Parere del Consiglio di Stato

[Publicado en: “Il Diritto Ecclesiastico” 105 (1994), pp. 141-143 y en L. Ruano Espina, La Prelatura Personal del Opus Dei en el ordenamiento jurídico italiano, en J. M. Vázquez García-Peñuela (ed.), El Opus Dei ante el Derecho estatal. Materiales para un estudio de Derecho comparado, Granada 2007, pp.125-128]

 

PARERE CONSIGLIO DI STATO, SCT. I, 26 SETTEMBRE 1990, N. 1032/89, SUL RICONOSCIMENTO DELLA PERSONALITA GIURIDICA DELLA SANTA CROCE E OPUS DEI E AUTORIZZAZIONE ALL’ACQUISTO DI BENI INMOBILI

(Omissis)— Vista la relazione in data 20 maggio 1989, prot. 0235/1800/R, con la quale il Ministero (Direzione generale Affari dei Culti) ha chiesto il parere circa il riconoscimento della personalità giuridica della Prelatura personale della Santa Croce e Opus Dei, brevemente detta Opus Dei, con Sede in Roma; e circa la contestuale autorizzazione, alla stessa, ad accettare la devoluzione del patrimonio immobiliare dell’ente ecclesiastico «Procura generalizia della Società sacerdotale della Santa Croce», in estinzione;

Vista la propria pronuncia interlocutoria emessa all’adunanza del 7 giugno 1989, con la quale si sono chiesti al Ministero vari chiarimenti sulla natura e la finalità dell’ente in questione, e l’inerente documentazione integrativa;

Vista la nuova, argomentata relazione del Ministero, del 13 luglio 1990, corredata dei documenti richiesti;

Esaminati gli atti ed udito il relatore;

Ritenuto in fatto quanto esposto dall’Amministrazione;

Considerato:

1. La Prelatura personale della Santa Croce e Opus Dei, con sede in Roma, chiede il riconoscimento della personalità giuridica quale «ente ecclesiastico civilmente riconosciuto», ai sensi della legge 20 maggio 1985, n. 222. Contestualmente chiede di essere autorizzata ad accettare la devoluzione del patrimonio della Procura Generalizia della Società Sacerdotale della Santa Croce, ente ecclesiastico del quale si chiede, inoltre, l’estinzione agli effetti civili.

Questa Sezione, prendendo in esame la pratica nell’adunanza del 7 giugno 1990, ha chiesto una relazione integrativa riguardo allo svolgimento dell’iter della pratica in oggetto, in quanto allo stato non era chiaro se fosse stata seguita la procedura prescritta; la risposta del Ministero ha permesso di accertare che l’iter è stato regolare.

Nella stessa occasione, il Collegio ha ritenuto opportuno invitare il Ministero dell’interno a fornire una serie di chiarimenti sulla figura giuridica delle prelature personali, in generale, nonché sulle origini, i caratteri, le finalità e le attività della Prelatura della Santa Croce in particolare. Tali approfondimenti erano necessari, essenzialmente perché la figura giuridica delle prelature personali è totalmente nuova, essendo stata introdotta nel diritto canonico solo di recente, e quella della Santa Croce ne costituisce il primo, e sinora unico esempio; e la legge n. 222 del 1985, che pure elenca varie figure di ente ecclesiastico, non ne fa menzione, almeno espressa. Del resto, lo stesso Ministero dell’Interno, nella sua relazione integrativa, si mostra consapevole della difficoltà di ricondurre la figura giuridica delle Prelature personali entro gli schemi canonistici tradizionali, pur nella sua manifesta e incontrovertibile appartenenza al diritto canonico vigente; sicché l’indagine sugli ordinamenti interni e il concreto modus operandi dell’unica Prelatura esistente si giustifica come utile a meglio definire giuridicamente detta figura, pur se si tratti di aspetti non rilevanti, di per sé, ai fini del riconoscimento civile.

Acquisiti, pertanto, gli elementi integrativi di giudizio si possono ora fare le seguenti considerazioni.

2. In primo luogo va ricordato che secondo autorevoli opinioni dottrinali le prelature personali, benché collocate nel codex juris canonici nella prima parte, de christifidelibus, del libro secondo, anziché nella seconda, de ecclesiae constitutione hierarchica, sono da considerare elementi propri della costituzione gerarchica della Chiesa: secondo questa dottrina, la diversità di collocazione si spiegherebbe con la considerazione che nel Codex la parte relativa all’ordinamento gerarchico riguarda, più precisamente, le strutture territoriali.

