SOMMARIO: 1.- Una perplessità: una circoscrizione ecclesiastica di natura associativa? 2.- Sono applicabili alle prelature personali i tratti propri dei fenomeni associativi? 3.- Le finalità perseguite e le «peculiaria opera pastoralia». 4.- L’iniziativa costitutiva delle associazioni e delle prelature e il loro rapporto con l’autorità. 5.- La struttura societaria. 6.- L’ufficio di prelato. 7.- I chierici della prelatura. 8.- Il ruolo dei fedeli laici. 9.- Conclusioni.
1. Una perplessità: una circoscrizione ecclesiastica di natura associativa?
Sono molto grato dell’opportunità che mi viene offerta di rivisitare l’argomento delle prelature personali, il quale esula un po’ dell’ambito delle mie abituali occupazioni, che, come tutti sanno, riguardano decisamente questioni di diritto matrimoniale e processuale. Ho detto rivisitare, perché ho avuto occasione di studiare l’argomento in seguito ad alcune consulenze che mi furono chieste vent’anni addietro.
Riprendendo adesso il tema dalla prospettiva che mi è stata suggerita dal prof. Sandro Gherro, ho avuto una perplessità che riguarda proprio l’argomento sul quale sarà incentrato il mio intervento: le prelature personali e le associazioni. Siccome qualche autore ha ipotizzato il carattere associativo delle prelature personali, cercherò di riflettere tenendo presenti i dati così come emergono dalle diverse fonti che il diritto mette a disposizione dell’interprete. Il mio discorso risponderà ad alcune domande che vengono spontanee quando ci si riflette sull’affermazione sostenuta da alcuni autori: la prelatura personale è un’entità di natura associativa.
La perplessità accennata riguarda un aspetto per niente marginale: come può essere riscontrata la natura associativa in una realtà ritenuta in più sedi come una circoscrizione ecclesiastica? Si pensi, per citare soltanto pochi esempi, al fatto che le prelature vengono erette con una costituzione apostolica, come accade con le diocesi; che la prelatura dipende (sia sotto la Regimini Ecclesiae Universae che sotto la Pastor bonus) dalla Congregazione per i Vescovi, alla quale il prelato presenta una relazione quinquennale come fanno i vescovi diocesani; oppure si pensi al modo in cui viene presentata la prelatura personale nell’Annuario Pontificio, tra gli ordinariati militari e i vicariati apostolici, nella sezione della Gerarchia cattolica, o alla norma contenuta nell’art. 40 della cost. ap. Ecclesia in Urbe, ai sensi della quale è stabilito che il tribunale di seconda istanza del Vicariato riceva gli appelli contro le sentenze del tribunale della prelatura dell’Opus Dei, insieme alle sentenze del tribunale ordinario della diocesi di Roma e di altri tribunali diocesani del Lazio, dei tribunali regionali laziale, campano e sardo e del tribunale dell’ordinariato militare italiano. Per non parlare della difficoltà (anzi, l’impossibilità) che un’associazione abbia un presbiterio, mentre, com’è stato ricordato nel Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, «l’appartenenza a un concreto presbiterio avviene sempre nell’ambito di una Chiesa particolare, di un Ordinariato o di una Prelatura personale»1. Invero, i concetti di associazione e di circoscrizione ecclesiastica appaiono concetti inconciliabili2. Allo stesso tempo, il fatto che i canoni sulle prelature personali non si trovino all’interno della Parte II del II Libro del Codice e costituiscano, invece, un titolo della Parte I, inserito tra quello dedicato ai chierici e quello relativo alle associazioni potrebbe far pensare ad una natura delle prelature personali simile a quella delle associazioni. Per sciogliere questa perplessità analizzerò le note essenziali delle associazioni e di questo nuovo tipo di ente ecclesiastico.
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2. Sono applicabili alle prelature personali i tratti propri dei fenomeni associativi?
Cerchiamo di mettere a confronto (molto sommariamente) da una parte gli elementi che caratterizzano le associazioni e in genere le entità che muovono nell’ambito associativo e quelli propri degli enti gerarchici, per poter individuare in quale cornice s’inserisce la prelatura personale.
Per cogliere se una realtà è di natura gerarchica o associativa si dovrà guardare principalmente alla finalità che persegue (o alla missione che svolge), all’iniziativa che la promuove (se spetta ai fedeli o alla gerarchia), alla natura dei rapporti esistenti tra i membri e alla potestà che in essa si esercita. Bisogna comunque andare alla sostanza dei diversi criteri che segnaleremo, senza trarre delle conclusioni radicali da aspetti secondari.
