Card. Camillo Ruini, Articolo pubblicato in «Studi sulla Prelatura dell’Opus Dei. A venticinque anni dalla Costituzione apostolica Ut sit» (a cura di E. Baura), EDUSC, Roma 2008 e in "Romana" 46 (2008), pp. 170-173.
Nell’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ricordava che è compito del Vescovo «promuovere instancabilmente un’autentica pastorale e pedagogia della santità, per realizzare così il programma proposto nel capitolo V della Costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla chiamata universale alla santità» [1] . In questo ampio orizzonte, che coinvolge non soltanto ogni Vescovo, ma tutta la Chiesa di oggi e di sempre, voglio situare la mia riflessione sul servizio dell’Opus Dei alle diocesi.
Infatti, la missione della Chiesa intera e di tutti i fedeli è la santità e la ricapitolazione di tutto il creato in Cristo[2] . Già alcuni Padri dei primi secoli vedevano la Chiesa come mundus reconciliatus, cioè come il mistero del compimento della salvezza negli uomini e in tutto il creato. All’interno di questa missione comune i Vescovi hanno la responsabilità di servire tutto il popolo di Dio nel cammino verso la pienezza della carità.
L’erezione dell’Opus Dei come Prelatura personale – di cui commemoriamo in questa giornata il 25º anniversario – ebbe come finalità che «esso sia sempre un valido ed efficace strumento della missione salvifica che la Chiesa adempie per la vita del mondo» [3] . Come non vedere in queste parole del proemio della Costituzione apostolica Ut sit la convergenza e il servizio dell’Opus Dei a tutta la Chiesa? Come non vedere, quindi, la sua convergenza e servizio ad ogni diocesi in cui svolge la sua peculiare missione pastorale?
Nella stessa vita di San Josemaría Escrivá troviamo questa medesima verità del servizio dell’Opus Dei a Dio e a tutta la Chiesa: un avvenimento nel 1933 e un altro nel 1941. In quei momenti, il Fondatore dell’Opera ebbe la tentazione di pensare che tutto ciò fosse una sua invenzione e che stava ingannando tante donne e tanti uomini. Fu solo un momento, dal quale venne fuori attraverso la strada dell’abbandono nelle mani di Dio e del servizio alla Chiesa. Ma subito dopo una grande pace gli inondò il cuore, a conferma di ciò che permane ancor oggi e che ci illumina sulla missione dell’Opus Dei e sulla sua fondamentale ecclesialità. Anni dopo, disse ad un gruppo di giovani: «Se l’Opus Dei non fosse per il Signore e per servire la Chiesa, sarebbe meglio che si dissolvesse. Io non lo vorrei più!» [4] .
Ho appena evocato un momento missionario di convergenza dell’Opus Dei e delle diocesi e un momento della vita del Fondatore dell’Opus Dei in cui la Chiesa compare quale centro illuminante e ragione d’essere. In essi possiamo vedere palesemente che tutto l’arco della vita dell’Opera ha questa fondamentale dimensione ecclesiale. È proprio all’interno di questo arco, di questa convergenza, che propongo di considerare il servizio dell’Opus Dei alle diocesi.
Se guardiamo il fine della Prelatura dell’Opus Dei, osserviamo che ogni fedele si propone la santificazione attraverso l’esercizio delle virtù cristiane nel proprio stato e condizione di vita, secondo la personale specifica spiritualità chiaramente secolare. Inoltre, la missione specifica della Prelatura è rivolgersi a tutte le persone, di ogni condizione e stato di vita, affinché si uniscano a Cristo, santifichino il proprio lavoro e realizzino la parte loro propria della missione della Chiesa, portando avanti tutte le attività secondo la volontà di Dio[5] . Non possiamo non riconoscere in questa missione una somiglianza con la missione affidata ai Vescovi e citata all’inizio di questo discorso: il compito di promuovere un’autentica pastorale e pedagogia della santità.
