares ritu fidelium aliave simili ratione distinctae» (can. 372 § 2).

Si deve rilevare in merito al testo del canone una certa ambiguità nell’aggettivo simili, nel senso che esso sembrerebbe restringere i casi nei quali è legittima l’erezione di Chiese particolari personali a situazioni analoghe a quelle delle diversità di rito e quindi sulla base di ragioni identificative di carattere esclusivamente intra-ecclesiale. Viceversa i Principia mostravano di voler porre solo un’elencazione esemplificativa, tra l’altro indicando tra i criteri di individuazione di una Chiesa particolare personale anche la nazionalità, vale a dire un criterio tipicamente extra-ecclesiale.

Ma sopratutto il codice sembra distinguere e disarticolare di nuovo strutture organizzative dell’ ordo e concrete configurazioni della Chiesa particolare in due ambiti ben definiti: nell’assistenza spirituale alle forze armate, giacché il codice affronta questo problema sotto la peculiare prospettiva dei cappellani militari, nella particolare angolazione della struttura interna delle Chiesa particolari e facendo infine rinvio ad apposite leggi speciali (can. 569); nel caso delle Prelature personali, non qualificabili alla luce del codice come mere strutture organizzative dell’ ordo, ma come insiemi di fedeli e sacerdoti gerarchicamente ordinati.

Difatti nella sistematica codiciale le Prelature personali (cann. 294-297) sono – come noto – inserite ambiguamente tra le norme relative alla condizione giuridica dei  ministri sacri e le norme relative alle associazioni di fedeli, e comunque al di fuori della costituzione gerarchica della Chiesa. E ciò nonostante il codice stesso tenga a precisare che alla Prelature personale è preposto un Prelato come Ordinario proprio (can. 295 § 1), e cioè come coloro che «praepositi sunt alicui Ecclesiae particulari vel communitati eidem aequiparatae ad normam can. 368» (can. 134 § 1).

In altre parole è singolare dover rilevare che da un lato il codice colloca la disciplina delle Prelature personali al di fuori della parte seconda del libro secondo, rubricata De Ecclesiae constitutione hierarchica  e relativa alla disciplina dell’autorità nella Chiesa; dall’altro lato tuttavia conferisce al Prelato poteri che sono da ricondurre – e che il codice stesso riconduce – nell’ambito della costituzione gerarchica della Chiesa.

Giova notare al riguardo come la collocazione delle Prelature personali nel titolo IV della prima parte del Libro II, relativo ai fedeli, anziché nella seconda parte, relativa alla costituzione gerarchica della Chiesa, giunga a conclusione di un iter tormentato, che era partito invece dall’equiparazione della Prelatura personale alla Chiesa particolare, passando poi per un ridimensionamento di tale equiparazione che tuttavia non ne sottraeva la disciplina alla seconda parte del Libro II.

I lavori preparatori della codificazione stanno dunque a dimostrare come la Commissione per la revisione del codice avesse  nettamente colto nelle deliberazioni conciliari e nei Principia per la revisione stessa una volontà equiparatrice delle Prelature personali alle Chiese particolari.

4. L’esperienza giuridica post-codiciale.

Lo sviluppo della legislazione canonica concorrente e seguente alla codificazione del 1983 ha, peraltro, introdotto rilevanti innovazioni sulla disciplina codiciale, integrando e talora modificando il disegno, per certi aspetti incerto ed incompleto, se non addirittura ambiguo, del codice nell’ambito che qui interessa.

Non è qui il caso di indagare sulle ragioni sottese ad interventi del legislatore peculiare o speciale: se, cioè, per “correggere” il disposto del codice, riportandolo sul binario delineato dai Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem proponuntur ; ovvero se per adeguare la normativa codiciale a nuove ragioni pastorali derivanti dall’evoluzione sociale. Certo è che alcuni interventi del legislatore peculiare o speciale hanno prodotto un progressivo allargamento della assimilazione in iure  di cui al can. 368, in cui è detto che: «Ecclesiae particulares, in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit, sunt imprimis dioeceses, quibus, nisi aliud constet, assimilantur praelatura territorialis et abbatia territorialis, vicariatus apostolicus et praefectura apostolica necnon administratio apostolica stabiliter erecta ».

Il primo di tali interventi è dato dalla cost. ap. Spirituali militum curae, del 21 aprile 1986, con cui è posta una nuova disciplina canonica alla cura spirituale dei militari.

Si deve notare in merito che il can. 569, nel quale è precisato che i cappellani militari sono retti da leggi speciali, fa parte di quel tit. III della sez. II della seconda parte del secondo libro del codice, che riguarda la struttura interna delle Chiese particolari. Cioè nel codice i cappellani militari, pur col rinvio alla legge speciale, sono contemplati alla stregua degli altri cappellani e dei rettori di Chiese come articolazioni interne della Chiesa particolare, cioè – stando al codice – la Diocesi (nonché, per assimilazione, la Prelatura territoriale, l’ Abbazia territoriale, il Vicariato apostolico, la Prefettura apostolica e l’Amministrazione apostolica eretta stabilmente: can. 368).

