Mi è stato affidato
il compito di dissertare sul contenuto della Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae di cui ricorre
il decimo anniversario di promulgazione. Invero questa legge pontificia offre
molti spunti di riflessione, ma io mi concentrerò soltanto su alcuni temi che
presentano maggiore interesse sotto il profilo canonico, lasciando, quindi, ad
interventi ben più autorevoli l’esposizione di altre tematiche assai significative
sul piano pastorale.
Come
è noto, il Codice di Diritto Canonico non contempla specificamente la pastorale
castrense, se non nel breve richiamo del can. 569 a proposito dei cappellani,
per stabilire appunto che «cappellani militum legibus specialibus reguntur»,
riproducendo così il disposto del can. 451, § 3 del Codice precedente. Le
difficoltà sorte nell’ultima fase dell’elaborazione del Codice riguardo la
comprensione della natura teologica e giuridica delle circoscrizioni
ecclesiastiche del tipo degli attuali ordinariati militari fecero sì che le
strutture pastorali per i militari rimanessero fuori dalla regolamentazione
codiciale. Orbene, ciò che di primo acchito può sembrare negativo per la
pastorale castrense -l’esclusione cioè dall’ambito del Codice- diventò
vantaggioso per l’attività della Chiesa nell’ambito militare, poiché essa fu
oggetto di una particolare attenzione da parte del legislatore, frutto della
quale è appunto la Costituzione Apostolica promulgata il 21 aprile 1986[1], con cui il Romano Pontefice ha voluto dotare la pastorale castrense
di una legge specifica, che fa tesoro delle possibilità offerte dal Concilio
Vaticano II, allo scopo di rafforzare la presenza della Chiesa nel mondo
militare.
Nella
Costituzione Apostolica Sacrae
disciplinae leges, S. S. Giovanni Paolo II dichiarava che il Codice di
Diritto Canonico potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in
linguaggio canonistico la dottrina ecclesiologica del Concilio Vaticano II. Mi
pare che si possa affermare altrettanto della legge speciale alla quale rimanda
lo stesso Codice, cioè la Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae; anzi, per certi versi, a maggior ragione,
poiché tratta di un tema direttamente contemplato dal Concilio e ne da una
soluzione giuridica prettamente conciliare, come tenterò di dimostrare di
seguito. In questo mio intervento vorrei perciò illustrare soprattutto alcuni
tratti tipicamente conciliari presenti nella Costituzione Apostolica e alla
loro luce esaminare i temi giuridici che, a mio parere, sono di maggiore
importanza per la corretta comprensione dell’attuale profilo canonico degli
ordinariati militari, tralasciando, invece, l’analisi di questioni minori di
cui si occupa la Spirituali Militum Curae,
ma che sono ben noti. Concretamente, articolerò la mia esposizione in questi
tre punti: la necessità di una pastorale specializzata per il mondo militare;
la giurisdizione cumulativa vista dalla prospettiva della dottrina
ecclesiologica della comunione; il significato dell’assimilazione giuridica
degli ordinariati militari alle diocesi.
1. La necessità di una
pastorale specializzata nel mondo militare
Eximia sollicitudine. «Con esimia
sollecitudine». Con queste parole esordisce la Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae per esprimere
quale sia stato l’atteggiamento con cui la Chiesa ha sempre voluto provvedere
alla cura spirituale dei militari. La Chiesa, infatti, è consapevole (l’ultimo
Concilio ecumenico lo ha esplicitamente ricordato) della responsabilità che
essa ha, di fronte a Dio e alle anime, di seguire spiritualmente quei fedeli
che, per le loro circostanze di vita, hanno bisogno di una speciale attenzione
religiosa, fra i quali si annoverano senz’altro i militari. Volendo trovare
l’idea di fondo che illumina la nuova legislazione relativa alla pastorale
castrense, possiamo individuarla in quest’espressione: «con esimia
sollecitudine» la Chiesa vuole andare incontro al mondo militare per
evangelizzarlo. E’ ai fini di compiere fedelmente la sua missione nell’ambito
della vita castrense che la Chiesa ha previsto la nuova normativa.
Ma, per quale motivo
i militari hanno bisogno di una peculiare assistenza spirituale? Il n. 18 del
Decreto conciliare Christus Dominus
chiedeva una peculiare sollecitudine verso quei fedeli che, per le loro
condizioni di vita, non possono usufruire dell’ordinaria cura pastorale dei
parroci e, in modo esemplificativo, elencava alcune categorie di persone che si
trovano in questa situazione, fra le quali non si menzionava quella dei
militari. Mi pare, infatti, che la ragione, almeno la ragione principale, per
cui è necessaria un’attività pastorale specifica in favore dei militari non si
trovi attualmente nella difficoltà che questi fedeli possano avere per godere
della ordinaria cura pastorale, ma, al contrario, essa va cercata in altre
motivazioni che richiedono una visione ecclesiologica che superi la mentalità
consistente nell’accontentarsi di mettere a disposizione dei fedeli gli
indispensabili mezzi necessari per la salvezza.
Dando uno sguardo veloce
alla storia della pastorale castrense si scorge come la Gerarchia ecclesiastica
si sia preoccupata di organizzarsi in modo peculiare, in considerazione delle
speciali circostanze in cui si trovano i militari[2]. In epoche passate, queste circostanze erano per così dire «esterne»
ai fedeli. Dal punto di vista strettamente canonico, era soprattutto la
mobilità del militare ciò che richiedeva un’organizzazione pastorale peculiare,
che trascendesse i limiti territoriali, giacché la maggiore difficoltà che dovevano
superare i cappellani che accompagnavano gli eserciti stava nella privazione
delle facoltà ministeriali, quando si spostavano dal territorio della diocesi
di origine.
Attualmente, la
legislazione canonica comune ha reso più flessibile i criteri relativi
all’esercizio del ministero sacerdotale e, d’altro canto, la
professionalizzazione degli eserciti ha fatto sì che la vita del militare sia
da considerare più stabile. E’ ben vero che non mancano, tuttavia, casi
specifici in cui i militari si trovano nell’impossibilità di usufruire
dell’ordinaria cura pastorale offerta dalle chiese locali (manovre di lunga
durata, viaggi in mare prolungati e, purtroppo, missioni belliche); in queste
circostanze la presenza del cappellano castrense diventa particolarmente
preziosa[3]. Ma queste circostanze da sole non giustificano l’esistenza di una
struttura ecclesiastica permanente, quale è, appunto, l’ordinariato militare.
Tuttavia, bisogna
riconoscere che le condizioni di vita dei militari non cessano di essere
«peculiari» e bisognose di una pastorale specializzata. Il succitato Decreto Christus Dominus, al n. 43, auspicava
perciò l’erezione degli allora chiamati vicariati castrensi, «cum spirituali
militum curae, ob peculiares eorundem vitae condiciones, eximia debeatur
sollicitudo», poiché sideve avere una speciale sollecitudine per la cura
spirituale dei militari, tenuto conto delle loro peculiari condizioni di vita.
Ma, quali sono queste peculiari condizioni di vita che non impediscono il
godimento della cura ordinaria delle chiese locali e al contempo richiedono una
peculiare attività pastorale della Chiesa? A mio avviso, oggigiorno sono
soprattutto le circostanze «interiori» della vita dei militari a richiedere
un’azione pastorale specializzata. Infatti, un superficiale «pacifismo»,
presente talvolta anche in ambienti cristiani, vorrebbe rendere incompatibile
la professione militare con la vita cristiana. Al contrario, il Magistero della
Chiesa ha visto nei militari i «ministri della sicurezza e della libertà dei popoli»
(Gaudium et Spes, n° 79). Bisogna,
dunque, non solo affermare che la professione militare è conciliabile con le
esigenze della Fede, ma facilitare l’incontro della pienezza della vita cristiana
proprio nell’ambiente militare.