Vorrei ricordare in questo luogo le parole che il Servo di Dio Giovanni Paolo II rivolse ad un gruppo di fedeli dell’Opus Dei nel 2001: «Innanzitutto desidero sottolineare che l’appartenenza dei fedeli laici sia alla propria Chiesa particolare sia alla Prelatura, alla quale sono incorporati, fa sì che la missione peculiare della Prelatura confluisca nell’impegno evangelizzatore di ogni Chiesa particolare, come previde il Concilio Vaticano II nell’auspicare la figura delle prelature personali» [6] . Oltre alla convergenza già analizzata, queste parole del Santo Padre ci invitano a capire in profondità il senso dell’appartenenza dei laici alla propria Chiesa particolare e alla Prelatura dell’Opus Dei. Dato che i fedeli della Prelatura dell’Opus Dei sono pure fedeli delle diocesi in cui vivono, il frutto della missione pastorale che l’Opus Dei svolge per la vita del mondo è presente in persone che sono, allo stesso tempo, fedeli delle loro diocesi e della Prelatura. Quindi, il frutto della missione dell’Opus Dei rimane all’interno delle Chiese locali in cui la Prelatura dell’Opus Dei svolge la sua funzione peculiare.
Forse ci può aiutare a vedere questa convergenza una considerazione inversa: alcuni fedeli di una diocesi sono pure fedeli dell’Opus Dei e questa caratteristica non indebolisce la loro appartenenza alla propria diocesi; anzi, concretamente nell’Opus Dei, la rafforza.
Secondo la dottrina che ricordava San Josemaría Escrivá, la chiamata universale alla santità significa, tra le altre cose, che la santificazione e la missione apostolica si realizzano attraverso le condizioni di vita e lo stato di ogni cristiano; cioè vengono realizzate nell’esistenza cristiana così come essa è. Non c’è bisogno di isolarsi, di fare a meno di alcune di queste condizioni, o cercare la santità in parallelo ad alcune di esse[7] . Una di queste condizioni è la loro appartenenza ad una diocesi o Chiesa locale determinata. Quindi, l’esercizio delle virtù e la missione si realizzano proprio nella loro Chiesa locale. Il raggiungimento della santità nella vita quotidiana e l’esercizio dell’apostolato sono sempre all’interno della Chiesa locale alla quale appartengono e i loro frutti rimangono sempre nella Chiesa locale dove vivono e svolgono la loro attività.
Possiamo dire lo stesso di tutti coloro che ricevono la formazione cristiana che l’Opera offre nello svolgimento della sua missione specifica. Essi appartengono alle diocesi in cui vivono e il frutto di questa formazione rimane quale speranza di vita cristiana per tutti i fratelli. Possiamo inoltre tener conto dell’apostolato che i fedeli della Prelatura svolgono con i non cristiani che abitano nella diocesi, facendo così crescere il Regno di Dio di cui la Chiesa è il germe e realizzando in prima linea l’evangelizzazione della società, della cultura, della famiglia, della scuola, delle diverse professioni e condizioni di vita in cui Cristo vuole essere amato e conosciuto.
Questo servizio dell’Opus Dei ai fedeli delle diocesi in cui è presente, siano o no contemporaneamente membri della Prelatura, è quindi quanto mai diretto. In seguito lo considereremo sotto due aspetti: in quanto si svolge attraverso la vita dei singoli fedeli nei diversi ambiti della loro esistenza, e istituzionalmente mediante la formazione impartita ai fedeli delle diocesi.
La Chiesa rende nel mondo una grande testimonianza della salvezza alla quale Dio ci chiama proprio tramite la vita vissuta dai suoi membri. In questo senso, la dimensione profetica del messaggio cristiano si fa verità vissuta e tutti possono vedere che la santità stessa, Dio, è venuta ad abitare in mezzo a noi. In verità, se consideriamo l’insieme delle vite cristiane vissute nei diversi ambienti della società, del mondo imprenditoriale, del lavoro, della famiglia, della cultura, possiamo apprezzare la forza e la capillarità della missione dei laici, a cui l’Opus Dei, quale fenomeno pastorale, contribuisce in modo peculiare.
Diceva San Josemaría: «L’apostolato più importante dell’Opus Dei è quello che ogni fedele realizza con la testimonianza della propria vita e con la sua parola, nei rapporti abituali con amici e colleghi di professione. Chi può misurare l’efficacia soprannaturale di questo apostolato silenzioso e umile? Non si può misurare il valore dell’esempio di un amico leale e sincero, o l’influenza di una buona madre in seno alla famiglia».[8] Queste parole valgono pure per tutti i cristiani, dall’epoca apostolica fino adesso. Il testimone della vita cristiana ha un influsso benefico nella vita dei fratelli e di tutti gli uomini. È difficile rendere in cifre la missione della Chiesa tramite la vita vissuta dei cristiani. In essa si trovano l’azione santificante divina e la libertà di ogni fedele che, amando la Chiesa, riesce a svolgere la sua parte nella missione ecclesiale. Si tratta di un’azione che è fermento della massa[9] , comparabile all’azione missionaria dei primi cristiani, osservabile prima di tutto nella vita familiare, nel lavoro, nel circolo delle amicizie e delle conoscenze di ogni cristiano.