Siffatto ordine viene disarticolato dalla cost. ap. Spirituali militum curae, che nell’art. I § 1 dispone la giuridica assimilazione degli Ordinariati militari o castrensi alle Diocesi. Tale assimilazione si giustifica in quanto, nella nuova realtà ordinamentale chiamata a garantire la cura spirituale dei militari, ricorrono i tre elementi essenziali costitutivi della Diocesi, e cioè una porzione del popolo di Dio (art. X), un presbiterio (art. V) e (normalmente) un Vescovo come pastore  (art. II § 1), il quale ha una giurisdizione personale, ordinaria e propria, ancorché non esclusiva ma cumulativa con quella del Vescovo diocesano, sui fedeli ad esso soggetti.

Giova notare che la cost. ap. Spirituali militum curae  è legge peculiare o speciale in grado di derogare al diritto universale (can. 20), che presenta le caratteristiche della legge-quadro, avendo il legislatore canonico rinunciato a dettare una disciplina dettagliata ed uniforme. Difatti secondo la costituzione apostolica (art. I § 1), gli Ordinariati militari sono peculiari circoscrizioni ecclesiastiche rette da propri statuti emanati dalla Sede Apostolica.

Come ho già avuto modo di mettere in evidenza in altra occasione 22, le ragioni del ricorso agli statuti per la definizione della normativa di dettaglio relativa ai singoli Ordinariati è, chiaramente, connessa al fatto che la costituzione apostolica si pone come legge quadro. Esse devono individuarsi nel fatto che la materia dell’assistenza spirituale alle forze armate è quasi sempre oggetto di disciplina convenzionale tra la Santa Sede e gli Stati e che, alla luce dei principi individuabili nella cost. ap. Pastor Bonus sulla Curia romana e dal motu proprio Sollicitudo omnium Ecclesiarum sull’ufficio dei rappresentanti pontifici, si tratta di materia assorbita in quelle causae maiores che sono riservate alla competenza pontificia 23.

D’altra parte l’Ordinariato militare è struttura giuridica assimilata alla Diocesi, nata per rispondere a peculiari esigenze d’ordine pastorale, che è stata istituita dalla Sede Apostolica nel quadro dello sviluppo delle strutture gerarchiche della Chiesa universale e particolare. L’ordinario militare è Vescovo cui viene affidata l’ordinaria cura pastorale di una portio populi Dei : egli pertanto  presiede una Chiesa particolare ed è membro del Collegio episcopale, partecipando così tra l’altro alla potestas regiminis sulla Chiesa universale. Più precisamente proprio in quanto inserito per via sacramentale nel collegio episcopale, la portio ei concredita del popolo di Dio è fatta ad immagine della Chiesa universale e vive nella comunione delle Chiese 24.

Non è pertanto incongrua la conseguenza per cui sia la Santa Sede, nell’esercizio dei poteri suoi propri, a determinare la disciplina giuridica di tali strutture gerarchiche non solo in via generale, con una legge-quadro qual è quella contenuta nella costituzione apostolica Spirituali militum curae, ma anche la normativa di dettaglio contenuta dagli statuti da essa stessa emanati. Questi statuti sono qualificabili nel sistema delle fonti come atti normativi subordinati alla legge generale. In particolare le norme statutarie sono sottordinate alle leggi canoniche extra-codiciali fonti di diritto speciale, ed in particolare alle norme di derivazione concordataria o convenzionale (cfr. artt. I § 1 e XIII cost.), oltre che naturalmente alle norme della costituzione apostolica. Esse invece hanno forza di derogare, nei casi previsti dalla stessa costituzione, alle norme contenute in fonti di diritto generale, ivi compreso il codice canonico. In questa prospettiva si colloca – ad esempio – la disposizione per cui l’Ordinario militare gode di tutti i diritti ed è tenuto agli obblighi propri dei Vescovi diocesani, a meno che non consti diversamente dagli statuti particolari (art. II § 1 cost.).

Gli statuti possono altresì derogare a norme contenute in fonti di diritto particolare, a meno che ciò non sia stato esplicitamente escluso, come ad esempio nel caso della disciplina dei libri dei sacramenti e sullo stato delle persone, di cui all’art. XIII, 6°, della costituzione apostolica.

L’altro intervento del legislatore peculiare o speciale è costituito dalla cost. ap. Ut sit, del 28 novembre 1982 e promulgata il 19 marzo 1983, relativa all’erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale di ambito internazionale, e dagli Statuti della Prelatura stessa (o Codex iuris particularis Operis Dei), assunti dal Pontefice e formalmente promulgati «vi potestatis legislativae» con l’art. II della predetta costituzione apostolica.