Ora, tutto ciò
presuppone un lavoro di approfondimento della missione che ha da compiere il
militare nella società attuale. Come ebbe a dire il Santo Padre nell’udienza
concessa ai partecipanti al III Convegno Internazionale degli Ordinari
Militari, «evangelizzare il mondo delle Forze Armate significa (…) far
prendere coscienza ai militari del nuovo modo di concepire il proprio ruolo
(…) I cristiani che operano in tale ambito, come singoli fedeli laici e come
facenti parte di comunità ecclesiali, possono dare un grande impulso a questa
nuova concezione della funzione militare, sia attraverso la formazione delle
coscienze, sia mediante una più incisiva diffusione dei valori della giustizia,
della solidarietà e della pace (…) Il ministerium
pacis inter arma può così diventare nuovo annuncio del Vangelo nel mondo
militare, di cui i militari cristiani e le loro comunità non possono non essere
i primi araldi»[4].
Questa è pertanto la
grande sfida della missione degli ordinariati militari: evangelizzare il mondo
militare, rendendo possibile l’incontro con Cristo e la santità a cui sono
chiamati tutti gli uomini, senza abbandonare l’ambiente castrense, facendo sì
che la professione militare diventi effettivamente un servizio alla società
mondiale. Tale missione sarà compiuta soprattutto dagli stessi militari che,
dall’interno a modo di fermento, dovranno impregnare di spirito evangelico la
vita della milizia[5]. Affinché i fedeli militari possano esercitare il loro sacerdozio
comune, occorre, però, l’aiuto del sacerdozio ministeriale, in modo che
sacerdoti e laici, in un’organica cooperazione, compiano la missione della
Chiesa nel mondo castrense, partecipando, ognuno a suo proprio modo, all’unico
sacerdozio di Cristo[6].
Ebbene, è evidente
che i sacerdoti impegnati in questo ministero dovranno essere muniti di certe
caratteristiche specifiche: avere una profonda e diretta conoscenza della vita
castrense, essere in grado di adeguarsi alla mentalità dei militari, conoscere
i problemi di tipo morale che più interessano all’ambiente delle Forze Armate,
avere una disponibilità tale da trovarsi sempre vicino ai fedeli, soprattutto
nei momenti più difficili, ecc.
Ecco, dunque, la
ragione per cui esistono gli ordinariati militari: la Chiesa, con lodevole
sollecitudine, ha voluto dare ai fedeli militari tutti i mezzi salvifici per
facilitare loro, non solo l’ordinaria cura pastorale, ma lo specifico aiuto di
cui essi hanno bisogno per trovare la santità
nel loro ambiente e per svolgere pienamente
la loro missione nel mondo e nella Chiesa. A questo scopo, si richiede un
presbiterio, sotto l’autorità di un prelato, capace di svolgere questa
pastorale specializzata, in modo che sacerdoti e laici, ognuno secondo la
condizione che gli è propria, compiano la missione della Chiesa nel mondo
militare, il ministerium pacis inter arma.
Non mi trattengo di
più su queste considerazioni, ma mi sembra importante che esse siano tenute
presenti lungo l’esposizione di alcune tematiche canoniche che mi accingo a
condurre, giacché costituiscono la ragion d’essere degli ordinariati militari.
2. La giurisdizione cumulativa nell’ottica della communio
Entrando ora nel
nocciolo del regime giuridico degli ordinariati castrensi, esaminiamo dapprima
le caratteristiche della potestà dell’ordinario militare[7]. L’art. IV della Spirituali
Militum Curae afferma che la giurisdizione dell’ordinario militare è
personale (circoscritta cioè secondo un criterio di determinazione delle
persone interessate, anziché mediante l’abituale criterio territoriale),
ordinaria (annessa cioè allo stesso ufficio, in contrapposizione, quindi, con
la potestà delegata) e propria. Quest’ultimo qualificativo introduce un
mutamento nella configurazione della struttura pastorale, poiché prima della Spirituali Militum Curae i prelati
preposti a capo della pastorale castrense erano considerati vicari del Romano Pontefice. Ma la
qualifica della potestà che interessa sottolineare è quella di cumulativa:
«propria sed cumulativa cum iurisdictione Episcopi dioecesani». Tale qualifica
non è, però, una novità: il termine «cumulativa» era stato introdotto, riguardo
all’ordinariato italiano, nel 1940[8], ed era stato poi ripreso dall’Istruzione Sollemne Semper del 1951[9] con carattere generale per tutti i vicariati castrensi. Tuttavia, pur
non essendo una novità, costituisce uno dei tratti essenziali della figura
giuridica dell’ordinariato militare che può ora essere meglio capito alla luce
dell’ecclesiologia del Vaticano II[10].
La Costituzione
Apostolica Spirituali Militum Curae
spiega, nel citato art. IV, perché la giurisdizione dell’ordinario militare è
cumulativa con quella dei vescovi diocesani: cumulativa «nam personae ad Ordinariatum pertinentes esse pergunt fideles etiam illius Ecclesiae particularis
cuius populi portionem ratione domicilii vel ritus efformant». Naturalmente, se
la giurisdizione è cumulativa con un’altra giurisdizione è perché i fedeli che
sottostanno alle due giurisdizioni appartengono sia alla diocesi che
all’ordinariato. Si può affermare, infatti, che il rovescio della medesima
medaglia della giurisdizione cumulativa lo costituisce la doppia appartenenza
dei fedeli alla chiesa locale e all’ordinariato. Ed è proprio questo che va
approfondito dall’ottica della ecclesiologia conciliare.
Una visione
superficiale e giuridista della
questione potrebbe ravvisare nella giurisdizione cumulativa un problema di
concorrenza, onde è necessario arbitrare norme precise per evitare eventuali
conflitti. Senz’altro, l’introduzione della giurisdizione cumulativa implica
uno sforzo tecnico-giuridico per coordinare le due giurisdizioni e comporta che
il legislatore debba prevedere alcune fattispecie che si presentano soltanto
nel caso di coesistenza di più giurisdizioni. Ma una considerazione completa
del fenomeno non può fermarsi in tali problematiche, ma deve tener conto delle
esigenze del principio di comunione nonché della funzione ministeriale (di
servizio) della potestà nella Chiesa.
Pensare alla Chiesa,
infatti, come communio ecclesiarum
implica, da una parte, scartare la concezione della chiesa particolare quale
compartimento stagno e pertanto non deve destare meraviglia che un fedele che
appartiene ad una chiesa particolare per un motivo possa appartenere ad
un’altra per diverse ragioni. Il principio comunionale, d’altra parte, postula
una corresponsabilità di tutti i vescovi nella sollicitudo omnium ecclesiarum. Svilupperò di seguito queste due
conseguenze della comunione ecclesiale.