Anche chi non voglia condividere questa tesi nella sua radicalità, dovrà comunque ammettere che le prelature personali vanno assimilate, almeno per quanto attiene al riconoscimento civile, agli enti previsti dal primo comma dell’art. 2 della legge n. 222 del 1985; cioè a quegli enti ecclesiastici che vengono considerati di diritto aventi fine di religione e di culto, senza bisogno di un apposito accertamento caso per caso, necessario invece per altri tipi di ente.
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Dal punto di vista strutturale (can. 294-295), infatti, le prelature personali constano di un prelato avente la giurisdizione di ordinarius proprius, nonché di chierici (sacerdoti, diaconi e seminaristi) in esse incardinati, ed hanno il diritto di istituire un seminario nel quale formare il proprio clero. Pur essendo demandata agli statuti delle singole prelature personali l’ulteriore specificazione dei rispettivi ordinamenti (anche per quanto l’ascrizione di fedeli laici e le modalità in essa), questo schema legale minimo pare sufficiente per riconoscere un marcato parallelismo strutturale fra le prelature personali e gli enti che compongono la struttura territoriale della Chiesa.

Dal punto di vista dello scopo, la finalità tipica e comune alle prelature personali (salva, anche per questo aspetto, l’ulteriore specificazione demandata ai rispettivi statuti) è quella indicata nel § 10 del decreto conciliare Presbyterorum ordinis, di concorrere alla «attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura in tutto il mondo»; e ciò è detto, dal citato decreto, in un contesto nel quale le prelature personali sono accostate ad altre istituzioni quali «seminari internazionali» e «peculiari diocesi».

Pertanto, per quanto riguarda il fine di religione e di culto, quale requisito per il conferimento della qualità di «ente ecclesiastico civilmente riconosciuto», si deve concludere che tale elemento appartiene, per definizione, alle prelature personali canonicamente istituite come tali, e non vi è luogo ad accertamenti o apprezzamenti discrezionali dell’autorità civile.

3. L’assimilazione delle prelature personali agli enti ecclesiastici previsti dal primo comma del art. 2 della legge n. 222 del 1985 rileva anche sotto un altro aspetto: essa, infatti, permette di rendere superfluo un accertamento o apprezzamento dell’autorità civile circa l’entità del patrimonio, o, più genericamente, i mezzi economici dell’ente.

Ed invero, una volta abolito il sistema beneficiale, che, mediante l’istituto della congrua assoggettava lo Stato agli oneri di mantenimento del clero e di espletamento delle funzioni pastorali, è anche superata l’esigenza di quel controllo sui mezzi economici, che era caratteristico del cessato sistema.

4. In questa luce, si può ritenere non necessario (al di là delle ragioni contingenti che, come sopra indicato, nella fattispecie l’hanno reso opportuno o quanto meno giustificato) l’esame dello statuto dell’ente. Ed invero, per la generalità degli enti ecclesiastici, pur quando viene richiesto l’esame dello statuto, è intuitivo che tale esame è ristretto a quelle disposizioni che sono rilevanti ai fini del riconoscimento civile, vale a dire: a) quelle utili a stabilite se l’ente sia classificabile come avente fini di religione e di culto; b) quelle utili a verificare se la struttura giuridico-istituzionale dell’ente sia compatibile con le norme del diritto civile e di quello ecclesiastico.

Ora, nel caso degli enti che costituiscono l’ordinamento gerarchico della Chiesa (fra i quali rientrano, o ai quali sono comunque assimilabili, per quanto qui interessa, le prelature personali) si è già visto che non si pone un problema di verifica dei fini di religione e di culto; e si deve ora aggiungere che non si pone neppure un problema di controllo sulla struttura istituzionale, nel senso che questa nelle sue linee essenziali, è già definita dalle disposizioni generali del diritto canonico. Sicché, per questo tipo di enti una volta accertato che vi è stata l’erezione canonica, e che l’autorità ecclesiastica competente attesta la corrispondenza dell’ordinamento particolare dell’ente (statuto) allo schema tipico che ne dà il codex, ulteriori indagini nel merito dello statuto si possono considerare superflue.

In ogni caso è esclusa la competenza dello Stato ad esprimere giudizi circa le disposizioni dello statuto che riguardano la vita spirituale all’interno dell’ente che chiede il riconoscimento.

5. Le considerazioni sinora svolte permettono, dunque, di concludere che nella fattispecie il riconoscimento della Prelatura della Santa Croce come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto è un atto legittimo e anzi dovuto.

Ciò posto, nulla si oppone a che la Prelatura venga autorizzata ad acquisire il patrimonio della Procura generalizia della Società Sacerdotale della Santa Croce, ente già civilmente riconosciuto e la cui estinzione va ora, del pari, riconosciuta in conformità alla relativa istanza.

In particolare, va detto che se anche risultasse che detta Procura non ha mai ottemperato all’onere di iscriversi nel registro delle persone giuridiche (gli accertamenti istruttori al riguardo non hanno avuto esito), si tratterebbe di un mero inadempimento, amministrativamente rilevante, ma per sé insuscettibile di ostacolare la dichiarazione e la devoluzione dei beni.

P.Q.M. esprime parere favorevole. (Omissis).