Si deve preliminarmente rilevare al riguardo che per quanto attiene in generale alla disciplina delle Prelature personali le norme-quadro sono poste direttamente dal codice, nei cann. 294-297, senza l’ interpositio  di una legge peculiare o speciale, come invece accade nel caso degli Ordinariati militari. E’ lo stesso codice che, per le norme di dettaglio, rinvia agli statuti (can. 295 § 1), i quali sono di conseguenza qualificabili – nel sistema delle fonti – come fonti subordinate alle norme del codice sulle Prelature personali ed alle eventuali leggi canoniche extra-codiciali fonti di diritto speciale 25.

Non è il caso di entrare, in questa sede, nell’ambito della vexata quaestio  dei rapporti fra norme codiciali e norme della cost. ap. Ut sit, in ragione  delle diverse date di sottoscrizione, promulgazione ed entrata in vigore delle due atti legislativi, se non altro perché la costituzione apostolica, in quanto legge speciale, è comunque fatta salva da eventuali effetti abrogatori, seguenti l’entrata in vigore del codice, dalla clausola di cui al can. 20. Qui interessa viceversa sottolineare che la cost. ap. Ut sit  – per chi non la voglia intendere come una sorta di “interpretazione autentica” delle norme codiciali sulle Prelature personali -, appaia piuttosto come un provvedimento legislativo integrativo (se non addirittura derogatorio, quantomeno sotto il profilo della sistematica codiciale) di quanto previsto dal codice e più coerentemente in linea con la prospettiva abbozzata nel corso dei lavori preparatori del codice, vale a dire quella di una assimilazione delle Prelature personali alla disciplina giuridica delle Chiese particolari.

Ora nel caso della Prelatura personale Opus Dei non ricorre, come nella cost. ap. Spirituali militum curae, una esplicita assimilazione della Prelatura al regime giuridico della Diocesi. Tuttavia in base alla cost. ap. Ut sit ed agli statuti della Prelatura sembrano sussistere quegli elementi costitutivi che legittimano l’assimilazione in iure  di cui al can. 368 (e che hanno indotto il legislatore alla formale assimilazione degli Ordinariati militari alle Diocesi), vale a dire: la porzione del popolo di Dio, il presbiterio e l’Ordinario proprio come pastore, giacché il Prelato è un Vescovo che ha una potestà personale, ordinaria e propria sui fedeli incorporati nella Prelatura, pur non esercitando una giurisdizione esclusiva, ma cumulativa, come in ogni giurisdizione personale.

Giova notare che a differenza della cost. ap. Spirituali militum curae, la quale detta una disciplina particolare per tutti gli Ordinariati militari (seppure da precisarsi dettagliatamente negli Statuti dei singoli Ordinariati), la cost. ap. Ut sit  detta una disciplina speciale per la sola Prelatura personale dell’Opus Dei. Ciò significa che, stando al diritto vigente, solo per essa è configurabile una assimilazione in iure  alla Diocesi, dal momento che la generica configurazione giuridica delle Prelature personali data dal codice, non consente di giungere, in generale, alle medesime conclusioni.

5. Tipologia delle “circoscrizioni” ecclesiastiche personali.    

Come noto, sono quattro le “circoscrizioni” ecclesiastiche a carattere personale che attualmente possono essere individuate nell’ordinamento canonico e che presentano una più o meno accentuata diversità di disciplina giuridica rispetto al paradigma codiciale dato dalla diocesi.

La prima fattispecie è data dalle Diocesi personali, di cui al can. 372 § 2 già ricordato. La seconda è costituita dagli Ordinariati militari, che come s’è detto non sono disciplinati dal codice ma da legge speciale.

Seguono poi gli Ordinariati latini per i fedeli di rito orientale: la loro disciplina non è contenuta né in leggi generali né in leggi speciali aventi carattere generale. Si tratta di circoscrizioni personali aventi il generico nome di Ordinariati apostolici, le quali sono disciplinate di volta in volta all’atto dell’erezione da parte della Sede Apostolica, mediante decreto della Congregazione per le Chiese orientali. Con questo decreto, che ha dunque carattere normativo singolare,  è determinata la natura della potestà dell’Ordinario, il coordinamento con l’Ordinario del luogo e con la gerarchia cattolica orientale. La conseguenza è che la concreta disciplina dei sette Ordinariati di questo tipo, attualmente esistenti, risulta essere assai diversificata 26.

L’ultima fattispecie è, infine, data dalle Prelature personali, la cui disciplina – come già  si è detto – è definita nelle linee di principio dal codice (cann. 294-297), ma è poi rimessa ai singoli statuti per le disposizioni di dettaglio.

E’ interessante, a questo punto, cogliere le differenze intercorrenti, nel diritto vigente, tra le Prelature personali e le or ora ricordate fattispecie di circoscrizioni ecclesiastiche personali.

La Prelatura personale non è certamente una Chiesa particolare. Difatti elementi caratterizzanti di questa sono: il carattere territoriale – almeno ordinariamente-, in relazione ai criteri di delimitazione del popolo di Dio; il carattere ordinario della cura animarum dei fedeli che si trovano sul territorio, e che sono affidati ad un Vescovo, capo della Chiesa particolare, coadiuvato dal suo presbiterio (cfr. cann. 368-374). Ora le Prelature personali, proprio in quanto tali, prescindono dal territorio quale elemento costitutivo; e d’altra parte sono caratterizzate da compiti pastorali o missionari di indole speciale (can. 294), ben distinte dall’ordinaria cura pastorale che, istituzionalmente, la Chiesa particolare deve assicurare a tutti i fedeli residenti sul suo territorio.