Può essere utile
rivolgere ancora lo sguardo al Decreto Christus
Dominus dove si prende in considerazione in modo specifico la pastorale in
favore del mondo militare. Il Decreto, come è noto, tratta dell’ufficio
episcopale. Giova rilevare due caratteristiche di questo documento del Vaticano
II. Innanzitutto, esso è stato promulgato poco dopo la Lumen Gentium, vale a dire che il Decreto ha potuto far tesoro
della dottrina circa la natura della Chiesa contenuta in questa Costituzione
dogmatica, con cui si è arricchito il lavoro intrapreso dalla precedente assise
conciliare, che aveva approfondito soprattutto il ministero petrino. In secondo
luogo, va notato che la riflessione circa l’ufficio dei vescovi si muove
nell’ottica del Collegio episcopale, quale successore del Collegio apostolico.
Quest’ultimo rilievo
lo si può notare sol che si analizzi la struttura del Decreto Christus Dominus. Esso si articola in
tre capitoli. Il primo è dedicato alla posizione dei vescovi riguardo alla
Chiesa universale. Nel secondo capitolo si tratta invece del ruolo dei vescovi
nelle chiese particolari. Il terzo, infine, parla dei vescovi che cooperano al
bene di più chiese particolari. Questa divisione, infatti, palesa come,
innanzitutto, ci sia la Chiesa universale, l’unica Chiesa di Cristo fondata da
Gesù Cristo e affidata ai suoi Apostoli e ai loro successori. I vescovi, vicari
di Cristo e successori degli Apostoli, formano un Collegio o corpo, di cui il
capo è il successore di S. Pietro. Al collegio episcopale spetta la massima
autorità nella Chiesa, ben inteso che esso non esiste se non in comunione con
il suo capo, cioè con il Romano Pontefice, il quale non è un primus inter pares, ma, il capo del
corpo episcopale, il Vicario di Cristo per tutta la Chiesa, sulla quale ha una
potestà suprema, diretta e immediata, che può esercitare da solo o con il resto
dei suoi fratelli nell’episcopato. Tutti coloro, dunque, che fanno parte del
collegio episcopale hanno il diritto e il dovere di preoccuparsi per il bene di
tutta la Chiesa; a loro spetta la sollicitudo
omnium ecclesiarum.
La Chiesa, poi, si
realizza nella storia in modo particolarizzato. La Chiesa si fa presente nelle
chiese particolari nelle quali e a partire dalle quali esiste[11] e al contempo, come ha insegnato il Papa, le chiese particolari
esistono nella Chiesa universale e a partire da essa[12]. Queste chiese particolari sono l’immagine della Chiesa universale (in
esse esiste l’unica Chiesa) e perciò hanno i sacramenti e la Parola, i carismi
che lo Spirito elargisce alla sua Chiesa e, sotto il profilo societario, si
articola secondo il triplice elemento di Pastore, aiutato dal suo Presbiterio e
il popolo. Ogni chiesa particolare è quindi una porzione del Popolo di Dio, e
in ogni porzione si dà la stessa struttura di tutto il Popolo di Dio, popolo
sacerdotale basato sull’intreccio fra il sacerdozio comune di tutti i
battezzati e il sacerdozio ministeriale di chi ha ricevuto il sacramento
dell’ordine per poter impersonare
Cristo.
Ebbene, a capo di una
chiesa particolare c’è un Pastore che, grazie alla consacrazione episcopale, e
in seguito alla missio datagli dalla
suprema autorità, funge da Vicario di Cristo in quella porzione del Popolo di
Dio, sicché egli la pasce con il potere che Cristo ha concesso a coloro che si
identificano sacramentalmente con Lui mediante la ricezione dell’ordine sacro
nel massimo grado. Ma mediante la consacrazione episcopale il Pastore entra a far
parte del Collegio episcopale, sicché, quando egli riceve la missione, la sua
sollecitudine per tutte le chiese non scompare, bensì si concretizza in una
porzione particolare. La chiesa particolare, poi, è chiesa perché collegata alla Chiesa universale,
mediante la comunione degli stessi sacramenti, della stessa Parola di Dio,
della stessa carità, e, soprattutto, possiamo affermare che essa è visibilmente
unita alla Chiesa universale attraverso il suo capo, che è membro del Collegio
episcopale.
In un altro ordine di
cose, occorre tener presente, per completare la descrizione della cornice
ecclesiologica nella quale si iscrivono gli ordinariati militari, che il
vescovo governa la chiesa particolare affidatagli con lo spirito di Cristo, che
non venne ad essere servito ma a servire, giacché nella Chiesa la potestà (l’exousia) è per il servizio (la diakonia).
Sulla base delle
considerazioni or ora esposte, diventa evidente quanto risulti fuorviante
pensare al vescovo di una chiesa particolare come il padrone di una porzione del Popolo di Dio o concepire la chiesa
particolare come l’ambito del potere esclusivo
di un vescovo, sebbene il vescovo abbia nella porzione del Popolo di Dio
affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria e immediata necessaria per
l’esercizio della sua missione, in comunione con il Capo e con le membra del
Collegio episcopale.
Tenute presenti
queste riflessioni, si può capire con più profondità perché il Decreto Christus Dominus, dopo la considerazione
della missione universale dei vescovi e dopo aver parlato del ruolo del vescovo
nell’ambito di una chiesa particolare, torna a trattare della missione del
collegio episcopale nei confronti delle chiese particolari, che si concretizza
in uffici o incarichi affidati a singoli vescovi, che compiono la loro missione
episcopale in favore di più chiese particolari. Infatti, all’interno del terzo
capitolo del decreto, intitolato «De Episcopis in commune plurium Ecclesiarum
bonum cooperantibus», troviamo la III sezione, con la rubrica «Episcopi munere
interdioecesano fungentes», che esordisce mettendo in rilievo come le necessità
pastorali esigano sempre più che alcuni incarichi pastorali ‑ che possono
servire a tutte o a più diocesi di una determinata regione o nazione ‑
abbiano unità di indirizzo e di governo, ragione per la quale è opportuno che
siano costituiti alcuni uffici, che possono essere affidati anche a vescovi.
Subito dopo, il Decreto parla degli, allora così chiamati, vicariati castrensi.
Siamo quindi giunti
alla natura intima della giurisdizione cumulativa dell’ordinario militare con
quella dei vescovi diocesani. L’ordinario militare, nell’ottica
dell’ecclesiologia conciliare, svolge un incarico episcopale in favore di più chiese particolari. Sottolineo che
l’incarico dell’ordinario militare è episcopale perché è una concretizzazione
della missione dell’intero Collegio dei vescovi e perché deve pascere, aiutato
da un presbiterio, il gruppo di fedeli in favore dei quali è stato deputato[13].
La giurisdizione
cumulativa pertanto presuppone necessariamente la preesistenza di un’altra
giurisdizione ecclesiastica, alla quale si sovrappone o si «cumula». Ciò non è
un’ingerenza indebita nella «diocesi di un vescovo», ma è la concretizzazione
della potestà (exousia) del collegio
dei vescovi nei confronti di tutte le chiese che serve (diakonia) al bene di più diocesi.
La suprema autorità
della Chiesa, dunque, costituisce una giurisdizione che si cumula con altre già
esistenti perché vuole offrire un’attività pastorale peculiare, specializzata,
ai fedeli di più chiese particolari; attività che, per la sua peculiarità, le
diocesi non sono in grado di offrire ai loro fedeli. La giurisdizione
cumulativa con quella dei vescovi diocesani è, in definitiva, un servizio alle
diocesi; credo che sia questo l’aspetto essenziale della pastorale castrense
che vada sottolineato e spiegato agli ordinari locali. I frutti spirituali
raggiunti all’interno degli ordinariati militari riverberano nelle diocesi
locali; ciò accadde specialmente, ma non solo, nel caso dei giovani di leva che
incontrano Cristo durante il servizio militare e, trascorso un breve periodo di
tempo, tornano alla loro diocesi di origine.