3. Le finalità perseguite e le «peculiaria opera pastoralia»
Innanzitutto, va considerata la finalità che perseguono le associazioni e le entità gerarchiche. È chiaro che tutti nella Chiesa devono cercare in un certo senso lo stesso fine della Chiesa: tutti si propongono in ultima analisi la prosecuzione della salus animarum, proprio perché tutti i fedeli sono coinvolti nella missione apostolica della Chiesa, ognuno secondo il modo proprio3.
Ma, pur essendo tutti i fedeli co-responsabili della missione della Chiesa, la Gerarchia ha una specifica responsabilità rispetto ai fini della Chiesa. In questo senso, spetta alla Gerarchia vegliare per la consecuzione di tali fini, e a questo scopo vengono create delle strutture gerarchiche per garantire il raggiungimento di detti fini: tramite questi istituti cioè si portano a termine i fini dell’intero Popolo di Dio e anche quelle finalità che sono di esclusiva responsabilità della Gerarchia (per esempio, proclamare autoritativamente la parola di Dio, amministrare i sacramenti).
Queste strutture pastorali della gerarchia si propongono il fine generale della Chiesa, e ciò sotto un duplice punto di vista: totalmente (nel caso delle chiese particolari, che amministrano la totalità dei mezzi di salvezza e la predicazione della Parola di Dio, sono aperte alle molteplicità dei carismi ecc.), oppure riguardo a qualche aspetto particolare collegato però con il fine generale. Si tratta sempre di un fine determinato dall’autorità che ha costituito l’ente, che non riguarda il bene esclusivo e immanente delle persone che lo integrano, ma trascende sempre e si proietta pastoralmente verso l’esterno.
Invece, i fini propri dei fedeli in quanto fedeli saranno portati a termine da parte di essi individualmente oppure in modo associato4. E un tratto proprio delle associazioni è che i membri agiscono primariamente per la loro utilità, per il loro bene (anche se l’operato delle associazioni di fedeli ha evidentemente dei risvolti apostolici).
Allora, il fatto che Presbyterorum Ordinis e il can. 294 si riferiscano alle peculiaria opera pastoralia vorrebbe dire che la finalità delle prelature personali non riguarda la missione della Chiesa ma un fine di natura associativa? A questa conclusione si potrebbe arrivare muovendo dal presupposto che gli enti gerarchici possono seguire soltanto il fine globale della Chiesa, in tutta la completezza dell’azione pastorale, mentre per definizione il perseguimento di una finalità specifica sarebbe proprio di un’associazione.
Ma quali erano le peculiari opere pastorali per venire incontro alle quali i padri conciliari auspicarono la costituzione di prelature personali? Si trattava di necessità rispetto delle quali si erano dimostrate insufficienti le soluzioni di base associativa e che richiedevano di essere sovvenute con strutture pastorali. I padri del Concilio Vaticano II diedero mostra di preoccupazione per queste necessità pastorali che richiedevano delle strutture adeguate. Si pensi ai riferimenti contenuti nel decreto Christus Dominus, collegati direttamente con le iniziative promosse da Pio XII per facilitare la somministrazione ai migranti e alle altre categorie assimilate di una adeguata cura pastorale (n. 18)5, e sui vicariati castrensi (n. 43), oppure alla previsione di Presbyterorum Ordinis che ci occupa (n. 10).
Si tratterà comunque di opere apostoliche portate avanti da chierici e laici che manifestano l’indole sacerdotale del Popolo di Dio: e ciò sia che si tratti di fedeli (laici principalmente) bisognosi di una peculiare attenzione pastorale, sia che la Chiesa voglia adempiere un compito che rientri nella missione della stessa Chiesa e che richieda l’opera comune di chierici e laici.
Come si vede il compito pastorale delle prelature esula dall’ambito di autonomia proprio delle realtà associative: non riguarda delle finalità che possono svolgere i fedeli come fedeli, ma di esigenze pastorali e apostoliche della Chiesa (le peculiari necessità pastorali appunto) che esigono uno sviluppo della stessa struttura della Chiesa ratione apostolatus. In questo senso dunque il riferimento alle peculiaria opera pastoralia escluderebbe da solo che si possa trattare di un’associazione, poiché l’opera pastorale di per sé implica l’azione della Chiesa in quanto tale, tramite un pastore, un presbiterio e dei fedeli.