Ma le Prelature personali presentano caratteri differenziali anche rispetto ad altre figure giuridiche canoniche, pure dotate di giurisdizione. Non sono, infatti, assimilabili alle Prelature territoriali (can. 370), giacché queste, pur godendo di esenzione rispetto alla giurisdizione del Vescovo diocesano, costituiscono vere e proprie Chiese particolari, ricorrendo – oltre al popolo – i due elementi della territorialità e della ordinaria cura animarum  dei fedeli da parte del Prelato.

Rispetto poi ai Vicariati apostolici, alle Prefetture apostoliche ed alle Amministrazioni apostoliche, il tratto distintivo è – a tacer d’altro – nel fatto che si tratta di giurisdizioni vicarie,  nelle quali cioè i titolari esercitano le funzioni come vicari del Romano Pontefice,  essendo questi pastore proprio di dette circoscrizioni.

Rispetto agli Ordinariati militari, le Prelature personali hanno in comune con essi la natura di peculiari enti giurisdizionali gerarchici facenti parte della linea istituzionale della Chiesa; nonché una potestà che non solo è ordinaria, in quanto connessa ispo iure  all’ufficio (can. 131 § 1), ma anche propria, in quanto l’ufficio cui è annessa esprime e postula una funzione di governo specifica dell’ente. Ma mentre la giurisdizione degli Ordinariati militari è cumulativa con quella diocesana quanto ad àmbito materiale di esercizio, la giurisdizione dei Prelati personali è diversa da quella degli Ordinari proprio per l’ àmbito materiale di esercizio. Nel primo caso la giurisdizione è funzionale alla cura ordinaria delle anime di persone che abbiano un particolare status (i militari); nel secondo caso la giurisdizione è, invece, funzionale al perseguimento di finalità pastorali diverse dalla comune cura ordinaria delle anime, vale a dire al conseguimento dei fini e della missione della Prelatura.

Nell’un caso come nell’altro si esprime comunque il principio giuridico, ma prima ancora ecclesiologico, che l’appartenenza di un fedele ad un ente istituzionale gerarchico, come la Diocesi, non preclude la possibilità di appartenere ad altro ente istituzionale, rispondente a finalità diverse e costituito da elementi diversi.

Si tratta, dunque, di una tipologia assai differenziata quanto a configurazione giuridica, all’interno della quale si distingue il  regime giuridico dell’unica Prelatura sin qui istituita, quella dell’Opus Dei, rispetto al modello codiciale di Prelatura personale; una distinzione che, per le ragioni sopra dette, consiste sostanzialmente nella sua assimilazione in iure  alla Diocesi, che naturalmente non significa identificazione, quanto a natura, con la Diocesi.

Si tratta comunque di una tipologia variegata, che è verosimilmente destinata ad accrescersi ulteriormente in nuove figure negli anni a venire. Essa esprime con inequivocabile chiarezza la peculiarità dell’attuale momento storico, riassumibile nella tensione tra due polarità: da un lato la rinnovata consapevolezza della propria natura e della propria missione che la Chiesa ha acquisito con il Vaticano II; dall’altro lato la raggiunta “cattolicità”, in termini geografici, etnici, culturali e sociali della Catholica. Con riferimento alle diverse situazioni personali ed ambientali, si impone oggi una estrema mutevolezza ed adattabilità delle forme dell’organizzazione ecclesiastica, pur nel rigoroso rispetto della struttura essenziale della Chiesa.

Si vuol dire in altre parole che l’esigenza di rapide, capillari e variegate forme di intervento della Chiesa, imposte dalle condizioni storiche ed ambientali, diviene fattore sollecitante la normogenesi e l’evoluzione istituzionale. Si tratta di un fenomeno che, seppur con aspetti nuovi, si riproduce nella storia ogni qual volta ad una forte ecclesiologia risponda l’esigenza di far fronte alle mutate circostanze di azione della Chiesa: si pensi solo alle conseguenze che ebbero, sull’innovazione normativa ed organizzativa della Chiesa, il Tridentino da un lato e le nuove provocazioni di una cristianità divisa o di una azione missionaria nelle terre dischiuse dalle grandi scoperte geografiche.

Devesi tuttavia notare che alla variegata tipologia delle “circoscrizioni” ecclesiastiche personali risponde, anche oggi, una causa unitaria: la ragione pastorale. Bene si è osservato al riguardo che la concreta mutevolezza dell’organizzazione ecclesiastica non è «il risultato aprioristico di una elaborazione intellettuale astratta, bensì la conseguenza di un modo di costruire che poggia sulla concreta problematica pastorale e sulle possibilità organizzative e assistenziali di cui dispone la Chiesa» 27.