In effetti, è noto
come l’attività pastorale svolta all’interno degli ordinariati militari
costituisca spesso un impulso per una maggiore ricchezza della vita cristiana.
Basta leggere le relazioni presentate dagli Ecc.mi vescovi militari nell’ultimo
Convegno Internazionale degli ordinari militari per accorgersi del fatto che
l’ambiente castrense è particolarmente propizio per svolgere talune attività
che le parrocchie non sono spesso in grado di offrire; penso, ad esempio, ai
corsi di tipo dottrinale che si possono dare ai giovani di leva, alla
particolare incisività dell’attività del cappellano che condivide in parte la vita
dei militari, ecc.
Proprio perché la
giurisdizione cumulativa è un servizio derivato dalle esigenze comunionali, la Spirituali Militum Curae stabilisce
alcune disposizioni affinché la cumulazione di giurisdizioni si realizzi
armonicamente. Non vorrei ora trattenermi sui particolari tecnici che presenta
la giurisdizione cumulativa dell’ordinario militare con quella dell’ordinario
locale. Desidererei, invece, evidenziare come il disposto dell’art. III della
Costituzione Apostolica Spirituali
Militum Curae, che stabilisce che l’ordinario militare appartiene ipso iure alla Conferenza Episcopale,
risponda alla fondamentale idea di concepire il ruolo dell’ ordinario castrense
come un aiuto alle chiese locali che deve essere compiuto in comunione con i
vescovi locali. La presenza del vescovo militare nella Conferenza Episcopale
deve servire tra l’altro a far comprendere agli altri vescovi il servizio che le diocesi ricevono
mediante l’azione dell’ordinariato militare, giacché i fedeli beneficiati
dall’azione pastorale dell’ordinariato militare non cessano di appartenere alle rispettive diocesi locali.
Esponendo le cose in questi termini, penso che sia anche facile far comprendere
la responsabilità che i vescovi locali hanno di fornire sacerdoti idonei e in
numero conveniente all’ordinariato castrense, qualora esso non fosse ancora
autosufficiente.
Mi pare anche che lo
spirito di collaborazione e di reciproca conoscenza fra i responsabili della
pastorale castrense e quelli della pastorale diocesana si debba riprodurre su
tutti i livelli. In particolare, penso a quanto sia auspicabile che i
cappellani militari, anche quelli che sono di dedicazione totale e forse
incardinati nell’ordinariato, partecipino attivamente ai consigli presbiterali
delle diocesi dove risiedono, dato che svolgono un ministero in favore di
fedeli che sono anche fedeli di quella diocesi.
Fin qui ho
considerato la giurisdizione cumulativa dalla prospettiva dei titolari della
potestà. Bisogna ora completare la visione della tematica affermando che, dal
punto di vista del fedele, la giurisdizione cumulativa è un servizio,
un’offerta che la Chiesa gli fa, un riconoscimento del suo diritto di libertà.
In effetti, il fedele sottoposto alla giurisdizione cumulativa è libero di
ricorrere ai mezzi salvifici offertigli dall’ordinariato o a quelli forniti
dalla chiesa locale. Qualunque limitazione di questa libertà del fedele è da
ritenersi illegittima.
Ma quanto sinora
detto, benché sia stato esposto nell’ottica dell’ecclesiologia conciliare, non
è che una visione parziale della pastorale castrense, giacché è stata
contemplata sul versante della giurisdizione. La caratteristica più saliente,
sotto il profilo ecclesiologico, della vigente normativa, invece, si trova nel
concepire gli ordinariati militari non più come mere circoscrizioni del potere
di un ordinario, ma soprattutto come vere porzioni del Popolo di Dio, vale a
dire, quali comunità ecclesiali, composte, cioè, da un gruppo di fedeli,
guidato da un Pastore proprio con l’aiuto del suo Presbiterio. L’analisi, però,
dell’aspetto comunitario della pastorale castrense ci porta a riflettere
sull’ultimo punto che mi proponevo di trattare, e cioè il significato
dell’assimilazione giuridica dell’ordinariato militare alla diocesi.
3. Significato dell’assimilazione giuridica
dell’ordinariato alla diocesi
La Costituzione
Apostolica Spirituali Militum Curae
definisce gli ordinariati militari quali peculiari circoscrizioni
ecclesiastiche (art. I, § 1). Il primo significato del termine «circoscrizione»
è quello di delimitazione della giurisdizione di qualcuno. Tale concetto è
ineccepibile e, sul piano canonico, assai utile, ma, sotto il profilo
ecclesiologico non ci si può fermare in questa nozione, perché sarebbe una
concezione troppo gerarcologica della
Chiesa. In effetti, per avere una visione più completa, bisogna affermare che
c’è una giurisdizione perché c’è una comunità. La stessa Costituzione
Apostolica Spirituali Militum Curae,
accanto alla nozione di circoscrizione della giurisdizione dell’ordinario,
offre un’immagine dell’ordinariato come comunità ecclesiale: l’art. VI parla
del presbiterio dell’ordinariato e l’art. X determina chi sono i fedeli che,
non solo si trovano sotto la giurisdizione dell’ordinariato militare, ma ad
esso appartengono.
Il versante comunitario
dell’ordinariato militare si mette in risalto nel considerare la caratteristica
missionaria della Chiesa e, concretamente, di questa porzione del Popolo di
Dio. Infatti, l’ordinariato castrense ha una finalità precipuamente pastorale:
offrire abbondantemente i mezzi di salvezza ai fedeli che, per loro peculiari
circostanze di vita, necessitano di una peculiare attenzione spirituale. Ma, la
presenza dell’ordinariato nelle Forze Armate ha anche come scopo quello di
evangelizzare il mondo militare, come sottolineano i convegni di vescovi
militari celebratisi recentemente. E’ evidente che per tale compito non basta
il lavoro dei cappellani, diretti dall’ordinario, ma si precisa anche e
soprattutto l’attività dei laici che, con la loro vita e il loro esempio,
testimonino il messaggio cristiano fra i loro colleghi. L’attività, dunque,
dell’ordinario militare, sotto questo profilo, coinvolge non solo l’ordinario e
i presbiteri, suoi collaboratori, ma l’intera comunità.
La considerazione
dell’elemento comunitario dell’ordinariato pone una questione teorica che va
approfondita. L’ordinariato, in effetti, è, sì, una comunità, ma sulla base di
altre comunità. I fedeli dell’ordinariato sono già membri di altre strutture
ecclesiastiche. Non esistono membri dell’ordinariato che siano soltanto fedeli
dell’ordinariato militare. Come è stato già messo in rilievo, la giurisdizione
dell’ordinario militare è cumulativa,
il che significa che i fedeli che sottostanno a tale giurisdizione appartengono
necessariamente anche ad altre giurisdizioni.
Naturalmente, i
fedeli che appartengono ad una diocesi possono anche far parte di un’altra o
stabilire rapporti con altre. Ma non è questa la questione. Infatti, in una
diocesi locale potrebbe pure succedere che tutti i suoi fedeli appartengano
anche ad altre diocesi per diversi titoli, ma è parimenti possibile che tutti i
fedeli di una diocesi afferiscano soltanto ad essa, vale a dire che il loro
rapporto con la Chiesa universale si realizzi soltanto attraverso la diocesi
alla quale appartengono per via del domicilio o del rito. L’ordinariato
militare, invece, presuppone sempre l’esistenza di queste chiese particolari
che possiamo provvisoriamente chiamare «originarie»[14].