Diversamente dall’azione apostolica delle associazioni, che spetta ai fedeli in quanto tali (i cui fini possono essere espletati individualmente o associatamente), e diversamente da quei fini individualizzati (le opere proprie di insegnamento, culto divino, ecc.) ai quali mirano le associazioni di chierici o di laici, l’opera pastorale peculiare consiste nell’azione ecclesiale totale che si realizza col contributo organico dei chierici e dei fedeli laici: tramite il coordinamento costituzionale del sacerdozio comune col sacerdozio ministeriale, come ricorderemo subito.
In altre parole, il fine della prelatura fa parte della stessa missione pastorale della Chiesa, per cui non può né essere portato a termine dai fedeli autonomamente (ma soltanto in quanto cooperano con la stessa autorità ecclesiale organizzata intorno all’ufficio del prelato) né mira primariamente al bene dei membri della prelatura (come accade nelle associazioni) ma soprattutto alla missione pastorale da svolgere ad extra.
Per cui l’elemento discriminante tra le finalità associative e quelle istituzionali-gerarchiche sta sopratutto nel modo di eseguire il compito apostolico, che nelle prelature dev’essere pastorale in quanto partecipazione al potere istituzionale gerarchico del Pastore che si realizza sacerdotalmente, mediante l’azione pastorale dei sacerdoti e senza misconoscere l’importante ruolo dei fedeli laici.
4. L’iniziativa costitutiva delle associazioni e delle prelature e il loro rapporto con l’autorità
Se le associazioni rientrano nell’ambito di autonomia dei fedeli e le strutture gerarchiche sono una partecipazione al potere istituzionale gerarchico, ciò si manifesta nell’origine di ognuno degli enti. Gli enti associativi sono il risultato dell’esercizio del diritto di associazione, in quanto sorge dalla libera e comune volontà di associarsi (la “Vereinigungswille”), espressa all’atto di fondazione da parte dei futuri soci; gli enti gerarchici invece sono uno sviluppo del munus hierarchicum. Nell’essenza dei due fenomeni dunque la portata dell’intervento dell’autorità o dei fedeli distingue chiaramente le associazioni dalle strutture gerarchiche.
Le associazioni non hanno origine nell’azione fondazionale di Cristo, né nell’evoluzione organizzativa di strutture contenute in germe nella costituzione della Chiesa, ma sorgono dietro all’iniziativa dei fedeli che attuano così un fine che rientra nell’ambito di autonomia dei fedeli. Per cui è una caratteristica essenziale delle associazioni il fatto che hanno origine sempre nell’azione costituente dei fedeli (il che com’è logico si riscontra a diverso livello, a seconda che si tratti di associazioni private o pubbliche). Così, mettendo in pratica le potenzialità della communio fidelium, i fedeli costituiscono l’associazione e la mantengono in vita con degli atti della loro volontà.
Nelle strutture pastorali giurisdizionali invece è sempre la Chiesa che si auto-struttura. In quanto comportano una regolamentazione della potestà di giurisdizione, soltanto possono avere origine in un atto della suprema autorità. È logico che spetti al Romano Pontefice, come moderatore supremo della giurisdizione della Chiesa, l’attuazione di tali sviluppi organizzativi con l’erezione di queste strutture che sono, per questo motivo, manifestazioni della sollicitudo omnium ecclesiarum del pastore supremo della Chiesa, che in questo modo adempie il suo ruolo di moderatore supremo dell’attività apostolica della Chiesa (can. 381 § 1).
Di conseguenza, soltanto essa, la Chiesa, può erigere una struttura di questo tipo: mai i fedeli possono autodonarsi una struttura pastorale gerarchica, poiché è competenza esclusiva dell’autorità suprema.
Gli enti gerarchici nascono e vivono non come conseguenza della libera volontà di perseguire dei fini privati (o che rientrano nell’ambito di autonomia dei fedeli), e nemmeno dalla volontà dei membri di coadiuvare alla missione della Chiesa, ma dalla decisione della Gerarchia di sovvenire organicamente (strutturandosi con degli strumenti che ha a disposizione) alle necessità pastorali dei fedeli. Sono dunque uno sviluppo del munus hierarchicum.
È quanto accade nelle prelature: a differenza delle associazioni, la prelatura può essere attuata soltanto dalla suprema autorità, e ha origine nell’atto costitutivo di questa (can. 294). Di conseguenza, i fedeli non possono in alcun modo autodonarsi una prelatura.