Potrebbe dirsi che il “patrimonio genetico” dell’istituzione ecclesiastica è “marcato” dal gene dell’adattabilità, sicché l’elaborazione di sempre nuove tecniche organizzative serve ad una evoluzione del corpo sociale della Chiesa che è strutturalmente coerente.  

6. Annotazioni conclusive.

A conclusione delle considerazioni svolte, vien fatto innanzitutto di domandarsi se sia utile e, sopratutto, se sia congruo utilizzare il termine “circoscrizioni” per indicare le strutture organizzative della Chiesa basate sul criterio personale.

Vero è che esiste una lunga tradizione dottrinale ed una indubbia prassi giuridica di utilizzo dell’espressione “circoscrizioni ecclesiastiche” anche per strutture organizzative non riconducibili al criterio territoriale. E tuttavia l’etimologia sembrerebbe indurre ad una maggiore cautela nell’uso generalizzato del termine circoscrizione: esso, infatti, parrebbe comunque presupporre l’elemento territoriale.

Giova tra l’altro notare come nel linguaggio e nella cultura giuridica in genere il termine circoscrizione evochi, almeno tendenzialmente, l’elemento territoriale come costitutivo di persona giuridica pubblica. Ma siffatta configurazione concettuale, certamente rispondente nella comunità politica alla struttura dello Stato-persona e di soggetti pubblici che costituiscono lo Stato-apparato, non risponde affatto alla natura della Chiesa ed alla realtà della sua struttura organizzativa. Qui il territorio diviene solo strumento di identificazione della portio populi Dei affidata alle cure di un pastore; come s’è veduto esso costituisce, più precisamente, lo strumento ordinario, ancorché non l’unico, attraverso il quale tale individuazione avviene e, quindi si determina la giurisdizione.

Senza dubbio in un passato, neppure troppo remoto, i postulati difensivi ed apologetici presupposti dall’affermazione Ecclesia reipublicae comparatur  28 inducevano a pensare la Chiesa, sul paradigma statale, rigidamente strutturata in parti territoriali e giuridicamente costituita appunto in circoscrizioni, anziché in comunità. E ciò, anche se la dottrina canonistica più sensibile ribadiva il carattere funzionale e non costitutivo della divisione territoriale 29: quella divisione significativamente “ingessata” nella disciplina del codice piano-benedettino 30.

Ma è del tutto evidente che dopo l’ecclesiologia del Vaticano II, in cui si afferma che la Chiesa è il popolo di Dio,  non è più possibile pensare l’organizzazione ecclesiastica in termini di circoscrizioni territoriali o circoscrizioni tout court. La Chiesa particolare e le sue articolazioni interne, in quanto porzioni e parti di quel popolo, non possono che essere ricomprese nella categoria della “comunità”; categoria che evoca immediatamente l’elemento personale. Quale che sia, infatti, il criterio pratico per individuarla, la comunità è costituita da persone e soltanto da persone.

Viene poi da domandarsi quale rapporto sussista tra la Chiesa particolare e l’organizzazione giuridica e gerarchica della Chiesa. In altre parole: la Chiesa particolare, concetto teologico, è assunto oggi anche a livello di categoria giuridica?

Il dibattito sul punto è – come noto – tuttora aperto, perché la riflessione canonistica non ha ancora raggiunto un grado sufficiente di chiarezza al riguardo. Difatti, a fronte di chi ritiene che strutture personali come – ad esempio – le Prelature personali non fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, essendo solo organi amministrativi di tipo associativo, destinati a favorire una migliore promozione della distribuzione del clero 31, è chi ritiene tali strutture come un servizio della Chiesa universale che un coetus christifidelium , gerarchicamente strutturato, presta alle Chiese particolari quali portiones populi Dei gerarchicamente strutturate 32. Secondo quest’ultima opinione nelle Prelature personali, dunque, non vi è una portio populi Dei separata e distinta dalle Chiese particolari, essendo queste Prelature strutture della Chiesa universale in dimensione di particolarità.

C’è infine chi ritiene la Prelatura personale una “circoscrizione ecclesiastica”, mettendo in evidenza come la Chiesa particolare sia una nozione teologica che, tradotta in categorie canonistiche, possiede elementi costitutivi che trovano una applicazione propria solamente nelle Diocesi. Ciò significherebbe di conseguenza che le altre strutture utilizzate per organizzare gerarchicamente le comunità cristiane, pur avendo elementi di somiglianza con le diocesi, strettamente non si richiamano tuttavia alla nozione teologica di Chiesa particolare 33.

Personalmente ritengo che sussista una differenza tipologica tra strutture personali diverse, quali le Diocesi personali, gli Ordinariati militari, gli Ordinariati latini per i fedeli di rito orientale e, in generale, le Prelature personali, così come sono configurate dal codice. Nel senso che l’organizzazione della Chiesa universale comprende Chiese particolari ed entità assimilate in iure da un lato, nonché strutture complementari dall’altro 34. In siffatta prospettiva, in specie, mi pare che le Prelature personali siano nient’altro che strutture della Chiesa universale in dimensione di particolarità.