Per avvicinarsi a
questa problematica, va premesso, come affermava la Commissione Teologica
Internazionale, che all’interno della Chiesa v’è una struttura fondamentale di
diritto divino, che si sviluppa storicamente mediante realizzazioni concrete
che il diritto canonico si occupa di definire[15]. In forza della volontà fondazionale di Cristo la Chiesa esiste nelle
chiese particolari e a partire da esse, ma la Chiesa può anche organizzare la
sua struttura gerarchica nel modo che ritiene più adatto per compiere la sua
missione, ben inteso che le realizzazioni storiche hanno un diretto rapporto
con la struttura fondamentale d’origine divina, sicché le concretizzazioni di
diritto umano non possono essere arbitrarie, ma dipendono dalle caratteristiche
essenziali della Chiesa, così come Cristo la ha fondata.
In effetti, sulla base
delle «originarie» chiese particolari, la Chiesa può anche creare altre
strutture ecclesiastiche, risultato dello sviluppo della sua organizzazione
gerarchica, con tutti gli elementi societari della chiesa particolare: una
porzione del Popolo di Dio guidata da un Pastore con funzioni episcopali,
coadiuvato da un presbiterio. Ma, come mai possono esistere comunità che si
sovrappongono ad altre già esistenti, nel senso che il loro popolo non è
esclusivo, ma condiviso, se si
ammette l’espressione, con le comunità preesistenti? Per capire questo dobbiamo
guardare ancora una volta alla ricchezza del mistero della Chiesa, concepito
come communio ecclesiarum.
La Congregazione per
la Dottrina della Fede si è occupata quattro anni fa, in un importante
documento, delle questioni ecclesiologiche più scottanti del post-Concilio; mi
riferisco alla Lettera ai Vescovi della
Chiesa Cattolica su alcuni punti della Chiesa intesa come comunione, del 28
maggio 1992, spesso citata nel parlare degli ordinariati militari[16]. Questo documento, dopo aver trattato del rapporto di reciproca
immanenza che intercorre fra la chiesa particolare e la Chiesa universale,
dichiara che «per avere una visione più completa di questo aspetto della
comunione ecclesiale ‑ unità nella diversità ‑, è necessario
considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall’Autorità
Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i
loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano. Tale
appartenenza alle Chiese particolari, con la flessibilità che le è propria, trova diverse espressioni
giuridiche. Ciò non solo non intacca l’unità della Chiesa particolare fondata
nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a questa unità l’interiore
diversificazione propria della comunione
(…). Per il loro carattere sovradiocesano, radicato nel ministero petrino,
tutte queste realtà ecclesiali sono anche elementi al servizio della comunione
delle diverse Chiese particolari»[17].
Il brano citato
meriterebbe di essere attentamente analizzato. Per motivi di spazio, però, mi
limiterò a far risaltare alcune affermazioni che più gettano luce sulla nostra
tematica.
Innanzitutto, si
afferma che è necessario considerare l’esistenza di queste comunità sovradiocesane
per avere una visione più completa della Chiesa intesa come mistero di
comunione. In effetti, da una parte, c’è il dato di fatto che non può essere
disconosciuto: l’attuale organizzazione della Chiesa si presenta così, con la
presenza di queste comunità. D’altra parte, la considerazione di questo
fenomeno giova ad una comprensione globale del mistero di comunione. Infatti,
la riflessione sul mistero della Chiesa che si fermasse al rapporto delle
chiese particolari con la Chiesa universale a livello di diritto divino, senza
includere esplicitamente la considerazione di questi sviluppi di diritto umano
dell’organizzazione ecclesiastica, correrebbe il rischio di non cogliere con la
dovuta profondità le dimensioni comunionali del mistero della Chiesa. Occorre
invece tener presente che l’esistenza di comunità sovradiocesane stabilite
dall’Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali sono «elementi al
servizio della comunione delle diverse Chiese particolari» perché rafforza il
vincolo di comunione esistente fra le chiese particolari e la Chiesa
universale. Queste comunità sono la realizzazione pratica del principio che le
chiese particolari non sono compartimenti stagni e perciò i loro membri possono
essere al contempo membri di altre porzioni del Popolo di Dio. Le comunità
sovradiocesane sono stabilite dall’autorità suprema della Chiesa perché ad essa
spetta direttamente la responsabilità della «communio omnium ecclesiarum» e,
come frutto della sua sollecitudine, le crea per svolgere peculiari opere
pastorali al servizio delle chiese particolari previamente esistenti. Tutto ciò
avrà «diverse espressioni giuridiche»; ciò che bisogna in ogni caso ribadire è
che l’esistenza di queste strutture, presenti ed operanti nei territori delle
diocesi per il loro servizio, «non solo non intacca l’unità della Chiesa
particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a questa unità
l’interiore diversificazione propria della comunione».
Tutto ciò si trovava
già implicito nel decreto conciliare Christus
Dominus, che affermava che all’interno del Collegio episcopale ‑
suprema autorità della Chiesa universale, a capo del quale c’è il Romano
Pontefice ‑ ci sono vescovi che si incaricano di compiti riguardanti
direttamente il bene della Chiesa universale, altri che stanno a capo delle
chiese particolari ed altri che cooperano al bene di più chiese particolari.
Sennonché adesso bisogna sottolineare che non c’è soltanto il «vescovo che
coopera al bene di più diocesi», ma egli è a capo di una porzione del Popolo di
Dio, in cui c’è anche un presbiterio e un coetus
fidelium.
Le comunità
sovradiocesane di cui stiamo trattando potranno adottare diverse forme
giuridiche. Evidentemente un tipo di esse è l’ordinariato militare, che è una
«peculiare circoscrizione ecclesiastica» che viene «assimilata giuridicamente
alla diocesi», come afferma l’art. I, § 1 della Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae. Qui viene
subito da chiedersi quale è la portata esatta dell’espressione «assimilazione
giuridica» alla diocesi; d’altro canto, se, come sembra, la chiesa particolare
si identifica in qualche modo con la diocesi e l’ordinariato militare è
assimilato alla diocesi, ciò vuol dire che l’ordinariato militare non è una
chiesa particolare ma solo ad essa assimilata?
Si tratta in realtà
di due questioni molto legate fra di loro ma di diversa natura: l’assimilazione
giuridica alla diocesi è un problema prettamente canonico, mentre la domanda
circa l’applicabilità della nozione della chiesa particolare all’ordinariato
militare è piuttosto teologica. Per procedere con ordine, sarà meglio
affrontare prima il problema teologico e, poi, cercherò di dare una risposta al
quesito canonico. Premetto, però, che non intendo scendere ai particolari della
discussione dottrinale in corso circa queste difficili questioni, ma tenterò di
mettere in risalto alcuni punti ormai chiari che possono essere sufficienti per
una comprensione completa della figura dell’ordinariato militare[18].
Per quanto riguarda
la domanda se l’ordinariato militare è una chiesa particolare o no, vanno
subito poste alcune premesse di carattere metodologico. Innanzitutto, cosa si
intende per chiesa particolare?
Se il concetto
«chiesa particolare» è univoco o analogo è una questione che spetta alla
teologia determinare. In questa sede interessa soltanto prendere atto del fatto
inconfutabile che il Magistero della Chiesa e la legislazione canonica non
adoperano l’espressione «chiesa particolare» in modo univoco. Bastino alcuni
esempi per dimostrare la veracità di quest’affermazione.