Del resto, mai un’associazione (si tratti di un’associazione di fedeli, privata o pubblica, del § 1 del can. 301 o del § 2, o di una associazione clericale del can. 302) è uno sviluppo organizzativo di strutture per lo meno embrionariamente contenute nella costituzione della Chiesa. Invece le prelature, non soltanto devono necessariamente avere origine nell’atto costituente della gerarchia, ma sono, inoltre, uno sviluppo (di diritto umano ecclesiastico) dei nuclei di diritto divino. Vale a dire: per soddisfare delle necessità pastorali, la Chiesa si dona (con delle soluzioni offerte dal diritto umano) delle forme organizzative che attuano la stessa struttura che ha la Chiesa per diritto divino.
In questo senso, si può ricordare anche quanto segnala il decreto Presbyterorum Ordinis n. 10, e cioè che le prelature personali vanno erette in bonum commune totius Ecclesiae, mai per il bene particulare di un coetus personarum, che andrebbe cercato con altri mezzi (associativi, ad esempio). Anche per questo, l’intervento della Santa Sede è imprescindibile, poiché soltanto la Gerarchia è depositaria di questo bene comune di tutta la Chiesa (a livello universale e particolare).
Tale intervento dell’autorità differisce essenzialmente dall’approvazione o recognitio di un’attività realizzata dagli associati che comporta anche l’erezione, pure come persona giuridica pubblica; è qualcosa di essenzialmente diverso: è un atto costitutivo di una circoscrizione ecclesiastica, retta dal diritto generale e dal diritto particolare, che viene sancito al livello di una legge pontificia (can. 94 § 3).
Nell’atto costitutivo viene affidata la giurisdizione all’ufficio del prelato; viene stabilito anche il presbiterio e i vincoli che legano il prelato, il presbiterio e i fedeli. È sempre la Sede Apostolica che determina la posizione giuridica dei fedeli (chierici e laici) e la loro partecipazione al munus pastorale della prelatura. Giuridicamente dunque l’erezione della prelatura non è l’attribuzione di una formalità a una realtà precedente, ma la realizzazione di un progetto dell’autorità suprema.
Le prelature non hanno lo stesso tipo di rapporto con l’autorità che si riscontra nelle associazioni; propriamente, non hanno un rapporto con la gerarchia, perché l’autorità suprema, costituendo la prelatura, affida la missione di essa a un membro della gerarchia, il prelato. Può esserci senz’altro un rapporto (che si può considerare come rapporto non con ma tra i membri della gerarchia): di coordinamento, controllo, tutela… Ma tale rapporto non mira a garantire l’ecclesialità della prelatura (come accade con le associazioni), perché l’ecclesialità è il presupposto dell’erezione della prelatura. La determinazione di tale rapporto servirà piuttosto ad articolare internamente ed armonicamente l’organizzazione ecclesiastica.
La diversità si manifesta anche nelle norme per le quali sono rette le associazioni e le prelature. Innanzitutto va notato che gli statuti della prelatura sono dati dall’autorità suprema (can. 295), non autodonati dai fedeli né approvati, riconosciuti o esaminati dall’autorità. Infatti, nel caso delle associazioni (anche in quelle pubbliche erette dalla Sede Apostolica), non è la suprema autorità a dare gli statuti, ma vengono autodonati dall’associazione e approvati dall’autorità (cfr. cann. 299, 304, 310, 314, 322).
In altre parole, nel caso degli statuti delle prelature non si tratta di regolamentare il rapporto dell’ente con l’autorità, poiché è la stessa autorità che si auto-organizza: si tratta piuttosto dell’esercizio della potestà primaziale che viene incontro alla necessità pastorale stabilendo, appunto negli statuti (che integrano perciò il diritto particolare della prelatura) la necessità pastorale alla quale si vuole soddisfare, l’ambito di esercizio della giurisdizione affidato al prelato, il rapporto tra il prelato e le chiese particolari nelle quali verrà inserita la prelatura, e il modo come i fedeli della prelatura, chierici e laici, cooperano organicamente alla missione che viene loro affidata.
5. La struttura societaria
La riflessione sul modo di espletare la finalità apostolica negli enti associativi e in quelli istituzionali, ci porta a considerare la composizione societaria e i rapporti esistenti all’interno delle associazioni e delle prelature personali.