Si potrebbe pensare al riguardo che lo sviluppo di certe strutture personali, come appunto le Prelature, sia correlato alla riscoperta, alla rivalutazione ed allo sviluppo delle Chiese, nel quadro della singolare applicazione del principio di sussidiarietà nella Chiesa e della formalizzazione del principio costituzionale della riserva, in luogo di quello della concessione che caratterizzava l’ordinamento canonico prima del Vaticano II e della nuova codificazione 35. Nel senso che, in una organizzazione ecclesiastica ora caratterizzata dall’autonomia delle singole Chiese particolari, strutture della Chiesa universale in dimensione di particolarità come le Prelature personali possono assurgere al ruolo di strumenti di riequilibrio costituzionale, a servizio delle esigenze poste dall’ unità ed universalità della Chiesa.

In altre parole dette strutture potrebbero oggi essere chiamate a svolgere una funzione per certi aspetti assai simile a quella che, in età medioevale, svolsero i grandi ordini religiosi, canonisticamente inquadrabili, nel contesto di una struttura ecclesiastica fortemente autonomistica e decentralizzata, come livelli giurisdizionali con finalità particolari 36.

Più precisamente la funzione giuridica di siffatte strutture, oggi come ieri, pare essere quella di servire all’unità e diversità nella comunione ecclesiale. Come si legge nella Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, «per una visione più completa di questo aspetto della comunione ecclesiale – unità nella diversità -, è necessario considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall’Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali  appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano» (n. 16).  Tale appartenenza «con la flessibilità che le è propria, trova diverse espressioni giuridiche. Ciò non solo non intacca l’unità della Chiesa particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a quest’unità l’interiore diversificazione propria della comunione» 37.

Si tratta, dunque, di espressioni particolari della Chiesa universale nelle Chiesa particolari non riducibili in modo esclusivo all’una o alle altre 38.

Naturalmente alla luce delle considerazioni più sopra svolte, diverse conclusioni debbono trarsi per la Prelatura Opus Dei, soggetta ad un regime giuridico peculiare, almeno parzialmente diverso  da quello contenuto nel codice (cann. 294-297). Ciò in quanto, come s’è già rilevato, in base alla cost. ap. Ut sit ed agli Statuti di questa Prelatura sussistono quegli elementi costitutivi che legittimano l’assimilazione in iure  di cui al can. 368. In particolare anche nel caso del Vescovo dell’Opus Dei, in quanto Ordinario della Prelatura, ricorre una potestà di governo che risulta essere personale, ordinaria, perché annessa all’ufficio, e  propria in quanto esercitata dal titolare dell’ufficio a nome proprio, essendo annessa ad ufficio per sé stesso autonomo.

Infine può rilevarsi, su un diverso piano,  come il dibattito canonistico circa la organizzazione ecclesiastica, che i deliberati del Vaticano II ed i pedissequi interventi del legislatore canonico hanno aperto, venga a schiudere nuove piste di ricerca scientifica  sul diritto della Chiesa.

E’ noto a tutti che la scienza e l’insegnamento del diritto canonico si sono sviluppati nel tempo seguendo un ben definito angolo di visuale: quello dell’ordinamento canonico inteso come complesso di norme, piuttosto che come organizzazione.

Le ragioni di siffatta impostazione nello studio della Chiesa del diritto sono molte e complesse, ed affondano le loro radici nella storia. In particolare si deve collegare un tale approccio con la risalente e collaudata tradizione esegetica, tipica della scuola canonistica ecclesiastica; una tradizione che si era venuta formando nel corso dei secoli sotto l’evidente condizionamento culturale e metodologico che derivava dal sistema di fonti normative espresso nel Corpus Iuris Canonici 39.

La scuola dell’esegesi si protrasse – nell’ambito delle istituzioni di ricerca e formative ecclesiastiche – anche dopo la codificazione del 1917, quando cioè il passaggio da una raccolta di fonti storicamente e contenutisticamente differenziate ad una fonte unica ed organica, quale il codice canonico, avrebbe consentito e giustificato un diverso modo di affrontare lo studio e l’insegnamento del diritto della Chiesa .

La stessa canonistica laica, e segnatamente quella italiana, che venne ad imporsi nel nostro secolo per un diverso approccio culturale e metodologico, continuò tuttavia a pensare l’ordinamento giuridico della Chiesa in termini normativi più che in termini organizzativi ed istituzionali. Nel senso cioè che l’applicazione alla speculazione canonistica delle acquisizioni prodotte, nel campo del diritto secolare, dal ricorso al cosiddetto “metodo dogmatico”, se portarono ad un allontanamento dal metodo esegetico, tuttavia non segnarono sostanzialmente un diverso modo di considerare l’ordinamento canonico 40.