Il can. 368 afferma
che la chiesa particolare è innanzitutto la diocesi, alla quale vengono
assimilate altre strutture ecclesiastiche. Le altre circoscrizioni, assimilate
alla diocesi (prelatura territoriale, abbazia territoriale, vicariato apostolico,
prefettura apostolica, amministrazione apostolica stabilmente eretta), sono
chiese particolari, stando alla redazione del can. ora citato e alla ubicazione
sistematica dei canoni che regolano queste strutture, che stanno sotto la
rubrica «de ecclesiis particularibus». Il can. 134, § 1, invece, equipara queste comunità alla chiesa
particolare, onde sembra che la chiesa particolare sia soltanto la diocesi (le
altre, se vengono equiparate, è perché non sono tali).
Da parte del
Magistero, bisogna dire che i documenti del Concilio Vaticano, pur rilanciando
l’importanza della chiesa particolare, non ne ha fornito nessuna definizione,
salvo la descrizione della diocesi, di cui al n. 11 del Decreto Christus Dominus, che sembra
identificare diocesi con chiesa particolare[19]. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, poi, identifica diocesi (o
eparchia) con chiesa particolare. Ora, il Romano Pontefice si è riferito più
volte agli ordinariati militari, che sono assimilati
alla diocesi, come «chiese particolari» (non come assimilati alle chiese particolari)[20].
Insomma, da tutto ciò
non si desume altro che: a) la non univocità del termine «chiesa particolare»
fa sì che prima di chiedersi se l’ordinariato militare sia o no una chiesa
particolare bisogna determinare il significato di questa espressione; b) la
problematica è più accademica che pratica.
Se per «chiesa
particolare» intendiamo soltanto le porzioni del Popolo di Dio che, non solo
hanno in sé la pienezza sacramentale e carismatica e sono presiedute dal
vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, ma aggiungiamo anche come nota
concettuale essenziale quella di essere comunità «originarie» di fedeli, nel
senso che senza di esse non si può concepire l’unica Chiesa di Cristo, allora
dovremo dire che gli ordinariati militari non sono chiese particolari, ma un
altro tipo di comunità che si «sovrappone» ad esse, i cui fedeli appartengono
già ad esse. Questo concetto stretto di chiesa particolare può essere
utilizzato dalla teologia e talvolta dal Magistero e dalla legislazione canonica.
Ora, accanto a tale
nozione, vi è un’altra che include come note essenziali del concetto di chiesa
particolare soltanto quelle che sono presenti in qualsiasi porzione del Popolo
di Dio affidata a un vescovo coadiuvato da un presbiterio, unita per mezzo del
Vangelo e dell’Eucaristia nello Spirito Santo. In questo senso anche
l’ordinariato militare è una chiesa particolare. E bisogna aggiungere che l’uso
di questo concetto, più largo del precedente, è legittimo perché adoperato più
volte dall’autorità ecclesiastica.
Ho tralasciato il
criterio di personalità o territorialità come elemento configurativo della
chiesa particolare perché mi sembra che si tratti di un criterio giuridico e
non teologico. Del resto è ovvio che sono criteri molto relativi, poiché sono
impensabili la pura territorialità o la pura personalità[21]. Ciò che invece è sostanziale è la distinzione fra l’originarietà
delle circoscrizioni che hanno un popolo, i cui membri non hanno necessità di
appartenere ad altre circoscrizioni, e la complementarità degli altri tipi di
strutture che richiedono, per loro propria natura, che i fedeli che formano il
loro popolo appartengano anche ad altre chiese.
Ad ogni modo, come si
vede subito, la questione non risolve nessun problema pratico. E’ utile, però,
tener presente queste nozioni per poter applicare agli ordinariati militari la
ricchezza dottrinale del Concilio Vaticano II circa la communio ecclesiarum e l’affectus
collegialis all’interno del Collegio dei vescovi, sul senso comunitario
delle circoscrizioni ecclesiastiche e, quindi, sulla corresponsabilità di tutti
i fedeli nella missione della Chiesa, sulla natura diaconale della potestà
ecclesiastica, ecc.
Ciò che invece ha
risvolti più importanti sul piano pratico è la questione relativa all’assimilazione
giuridica dell’ordinariato militare alla diocesi. E su questo punto bisogna
subito segnalare un equivoco che mi sembra che talvolta si sia dato, e cioè,
che occorre distinguere nettamente l’assimilazione alla diocesi delle comunità
di cui al can. 368 dall’assimilazione (o, meglio, dalla ragione
dell’assimilazione) degli ordinariati.
Le prelature
territoriali, i vicariati apostolici, ecc., sono circoscrizioni ecclesiastiche
che non sono diocesi per motivi congiunturali. Si tratta di chiese particolari
che non possono seguire la disciplina comune della diocesi perché sono ancora
in formazione o per problemi nei rapporti con le autorità civili, o per altri
motivi. Talvolta, sono comunità che palesano la loro condizione di precarietà
nella mancanza di elementi importanti per la configurazione di una vera chiesa
particolare, come può essere il fatto che alcune di esse non hanno un vescovo
che le presieda. Si tratta, in definitiva, di circoscrizioni ecclesiastiche che
sono chiamate a diventare diocesi quando riusciranno a svilupparsi o a superare
le difficoltà che le trattiene in quello stato giuridico[22].
Nel caso degli
ordinariati militari la questione è ben diversa. Gli ordinariati militari non
sono assimilati alle diocesi per ragioni congiunturali o perché non si sono
ancora sviluppati a sufficienza. Gli ordinariati militari sono quelle porzioni
del Popolo di Dio stabilite dall’Autorità Apostolica che stanno per compiere
determinati compiti pastorali in favore delle chiese particolari; non sono
diocesi perché sono comunità sovradiocesane. Ma, siccome, si tratta di porzioni
del Popolo di Dio in cui si trova la medesima struttura societaria della
diocesi (vescovo, presbiterio, popolo), nulla osta perché si applichi loro lo
stesso statuto giuridico delle diocesi: sono assimilati giuridicamente alle
diocesi. Assimilati perché non lo sono (e non lo sono, non perché non ci siano
ancora arrivati, ma perché sono un’altra cosa), sebbene, proprio perché hanno
quasi tutti gli elementi strutturali delle diocesi, vengano legalmente
assimilati ad esse: l’assimilazione giuridica implica che non c’è identità fra
gli enti assimilati (altrimenti non sarebbero assimilati ma identici), ma
comporta altresì che vi sia una somiglianza, elementi comuni che consentono
l’assimilazione giuridica, cioè giusta, non arbitraria[23].
Gli ordinariati
militari, insomma, non sono chiamati a diventare diocesi; essi sono comunità
che riflettono lo sviluppo storico dell’organizzazione ecclesiastica e che
hanno un regime giuridico assimilato a quello della diocesi in forza degli
elementi comuni che con essa hanno. Non è un problema di grado, ma di sostanza.
L’unica crescita
sostanziale che gli ordinariati militari potrebbero avere nella loro esistenza
sarebbe, alla stessa stregua delle comunità di cui al can. 368, che
l’ordinario, nel caso in cui non fosse insignito della dignità episcopale,
venisse consacrato vescovo. Tanto alle comunità del can. 368 quanto a quelle
sovradiocesane si addice, per loro natura, che i loro Pastori siano vescovi,
dato che la loro funzione è episcopale. Ad ogni modo, certe circostanze possono
consigliare di far presiedere a un presbitero queste porzioni del Popolo di
Dio. Quale sia il fondamento della potestà di questi presbiteri e quale sia la
qualifica ecclesiologica delle comunità che si trovano in questo stato è un
problema che spetta risolvere alla teologia, che per il momento non ha dato una
risposta definitiva. Ciò che interessa affermare è che mediante la
consacrazione episcopale si normalizza
l’assetto di queste circoscrizioni, che si rendono complete sul piano
sostanziale.