Piano piano, questa missione porta a un modo diverso di vedere e valutare la vita, gli altri, il mondo, che si trasmette e si fa vita vissuta, diventando vera cultura che trasforma la società alla misura di Cristo. La varietà di possibilità, la ricchezza di mezzi ed aspetti supera le possibilità istituzionali che, comunque, ci sono.
Ma affinché i laici possano veramente essere luce del mondo in cui vivono hanno bisogno di una accurata formazione dottrinale, ascetica, apostolica, umana e spirituale. Così saranno in grado di unire la creatività, la grazia, la libertà, le proprie capacità, le possibilità di dialogo, ecc. affinché nelle loro vite si avveri il Regno di Dio e tutto il creato sia presieduto da Cristo e offerto al Padre tramite lo Spirito. Ricordando la nota espressione paolina, si tratta di instaurare omnia in Christo (Ef 1,10). A questo punto, San Josemaría affermava che «la nostra missione di cristiani è di proclamare la regalità di Cristo, annunciandola con le nostre parole e le nostre opere. Il Signore vuole che i suoi fedeli raggiungano ogni angolo della terra. Ne chiama alcuni nel deserto, lontano dalle preoccupazioni della società umana, per ricordare agli altri, con la loro testimonianza, che Dio esiste. Ad altri affida il ministero sacerdotale. Ma i più li vuole in mezzo al mondo, nelle occupazioni terrene. Pertanto, questi cristiani devono portare Cristo in tutti gli ambienti in cui gli uomini agiscono: nelle fabbriche, nei laboratori, nei campi, nelle botteghe degli artigiani, nelle strade delle grandi città e nei sentieri di montagna»[10] .
La Prelatura dell’Opus Dei svolge un servizio prezioso alle diocesi pure sul versante istituzionale, con l’organizzazione di percorsi ed incontri formativi indirizzati a illuminare la ricerca della santità e l’esercizio dell’apostolato tramite il proprio lavoro e le circostanze personali di ciascuno. Non basta, infatti, che i laici stiano nel mondo e abbiano un’esistenza intessuta delle cose del mondo[11] . Per realizzare la loro missione specifica hanno bisogno di illuminare con la grazia di Dio le realtà in cui vivono e per questo serve loro una formazione profonda e specifica – come quella che l’Opus Dei offre.
Oltre a questo aspetto più istituzionale, la presenza della Prelatura dell’Opus Dei in una diocesi offre occasioni di mutua collaborazione specificamente tra il clero. In molte diocesi – Roma non è un’eccezione – i sacerdoti incardinati nella Prelatura, con il consenso del proprio Ordinario, svolgono incarichi diocesani (parroci, vice-parroci, difensori del vincolo e giudici nei tribunali diocesani, ecc.). Quando realizzano questo lavoro pastorale di supplenza, i sacerdoti incardinati nell’Opus Dei santificano il loro lavoro pastorale e fanno apostolato, cioè, fanno l’Opus Dei mediante questi servizi ministeriali. Comunque, il loro servizio pastorale più specifico e più diretto alle diocesi si compie mediante lo svolgimento della missione della Prelatura. A questo scopo essa è stata eretta dalla suprema autorità, non per riempire vuoti diocesani. Andrebbe contro la finalità dell’erezione della Prelatura che il lavoro di supplenza rallentasse il compimento della missione che le è stata affidata. Spetta al Prelato, che ha ricevuto la missione di governare questo strumento «affinché sia valido ed efficace»[12] , la responsabilità di dirigere la modalità di un tale servizio, in comunione con i Vescovi diocesani interessati.