Alla base delle differenze che si riscontrano c’è quanto abbiamo segnalato: in primo luogo, che le associazioni sono sostanzialmente il risultato del confluire delle volontà dei membri, e sono queste volontà che rendono possibile sia, ordinariamente, la nascita dell’associazione (con delle peculiarità per quanto riguarda l’eventuale iniziativa dell’autorità) sia soprattutto la permanenza di essa: è la volontà dei membri, frutto del pactum unionis, a tenerla in vita. L’intervento dell’autorità può essere molto vario, da un riconoscimento alla promozione e l’erezione dell’associazione, ma è sempre un intervento che resta esterno alla vita dell’associazione, che non è mai uno sviluppo della stessa missione gerarchica.
Inoltre, l’associazione è creata per perseguire fini che rientrano nell’ambito di autonomia dei fedeli: e cioè che il cui raggiungimento spetta ai fedeli, individualmente o, quando decidono di associarsi, co-responsabilmente6. Il che si manifesta nel modo di stare nelle associazioni: in esse, i membri si trovano in una sostanziale condizione di uguaglianza, perché i loro rapporti vengono determinati da vincoli di natura pattizia, basati dunque sulla comune condizione di membri. Per quanto riguarda l’essenza dell’associazione, i fedeli (chierici o laici, o tutti e due) si uniscono indistintamente per raggiungere un fine (che riguarda la propria vita spirituale, o un’opera assistenziale o apostolica in genere, o perfino -nei casi delle associazioni dei can. 301 § 1 e 302- per svolgere finalità proprie della gerarchia o per l’esercizio dell’ordine sacro).
Le prelature invece, ubbidiscono necessariamente a un’iniziativa della gerarchia; anzi è la stessa gerarchia che si auto-organizza in ordine al raggiungimento di una finalità che non solo è propria della gerarchia, ma è pastorale. I vincoli che legano i diversi componenti della prelatura (prelato, presbiteri, fedeli laici) rispecchiano il modo di cooperare all’azione pastorale della prelatura secondo la propria partecipazione al sacerdozio di Cristo. Di conseguenza, i rapporti e le attività dei membri della prelatura (come nelle comunità gerarchiche) sono essenzialmente diverse, perché la diversità nel modo di partecipare al sacerdozio di Cristo è essenziale e non soltanto di grado7.
Come si vede, gli elementi segnalati (pastore, presbiterio, fedeli laici) sono proprio quelli che compongono la stessa chiesa particolare, questione questa che ci porterebbe a dover parlare dei rapporti di analogia tra la chiesa particolare (in particolare, la diocesi) e la prelatura, compito affidato ad altri relatori. Segnaliamo soltanto alcune conseguenze che permettono di mettere in relazione questi elementi e di distinguerli da quelli dei fenomeni associativi.
6. L’ufficio di prelato
A capo della prelatura si trova un prelato con potestà sul presbiterio e sui fedeli laici. Nelle associazioni, invece, non c’è prelato, fedeli laici e presbiterio ma presidente o superiore (chierico o laico) e membri.
Inoltre, la responsabilità della missione pastorale peculiare della prelatura ricade primariamente sul prelato, intorno al suo ufficio di pastore. Il presbiterio ne collabora col proprio ministero sacerdotale e i fedeli laici col sacerdozio comune manifestato nell’apostolato laicale che realizzano. Il presidente dell’associazione invece ne coordina le attività in ordine al raggiungimento del fine, ma non prende su di sé, personalmente, tale raggiungimento, come fa il prelato.
Dunque il prelato, in primo luogo e innanzitutto, come pastore posto a capo della prelatura, è l’Ordinario proprio della prelatura8, termine questo mai usato per chi è a capo di un’associazione9. Com’è stato segnalato, la dicitura del can. 295 § 1 contiene un’equiparazione in iure al vescovo diocesano in quanto conferisce al prelato poteri che sono da ricondurre nell’ambito della costituzione gerarchica della Chiesa10.
Infatti, essere Ordinario proprio della prelatura significa precisamente e simultaneamente dirigere il ministero sacerdotale dei presbiteri in essa incardinati per svolgere il ministero in favore della peculiare missione pastorale che le è stata affidata, secondo quanto abbia stabilito l’autorità suprema nell’atto di costituzione, in cui si dovrà determinare l’ambito di giurisdizione del prelato.