La Costituzione
Apostolica Spirituali Militum Curae
prevede che l’ordinario militare possa non essere vescovo (art. II, § 1).
L’ordinariato castrense che avesse a capo un presbitero sarebbe anche assimilato
giuridicamente alla diocesi, sebbene «la natura delle cose» comporterebbe qui
maggiori limitazioni all’applicazione del regime diocesano. In questa ipotesi,
l’ordinariato militare si troverebbe in una situazione di precarietà, che, di
per sé, richiamerebbe la necessità di superare gli ostacoli che impediscono lo
sviluppo normale della struttura pastorale, la quale vorrebbe, appunto, un
vescovo come Pastore. Fuori, però, di questo caso, non mi sembra che gli
ordinariati militari debbano realizzare nessuna crescita strutturale
(ovviamente, sotto il profilo apostolico e pastorale sono chiamati a crescere
come tutte le realtà della Chiesa).
L’assimilazione
giuridica, poi, è uno strumento giuridico che consente di applicare il
principio di economia legislativa, vale a dire, si applica lo stesso regime
giuridico a due fattispecie non identiche, ma che, per la loro somiglianza, si
sottomettono alle stesse conseguenze giuridiche, senza dover raddoppiare le
disposizioni normative. Tuttavia, non sarebbe giusto che laddove qualche
differenza ci sia si applichi in blocco la stessa norma; ciò non sarebbe
economia legislativa, ma pigrizia legislativa e, in ultima analisi,
ingiustizia. Perciò le assimilazioni giuridiche legalmente stabilite riportano
solitamente delle clausole che garantiscono le dovute eccezioni. Ciò avviene
nel nostro caso: agli ordinariati militari si applica quanto stabilito per le
diocesi, a meno che consti altrimenti dalla natura delle cose o dagli statuti[24].
In sede statutaria,
l’assimilazione giuridica, stabilita dalla Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae, consente,
dunque, la brevità degli statuti, che possono omettere molti dei disposti
codiciali relativi alle diocesi; laddove gli statuti non contemplino una
determinata materia, si dovrà ricorrere alla normativa sulle diocesi, a meno
che consti altrimenti dalla natura delle cose. Orbene, l’assimilazione permette
anche la possibilità di fare quante eccezioni convenga alla normativa comune
delle diocesi; perciò è assimilazione, non identità. Mi chiedo sino a che punto
si sia tenuto presente nella redazione degli statuti la possibilità di
discostarsi dalla normativa relativa alle diocesi quando ciò risultasse più
adatto alle circostanze della vita dell’ordinariato. Dall’analisi degli statuti,
infatti, si può, secondo la mia opinione, ravvisare un certo mimetismo con le
disposizioni codiciali sulle diocesi che forse non giova all’efficienza degli
ordinariati militari. Penso, ad esempio, alla possibilità di snellire
l’organizzazione interna di governo dell’ordinariato militare, visto che esso
non è tenuto ad avere tutti gli organismi che invece sono prescritti per le
diocesi, e, del resto, il fatto di contare su un’organizzazione assai complessa
non aggiunge nulla all’importanza ecclesiale dell’ente[25].
Con tali
considerazioni non pretendo altro se non di richiamare l’attenzione sul fatto
che, a mio avviso, il cammino per far conoscere il valore della presenza e
dell’operato dell’ordinariato militare non è tanto quello di affermare la sua
categoria diocesana, quanto di far vedere il servizio che esso presta alle diocesi. Sul piano giuridico,
l’ordinariato militare non necessita di più di quanto gli sia stato
riconosciuto dalla Spirituali Militum
Curae; esso è già assimilato (nel senso sopra descritto) alla diocesi.
Resta, invece, da far comprendere meglio i vantaggi, che sul piano apostolico,
comporta la presenza degli ordinariati militari. A questo scopo credo che la
strada sia quella di sottolineare il fatto che i fedeli dell’ordinariato castrense
non cessano di appartenere alle chiese locali e che la giurisdizione cumulativa
è un’espressione della comunione che esiste fra i membri del Collegio
episcopale. Penso, viceversa, che se l’accento viene marcato eccessivamente sul
fatto che l’ordinariato militare è una chiesa particolare come una diocesi, o
come una diocesi personale, si corra il serio rischio di oscurare ciò che è la
chiave di volta dell’ordinariato militare concepito come un servizio alla communio ecclesiarum dalla prospettiva
dell’ecclesiologia conciliare, e cioè che i fedeli dell’ordinariato non sono
fedeli esclusivamente dell’ordinariato, ma loro non cessano, a tutti gli
effetti, di appartenere alle chiese locali[26]; d’altro canto, questa impostazione potrebbe provocare l’effetto contrario
all’affectus collegialis proprio
della comunione che ci deve essere fra i vescovi, la cui prima manifestazione
sarebbe la mancanza di senso di responsabilità verso le necessità
dell’ordinariato castrense da parte dei membri della Conferenza Episcopale. Del
resto, se si facesse una chiesa esclusiva con i militari e le loro famiglie
-ammesso e non concesso che ciò fosse possibile-, ciò non gioverebbe ad altro,
a mio avviso, che a rendere difficile la comprensione del ruolo del militare
nella società civile ed ecclesiale.
Tuttavia, non va
neppure dimenticato quanto detto prima circa la natura comunitaria
dell’ordinariato militare. L’ordinariato castrense non è una mera
organizzazione ecclesiastica che elargisce dei servizi pastorali specializzati
a fedeli di altre chiese particolari. Il vescovo militare, con la cooperazione
del suo presbitero, convoca nello Spirito Santo, mediante il Vangelo e
l’Eucaristia, i fedeli che gli sono stati affidati.
Il fatto che
l’ordinariato castrense abbia questo aspetto comunitario comporta importanti
conseguenze sul piano pastorale che non spetta a me illustrare. Vorrei però
richiamare l’attenzione su un particolare che, secondo me, potrebbe aiutare a
mettere meglio in rilievo l’aspetto comunitario di cui stiamo trattando. Mi
riferisco alla possibilità di riesaminare fino a che punto sia ancora
conveniente mantenere la prassi di attribuire titoli di chiese particolari
estinte ai vescovi militari[27].
Prima della
promulgazione della Spirituali Militum
Curae, i vicari castrensi erano concepiti, appunto, come vicari del Romano
Pontefice e risultava congruo con la loro condizione che, se erano insigniti
della condizione episcopale, fossero vescovi titolari. Attualmente rimane
questa prassi che può stare a significare che i vescovi non sono i vescovi di
ciò che abbiamo chiamato «chiese particolari originarie», ma membri del
Collegio episcopale che hanno ricevuto un incarico proprio della dimensione
universale della potestà ecclesiastica, nel senso che sono stati chiamati a
svolgere un ufficio in favore di più diocesi. Tuttavia, tenendo conto della
prassi attuale della Chiesa, ritengo che sarebbe più confacente con la realtà
delle cose che tutti i vescovi che sono a capo di una porzione del Popolo di
Dio abbiano come titolo il coetus fidelium
sul quale hanno la responsabilità pastorale diretta. Per quanto riguarda gli
ordinariati militari , insomma, penso che in questo punto si potrebbe applicare
l’assimilazione giuridica senza fare nessuna eccezione.