Solo dopo il Vaticano II ed ancor più dopo la seconda codificazione canonica comincia ad affacciarsi nella ricerca scientifica e nell’insegnamento un diverso modo di affrontare lo studio della dimensione giuridica della Chiesa: l’ordinamento canonico come organizzazione, appunto.  In questo contesto l’organizzazione ecclesiastica viene riguardata sotto il prevalente punto di vista della distinzione e distribuzione delle funzioni. Come è stato rilevato, è «l’esistenza di una coerente distribuzione di funzioni tra i membri della Chiesa a rilevare la presenza di una propria organizzazione, poiché tale distribuzione presuppone di fatto un insieme di fattori organizzativi:  a)  in primo luogo, implica che in seno alla società ecclesiale si è operata un’effettiva identificazione di compiti e funzioni ecclesiali differenti;  b)  secondariamente, che tali funzioni sono state affidate a soggetti differenti (persone singole, istituti giuridici, uffici);  c)   infine, che esistono regole e principi specifici volti a porre in reciproca relazione i soggetti investiti delle varie funzioni, così da rendere coerente e unitaria la loro attività»41.

Si è dinnanzi ad una organizzazione che si esprime tradizionalmente   in quegli enti “di struttura”, i quali tutti si collegano – come noto – ai munera gerarchica  42.

Qui non è certo il caso di entrare in una tematica che porterebbe lontano. Il suo richiamo ha solo lo scopo di  sottolineare all’attenzione che, come sempre nell’esperienza giuridica, i mutamenti intercorrenti sul terreno del diritto positivo finiscono poi inevitabilmente per indurre mutamenti nella stessa scienza del diritto.

Ed al riguardo, quanto si è qui studiato pare assurgere  a rango di esempio  emblematico.

    


1 Ho approfondito queste tematiche, con riferimento allo statuto epistemologico del diritto canonico ed alla metodologia della ricerca canonistica, in G. Dalla Torre, Gli studi giuridici, in Aa.Vv., Metodologia teologica. Avviamento allo studio e alla ricerca pluridisciplinari, a cura di G. Lorizio e N. Galantino, Cinisello Balsamo1994, p. 265 ss.

2  G. Le Bras, La Chiesa del diritto. Introduzione allo studio delle istituzioni ecclesiastiche, ed. it. con premessa di F. Margiotta Broglio, Bologna 1976, p. 131.

3 Cfr. F. Calasso, Medio evo del diritto, I, Le fonti, Milano 1954.

4 A. Del Portillo, Dinamicità e funzionalità delle strutture pastorali,  Firenze 1969. Per altri aspetti non si direbbe che lo Stato moderno si è posto come paradigma dell’organizzazione ecclesiastica, ma tutto al contrario che questa è assurta a modello di quello: sono note in tal senso le tesi di P. Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna 1982.

5 Ho messo in evidenza questo aspetto nella voce Infedeli (diritto canonico), in Enciclopedia del diritto, vol. XXI, Milano 1971, pp. 387-391.

6 V. Del Giudice, Nozioni di diritto canonico, 12^ed.  in coll. con G. Catalano, Milano 1970, p. 90 s.

7  G. Le Bras, La Chiesa del diritto , cit., p. 133.

8 Mi permetto di rinviare, in merito, alle considerazioni che ho svolte in Aa.Vv., S. Sede e Corona portoghese. Le controversie giuspatronali nei secoli XVII e XVIII, con prefazione di G. Dalla Torre, Bologna  1988, p. 7 ss. Per la storia della Congregazione cfr. Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum, a cura di J. Metzler, 3 voll., Roma-Freiburg-Wien 1971-1975.

9 Al riguardo vedasi P. Prodi, Note sulla genesi del diritto nella Chiesa post-tridentina, in Aa.Vv., Legge e Vangelo. Discussione su una legge fondamentale per la Chiesa, Brescia 1972, p. 191 ss.

10 Cfr. sess. VI, cap. I; sess. XXIII, cap. I.

11 Così L. Gerosa, Diritto ecclesiale e pastorale, Torino 1991, p. 3.

12 Cfr. P. Rodríguez, Chiese particolari e Prelature personali. Considerazioni teologiche su una nuova istituzione canonica, tr. it., Milano 1985, p. 124.

13 Su di essi mi sono soffermato  a proposito della cost. ap. Spirituali militum curae, sugli Ordinariati castrensi, del 21 aprile 1986: cfr. G. Dalla Torre, Aspetti della storicità della Costituzione ecclesiastica. Il Caso degli ordinariati castrensi, in Il diritto ecclesiastico, 1986, II, p. 261 ss.

14 Decr. Christus Dominus, n. 22.

15 Ivi, n. 23.

16 n. 4.

17 Decr. Christus Dominus, n. 43.

18 Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10

19 Cfr. Communicationes, 1, 1969, pp. 77-85.

20 F. D’Ostilio, La storia del nuovo codice di diritto canonico. Revisione, promulgazione, presentazione, Città del Vaticano1983, p. 28.

21 Decr. Christus Dominus, n. 11.

22 Cfr.  G. Dalla Torre, Aspetti della storicità della Costituzione ecclesiastica, cit.

23 In merito vedasi L. Spinelli – G. Dalla Torre, Il diritto pubblico ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II, 2  ed., Milano 1985, p. 109.