Per quanto riguarda la nomina del presidente o direttore di un’associazione (pubblica), la sua eventuale rimozione e i diversi rapporti intrapresi con l’autorità, questa esercita sempre un controllo esterno: «nisi aliud in statutis praevideatur, auctoritatis ecclesiasticae, de qua in can. 312, § 1, est consociationis publicae moderatorem ab ipsa consociatione publica electum confirmare aut praesentatum instituere aut iure proprio nominare» (can. 317 § 1); «moderatorem consociationis publicae iusta de causa removere potest qui eum nominavit aut confirmavit, auditis tamen tum ipso moderatore tum consociationis officialibus maioribus ad normam statutorum» (can. 318 § 2); «in specialibus adiunctis, ubi graves rationes id requirant, potest ecclesiastica auctoritas, de qua in can. 312, § 1, designare commissarium, qui eius nomine consociationem ad tempus moderetur» (can. 318 § 1); «consociatio publica legitime erecta, nisi aliud cautum sit, bonaquae possidet ad normam statutorum administrat sub superiore directione auctoritatis ecclesiasticae de qua in can. 312, § 1, cui quotannis administrationis rationem reddere debet» (can. 319 § 1).
La nomina del prelato invece avverrà seguendo le norme previste per la provvisione dell’ufficio che è a capo della diocesi o comunità ad essa equiparata11, secondo le specificità stabilite dal diritto particolare. Ad esempio, per la nomina degli ordinari militari, l’art. II § 2 della cost. Spirituali militum curae stabilisce: «Ordinarium militarem libere Summus Pontifex nominat, aut legitime designatum instituit vel confirmat (Cfr. CIC, cann. 163 et 377 § 1)»12. La nomina del prelato dunque seguirà la procedura prevista nel diritto particolare, nell’alveo delle possibilità codiciali di provvisione dell’ufficio: libera nomina, istituzione o conferma dell’elezione13.
Nella comprensione delle prelature dunque è determinante che a capo dell’ente ci sia un prelato il quale esercita formalmente la sacra potestas, con i vincoli e i rapporti di comunione che derivano da questa funzione prelatizia. Un vescovo o un prelato possono trovarsi a capo di enti di natura molto varia (un ufficio della conferenza episcopale, un’associazione, un’opera missionale) che non diventano perciò diocesi o prelature perché non presiedono, in quanto Pastore proprio, la comunità di fedeli.
Certo, non è questa la sede per approfondire la questione della natura della potestà esercitata dal prelato e quella esercitata nelle associazioni. Basta considerare che il fondamento della potestà del prelato si trova nella potestà che risiede in chi è a capo di una comunità con la missione di esserne il Pastore proprio. Nelle associazioni, invece, la potestà esercitata è essenzialmente diversa: non proviene dalla sacra potestas, ma da quell’autonomia riconosciuta dall’ordinamento di darsi un diritto e di esercitare la potestà che deriva. Appare perciò condivisibile l’affermazione che nelle associazioni, indipendentemene del fatto che alle volte sorgano su iniziativa della gerarchia, la soggezione all’autorità derivi sempre dalla volontà dei membri. La natura pattizia dei fenomeni associativi fa sì che l’autorità in essi abbia sempre origine nell’esercizio delle libertà fondamentali, tramite atti di volontà dei fedeli che vengono regolati nelle rispettive norme proprie.
7. I chierici della prelatura
Il can. 294 segnala che la prelatura è integrata, oltre che dal prelato, da presbyteris et diaconis cleri saecularis. Il menzionato inciso è stato visto come contenente una descrizione chiusa dei membri della prelatura, che sarebbe allora esclusivamente clericale. Quantunque riprenderemo la questione nel paragrafo successivo, a proposito del ruolo dei fedeli laici, si può tentare comunque di avere una risposta nel considerare anche il ruolo dei chierici nel raggiungimento delle finalità pastorali della prelatura.
Dicevamo che il carattere pastorale giustificante l’erezione della prelatura esige che questa non si chiuda in sé stessa, non trattandosi per definizione di un mero strumento per cercare il bene spirituale dei sacerdoti o il raggiungimento di uno scopo personale. La prelatura personale è, piuttosto, uno strumento per aiutare (ministerialmente) i fedeli di una regione o di un ceto sociale, come stabilì, alla stregua di Presbyterorum Ordinis n. 10, Paolo VI nel motu proprio Ecclesiae Sanctae: ad peculiaria opera pastoralia vel missionaria perficienda pro variis regionibus aut coetibus socialibus, qui speciali indigent adiutorio14. Ciò richiede necessariamente la presenza di chierici ordinati per il servizio della missione pastorale, per dare l’aiuto ministeriale ai fedeli delle regioni o dei gruppi sociali per i quali viene eretta la prelatura.