E’ giunto ormai il
momento di concludere. Io non ho inteso altro che offrire alcune riflessioni
che aiutassero a comprendere con più profondità l’attuale organizzazione della
pastorale castrense e il suo fondamento ecclesiologico e ho tentato,
soprattutto, di proporre alcune considerazioni che potessero aiutare a far
comprendere i frutti pastorali che possono nascere dal ministero della Chiesa
nel mondo militare se esso viene compiuto in spirito di comunione.
Eduardo Baura
* Testo della conferenza pronunciata a Buenos Aires, il 5 settembre 1996,
in occasione del IV° Convegno internazionale di Ordinari militari, organizzato
dalla Congregazione per i Vescovi.
Thus, men with libido affected may require a more profound comprehension of pharmaceutical with respect to the endocrinologist to recognize and work in a joint effort with another authority (a gynecologist nakatsumassagewellness.com online levitra in instances of barrenness). Many argue that Audigier’s unique marketing style is brand viagra online the reason for the same and use surgical procedures if necessary. In present’s aroused and laboring occupational cheap sildenafil india life more and more people are trusting on occupational therapist works. According to Joanne Fritz «during this recession, there are also certain other condition where women may not feel the generic viagra canada same say for instance, there are sexual performance issues creating a large dysfunction in the union.
[2] Cfr. A. Viana, Territorialidad y personalidad en la
organización eclesiástica. El caso de los ordinariatos militares, Pamplona
1992, pp. 17-64.
[3] La Chiesa, infatti, si sforza affinché le autorità civili facilitino
l’assistenza spirituale alle Forze Armate proprio nelle peculiari circostanze
in cui i soldati subiscono i rischi propri delle missioni militari. Vedi J.L. Tauran, L’assistenza religiosa alle Forze di Pace delle Nazioni Unite, in La nuova evangelizzazione nel mondo
militare. III° Convegno Internazionale degli Ordinariati Militari. 7-11 marzo,
Città del Vaticano 1994, pp. 31-37.
[4] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Terzo Convegno
Internazionale degli Ordinariati Militari, del 11 marzo 1994, in La nuova evangelizzazione…, cit., pp.
16-17.
[7] Cfr. E. Baura, L’ufficio di ordinario militare. Profili
giuridici, in «Ius Ecclesiae», 4 (1992), pp. 385-418 e la bibliografia ivi
citata.
[12] Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana del 20
dicembre 1990, in AAS, 83 (1991), pp. 745-747.
[14] Cfr. in questo senso A. Vallini,
L’identità dell’Ordinariato Militare,
in La nuova evangelizzazione…, cit.,
p. 47.
[15] Cfr. Commissione Teologica
Internazionale, Themata selecta de
ecclesiologia, Città del Vaticano, 1985, n. 5.1.
[16] Cfr. Saluto di apertura di
Sua Eminenza il Card. B. Gantin,
in La nuova evangelizzazione…, cit.,
p. 24 e A. Vallini, op. cit., pp. 43 e 52.
[17] Congregazione della Dottrina
della Fede, Litterae ad Catholicae
Ecclesiae Episcopos de aliquibus aspectibus Ecclesiae prout est Communio,
28 maggio 1992, n. 16, in AAS, 85 (1993), pp. 847 e 848 (tr. italiana, Idem, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni punti della Chiesa
intesa come comunione, Città del Vaticano 1992).
[18] Può dar un’idea dello status
quaestionis della teologia sulla chiesa particolare gli atti di due congressi
sul tema: Aa. Vv., Iglesia universal e Iglesias particulares,
in IX Simposio internacional de Teología,
Pamplona 1989 e Aa. Vv., Iglesias locales y catolicidad, in Actas del coloquio internacional celebrado
en Salamanca, 2-7 abril 1991, Salamanca 1992.
[19] Tuttavia, il Decreto Orientalium
Ecclesiarum, nn. 2 e ss. chiama «chiese particolari» a delle aggregazioni
rituali che abbracciano più diocesi o eparchie.
[20] Cfr., p. es., Giovanni Paolo II,
Discorso ai partecipanti al Terzo
Convegno Internazionale degli Ordinariati Militari, del 11 marzo 1994, cit.
e Discorso ai cappellani militari
italiani, del 19 ottobre 1995 (in «L’Osservatore Romano», 20 ottobre 1995,
p. 5). D’altra parte, gli statuti degli ordinariati militari tendono a
considerare l’ordinariato come una chiesa particolare. L’art. 5 degli statuti
dell’ordinariato italiano lo afferma esplicitamente, con speciale forza (cfr. E. Baura, Legislazione sugli ordinariati militari, Milano 1992, p. 258).
[21] Una circoscrizione ecclesiastica territoriale può talvolta adoperare
un criterio personale, superando i limiti territoriali (perché segue gli
assenti) o non sottomettendo alla sua giurisdizione i transeunti che si trovano
di fatto nel suo territorio (cfr. cann. 12 e 13); d’altro canto, la
giurisdizione personale ha anche dei punti di riferimento spaziale, come
capita, per esempio, nel caso degli ordinariati castrensi con i locali militari
(cfr. art. V della Spirituali Militum
Curae).
[22] Nel caso delle abbazie territoriali, c’è da dire che la tendenza della
Chiesa è piuttosto quella di abbandonare questo tipo di circoscrizione (cfr. Paolo VI, M. Pr. Catholica Ecclesia, del 23 ottobre 1976, in AAS, 68 [1976], pp.
694-696). Sui diversi tipi di circoscrizioni ecclesiastiche attualmente
esistenti e sul loro significato canonico, vedi J.I.
Arrieta, Chiesa particolare e
circoscrizioni ecclesiastiche, in «Ius Ecclesiae», 6 (1994), pp. 3-40.
[23] Cfr. C.J. Errázuriz M., Circa l’equiparazione quale uso
dell’analogia in diritto canonico, in «Ius Ecclesiae», 4 (1992), pp. 215-224.
[24] Cfr. artt. I e II, art. VII della Spirituali
Militum Curae, ma in realtà tutta la Costituzione Apostolica.
[26] Perciò non condivido l’opinione di coloro che vorrebbero inserire la
figura dell’ordinariato militare nel can. 372. D’altronde, la sola esistenza
della Spirituali Militum Curae, e il
fatto che essa affermi che gli ordinariati militari sono peculiari
circoscrizioni ecclesiastiche, assimilate giuridicamente alle diocesi, fanno
vedere quanto sia inutile voler ricondurre alla tipologia codiciale la
circoscrizione creata da una legge extracodiciale. Un altro discorso è
riesaminare se era proprio necessario creare un nuovo tipo legale oppure
valutare la sistematica del Codice, in forza della quale non è stato possibile
contemplare nel Codice gli attuali ordinariati militari.
[27] L’opinione generale del IV Incontro dei membri dell’Ufficio Centrale
degli ordinariati militari si esprimeva favorevolmente all’idea di non seguire
più questa prassi, ma fu consigliato di approfondire serenamente l’argomento
prima di indirizzare una proposta in tal senso alla Santa Sede. Cfr. Militum Cura Pastoralis, 3 (1989) 2, p.
12. Sul significato ecclesiologico dell’attribuzione di questi tioli ai vescovi,
cfr. J.M. R. Tillard, L’Église locale. Ecclésiologie de communion
et catholicité, Paris 1995, pp. 271-276.