In quanto Vescovo, insieme agli altri fratelli nell’episcopato non posso non considerare questi due versanti del servizio dell’Opus Dei alle diocesi, tutti e due convergenti nell’ampia missione che la Chiesa realizza nel mondo. Sono aiuti diretti e utilissimi per elevare il livello spirituale di ogni Chiesa locale e ci invitano a non rimanere soltanto alla visione istituzionale – forse più quantificabile – né al servizio dell’Opera che risolve eventuali problemi concreti delle diocesi. La valutazione del servizio dell’Opus Dei alle diocesi sembra dunque inquadrarsi meglio quando è considerata nell’ampio orizzonte in cui ci siamo situati già all’inizio di questa relazione, quello cioè della pedagogia e pastorale della santità che tutti i Vescovi ricevono quale incarico dal Signore nei confronti di tutta la Chiesa e, più concretamente, della Chiesa locale che viene loro affidata.
Poiché esiste questa stretta collaborazione tra l’Opus Dei in quanto istituzione gerarchica e ogni diocesi, emerge la necessità di definire le competenze e di stimolare il dialogo. Da un lato, per garantire l’unità della diocesi sotto la guida del Vescovo diocesano, il Codice di diritto canonico, al can. 297, richiede il consenso del Vescovo diocesano prima che una prelatura personale compia la propria missione nell’ambito della diocesi e dispone altresì che gli statuti della prelatura stabiliscano le modalità dei rapporti con gli Ordinari dei luoghi dove la prelatura lavora. Dall’altro lato, per rispettare l’identità della missione della prelatura e per dare unità di direzione al suo lavoro, si crea appunto una prelatura, vale a dire un ente sotto la giurisdizione di un unico Prelato; concretamente, i chierici incardinati nella prelatura sono al suo servizio, sotto la giurisdizione del Prelato.
In questa cornice più ampia della missione della Chiesa – la salus animarum, che non mancherà mai – si prospetta naturale la partecipazione dei sacerdoti della Prelatura dell’Opus Dei al consiglio presbiterale di ogni diocesi.
Dopo queste riflessioni, si evince che l’azione dell’Opus Dei nelle diocesi in cui lavora è interiore ad esse, contribuendo a dare ad ogni diocesi la diversificazione interiore che è propria della comunione[13] . È un servizio che compare all’interno della diocesi quasi naturalmente, senza che ci sia bisogno di un «inserimento» ulteriore. Allo stesso tempo, le diocesi riconoscono che il frutto di un tale servizio è principalmente nella vita vissuta dei loro fedeli. In essa si verifica la dimensione profetica della chiamata alla santità in mezzo al mondo, e da essa ogni diocesi trae frutti abbondanti di santità e vita apostolica.
All’interno della visione della Chiesa come comunione, in cui esistono alcune istituzioni della Chiesa universale che collaborano alla comune missione, è possibile cogliere la convergenza e l’importanza di questo servizio ecclesiale della Prelatura dell’Opus Dei. Se teniamo conto che le verità più chiare possono illuminare quelle che ci sono più oscure, possiamo dire che il servizio petrino che è all’interno di ogni Chiesa particolare può aiutarci a capire, anche se in forma analogica, la presenza interiore alla stessa Chiesa particolare del servizio dell’Opus Dei, per l’intera comunione delle Chiese.
[1] 1. GIOVANNI PAOLO II, Es. ap. post-sin. Pastores Gregis, n. 41.
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[2] 2. Cfr. Gv 12,32 e 1 Cor 15,25-28.
[3] 3. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Ut sit, Proemio.
[4] 4. Cfr. SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes íntimos, n. 1730, cit. da A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, Vol. 1, Leonardo International, Como 1999, pp. 542s, Vol. 2, Como 2003, p. 542, e Vol. 3, p. 585; J. ECHEVARRÍA, Memoria del Beato Josemaría Escrivá, Leonardo International, Como 2001, p. 319.
[5] 5. Cfr. Codex Iuris Particularis Operis Dei, n. 2.
[6] 6. GIOVANNI PAOLO II, Discorso (17-III-2001), n. 1.
[7] 7. Cfr. F. OCÁRIZ, Vocazione alla santità in Cristo e nella Chiesa, in Santità e mondo, Città del Vaticano 1994, pp. 34s.
[8] 8. SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui con Mons. Escrivá, Milano 1987, n. 31.
[9] 9. Cfr. Mt 13,33.
[10] 10. SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, Milano 1982, n. 105.
[11] 11. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen Gentium, n. 31.
[12] 12. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Ut sit, Proemio.
[13] 13. Cfr. CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni punti della Chiesa intesa come comunione, Città del Vaticano 1992, n. 16.
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