Allora la presenza e il ruolo dei chierici differisce anche del ruolo che svolgono nelle associazioni, alla quale non aderiscono primariamente per servire un coetus fidelium, una comunità di fedeli destinatari della loro cura pastorale. La cura pastorale di una comunità di fedeli non si soddisfa con l’aiuto di un’associazione, perché questo scopo esula dalle finalità associative. Si sovviene a tale bisogno con un ente appunto pastorale: con una forma organizzativa della gerarchia.
D’altra parte, la presenza dei sacerdoti nella prelatura è caratterizzata dal fatto che formano il presbiterio del prelato, come sottolinea il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, citato precedentemente15. Diversamente, nessuna associazione ha un presbiterio proprio perché i chierici dell’associazione, se ci sono, non sono stati ordinati per eseguire ministerialmente la cura pastorale dei membri dell’associazione né una missione pastorale che non hanno le associazioni, mentre viceversa ciò è quanto fanno i sacerdoti della prelatura. E ciò, perché esula dall’ambito di autonomia dei fedeli l’associarsi per esercitare ministerialmente la cura animarum: è un compito pastorale che può venir affidato soltanto dall’autorità, non dai fedeli stessi né dalla scelta del presbitero.
A una conclusione simile si arriva dalla lettura del § 1 del can. 295, che riconosce al prelato la facoltà (ius est) di erigere un seminario: «Praelatura personalis regitur statutis ab Apostolica Sede conditis eique praeficitur Praelatus ut Ordinarius proprius, cui ius est nationale vel internationale seminarium erigere necnon alumnos incardinare, eosque titulo servitii praelaturae ad ordines promovere». Si tratta di un’attribuzione improponibile per un’associazione.
Giuridicamente, il vincolo proprio del presbitero con la prelatura è di natura giurisdizionale: l’incardinazione, che è un rapporto che determina il contenuto di tali vincoli in relazione con l’esercizio della missio alla quale è stato destinato per l’esercizio del ministero. L’incardinazione è infatti una relazione propria delle strutture gerarchiche, che costituiscono una strutturazione del ministero sacerdotale al servizio dei fedeli nella realizzazione della missione pastorale affidata.
Dopo gli approfondimenti realizzati in seguito al Concilio, si può ben dire che l’incardinazione non è un vincolo di soggezione al vescovo ma di servizio ai fedeli di una comunità. Per cui l’incardinazione comporta sì il rapporto col vescovo ma anche inseparabilmente l’incorporazione alla comunità e al presbiterio e un rapporto con i fedeli affidati alla cura del vescovo.
Tale relazione derivata dall’incardinazione è assente negli enti di tipo associativo. Alcune associazioni, certamente, per esempio quelle clericali (oltre che alcuni istituti di vita consacrata), possono avere la possibilità di incardinare dei chierici in attenzione al bisogno di contare sui membri chierici per raggiungere il fine istituzionale. Ma in quei casi il vincolo d’incardinazione viene a giustapporsi a quello (pattizio o sacro che sia) determinante il modo di stare nell’ente.
Ciò è quanto sembra desumersi dalla previsione dei cann. 265 e 266: da una parte, viene determinato (per i chierici secolari) il vincolo di incardinazione con la propria struttura gerarchica indipendentemente dalla vincolazione (essenzialmente diversa) che il diacono che viene ordinato possa avere con una associazione. Dall’altra parte, i §§ 2 e 3 dello stesso canone 266 sottolineano la distinzione tra i due tipi di vincoli, perché se i vincoli di incardinazione e di associazione fossero equiparabili, questi paragrafi non avrebbero senso. La distinzione normativa invece sottolinea la differenza di soggezione che implica l’incardinazione in strutture organizzative gerarchiche e l’incardinazione in un’ente associativo, la quale è condizionata dalla presenza di elementi consacratori o, almeno, strettamente spirituali.
L’incardinazione è quindi il vincolo proprio del presbitero con la prelatura; lo è anche nei rapporti dei presbiteri ordinati per il servizio di una diocesi. Ma oltre all’incardinazione, i presbiteri possono entrare al servizio delle prelature (come nelle altre comunità simili ad essa) anche con un rapporto di collaborazione (addictio) già previsto nello stesso n. 10 di Presbyterorum Ordinis16. L’addictio (in quanto permette l’invio di presbiteri da una diocesi ad un’altra, oppure al servizio di organismi sopradiocesani quali la conferenza episcopale, la curia romana ecc.) può essere infatti un mezzo molto utile qualora la prelatura non abbia un proprio seminario (il prelato può erigere un seminario, ma può anche non farlo) o comunque manchi di un numero congruo di sacerdoti incardinati.