24 Cfr. P. Rodríguez, Chiese particolari e Prelature personali. Considerazioni teologiche su una nuova istituzione canonica, cit., p. 139.

25 Sul complesso problema del sistema delle fonti, ma con riferimento specifico alla Prelatura Opus Dei  cfr. G. Lo Castro, Le Prelature personali. Profili giuridici, Milano 1988, p. 71 ss.

26 In merito si veda J.I. Arrieta, Chiesa particolare e circoscrizioni ecclesiastiche, in Jus Ecclesiae, 1994, p. 3 ss.; Id., Le circoscrizioni personali, in Fidelium iura, 4, 1994, p. 207 ss.

27 J.I. Arrieta, Chiesa particolare e circoscrizioni ecclesiastiche, cit., p. 36.

28 L’espressione è in Godofredo da Trani, Summa super rubricis Decretalium, Venetiis 1554, lib. I, De restitutione in integrum. Come è noto, essa costituì, insieme al più tardo concetto della Chiesa come societas iuridice perfecta, la base dell’apologetico Jus publicum ecclesiasticum externum: in merito rinvio a L. Spinelli-G. Dalla Torre, Il diritto pubblico ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II, cit., in partic. p. 17 ss., anche per i riferimenti bibliografici.   

29 Cfr. ad esempio P. Ciprotti, Circoscrizione ecclesiastica, in Enciclopedia del diritto, vol. VII, Milano 1960, p. 60 ss.

30 Cfr. ad esempio i cann. 215-217. Al riguardo si rinvia nuovamente ad A. Del Portillo, Dinamicità e funzionalità delle strutture pastorali, cit., in partic. p. 162 ss.

31 Così  G. Ghirlanda, Il diritto nella Chiesa mistero di comunione. Compendio di diritto ecclesiale, Cinisello Balsamo-Roma 1990, p. 164 ss.

32 In questo senso  P. Rodríguez, Chiese particolari e Prelature personali. Considerazioni teologiche su una nuova istituzione canonica, cit., p. 136.

33 Cfr. J.I. Arrieta, Le circoscrizioni personali, cit., p. 207 ss.

34 Così  J. Hervada, Diritto costituzionale canonico, tr. it., Milano 1989, p. 308 ss.

35 G. Dalla Torre, Chiesa particolare e comunità politica. Nuove prospettive del diritto pubblico ecclesiastico esterno, Modena 1983, p. 103 ss.

36 Definisce gli istituti religiosi come livelli giurisdizionali con finalità particolari, non collegati alla strutturazione episcopale del governo della Chiesa C. Cardia, Il governo della Chiesa, Bologna 1984, p. 51. Secondo questo autore le Prelature personali sono «uno strumento flessibile per il raggiungimento di finalità che superano uno e più ambiti diocesani: per il suo tramite, l’ordinamento canonico fornisce un determinato soggetto di limitati poteri giurisdizionali per promuovere una migliore distribuzione di presbiteri in certi ambiti territoriali e per attuare speciali opere pastorali o missionarie» (p. 52).

37 Il documento, promulgato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 28 maggio 1992 con l’approvazione e per disposizione di Giovanni Paolo II, è stato pubblicato in A.A.S.  85 (1993), p. 838 ss.

38 Così F. Ocáriz, Unità e diversità nella comunione ecclesiale, in “Communionis notio”. Lettera e commenti, Città del Vaticano 1994, p. 72.

39 Per approfondimenti in merito rinvio a G. Dalla Torre, Giuseppe D’Annibale canonista e la cultura giuridica del tempo, in Archivio Giuridico, vol. CCXIII, fasc. 2-3, 1993, p. 155 ss.

40 Alla disattenzione della canonistica laica per i profili giuridici dell’organizzazione ecclesiastica contribuì, forse, l’assorbente interesse che materie come il matrimonio, gli enti ecclesiastici, il processo canonico rivestirono, a lungo, presso gli studiosi appartenenti a quella scuola. Si trattò di un fenomeno comprensibile, sia per le possibilità di immediata comparazione con il diritto secolare che tali materie con evidenza presentano, sia per l’indubbia rilevanza delle stesse nella rigogliosa attività concordataria che, tra il primo ed il secondo dopoguerra, portava inaspettatamente ad una restaurazione del diritto canonico negli ordinamenti giuridici degli Stati. Cfr. in merito G. Le Bras, La Chiesa del diritto, cit., p. 248. Sugli orientamenti della canonistica laica cfr. G. Feliciani, La scuola canonistica italiana dal dogmatismo giuridico al post-concilio, in Aa.Vv.,  Scienza giuridica e diritto canonico, a cura di R. Bertolino, Torino 1991, p. 63 ss.

41 J.I. Arrieta, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica, Milano 1997, p. 18.

42 A.M. Punzi Nicolò, Gli enti nell’ordinamento canonico, Padova 1983, in partic. p. 113 ss.