Del resto, questa è la soluzione seguita in gran parte degli ordinariati militari, per i quali la cost. Spirituali militum curae prevede, nell’art. VI, la duplice possibilità di rapporto di servizio ministeriale: l’incardinazione e l’aggregazione di sacerdoti diocesani e religiosi, quantunque lo stesso art. VI preveda la possibilità di erezione di un seminario dell’ordinariato, possibilità poche volte attuata.
8. Il ruolo dei fedeli laici
Gli argomenti adotti contro il carattere istituzionale-gerarchico delle prelature personali a motivo della posizione dei fedeli laici si basano su due linee argomentative.
Da una parte, si nega che i fedeli laici possano far parte della prelatura, muovendo da un’interpretazione dei cann. 294 e 296. Detti canoni prevedono sia l’erezione di «praelaturae personales quae presbyteris et diaconis cleri saecularis constent» (can. 294) sia «conventionibus cum praelatura initis, laici operibus apostolicis praelaturae personalis sese dedicare possunt; modus vero huius organicae cooperationis atque praecipua officia et iura cum illa coniuncta in statutis apte determinentur» (can. 296). Per cui i membri a pieno titolo sarebbero soltanto i chierici, presbiteri e diaconi; mentre i laici potrebbero essere tuttalpiù collaboratori esterni a seconda delle convenzioni stipulate per dedicarsi, cooperando organicamente, alle opere della prelatura.
D’altra parte, riferendosi non soltanto ai laici ma a tutti i membri della prelatura, si vuol dedurre il carattere associativo delle prelature personali perché, alla vista della previsione del can. 296 (e dell’applicazione effettuata nel diritto particolare della prelatura dell’Opus Dei) si ritiene incompatibile la libera adesione soggettiva alla prelatura col carattere istituzionale-gerarchico di essa. Inoltre, ancora a proposito della normativa del diritto particolare della prelatura dell’Opus Dei (dov’è previsto che il fedele possa perdere la condizione di membro della prelatura), alcuni argomentano che è inconcepibile che un fedele possa essere espulso da una chiesa particolare, perché non può non appartenere a una chiesa particolare, anche se il vincolo di comunione può venire indebolito dal distacco del fedele o da un provvedimento dell’autorità: mai si perde la konsekratorische Gliedschaft, che mantiene il rapporto con la chiesa particolare anche se privo della piena comunione o (con parole di Mörsdorf) la tätige Gliedschaft.
Pur riconoscendo la fondatezza dell’osservazione riguardante l’impossibilità del distacco assoluto da ogni chiesa particolare (il che andrebbe aprofondito nel caso di apostasia e scisma), è conveniente rilevare che la possibilità di uscita fa parte del diritto particolare della prelatura dell’Opus Dei, ma non delle norme comuni sulle prelature. Inoltre è necessario ricordare che i fedeli laici delle prelature continuano ad essere fedeli della diocesi alla quale appartengono a ragione del domicilio o per un altro titolo, come sucede del resto anche con i fedeli dell’ordinariato militare.
Comunque, non mi pare che la vincolazione tramite la convenzione sia l’unico modo che hanno i fedeli laici di rapportarsi con la prelatura: stando ai cann. 294-297 nulla impedisce che l’autorità suprema, al momento costitutivo della prelatura, determini a iure i fedeli in favore dei quali si concede la giurisdizione al prelato.
Tuttavia, il punto veramente importante è che qualunque sia il modo di rapportarsi, perfino nel caso in cui l’unico modo di ascriversi alla prelatura fosse (come nel caso della prelatura dell’Opus Dei) la via della convenzione, non è detto che tale convenzione soggettiva condizioni la natura della prelatura facendola diventare di natura associativa. Infatti, la convenzione costituisce il modo di sottoporsi alla giurisdizione, ma non condiziona i rapporti, i fini e le modalità di espletamento di tali fini, che vengono determinati invece dall’esercizio della giurisdizione e dalla struttura societaria che esula completamente dalla disposizione soggettiva dei fedeli.
Dunque non sono i fedeli coloro che con un contratto costituiscono le prelature (lo fa soltanto l’autorità suprema), né definiscono la portata del proprio rapporto con la loro adesione, poiché non si tratta di un patto tra due parti che si trovano in posizione paritaria, né dell’adesione ad una corporazione la cui formazione è in mano ai suoi membri. Si tratta invece dell’adesione ad un’ente la cui vita è determinata dall’autorità suprema.
D’altra parte, l’essenza dei vincoli all’interno della prelatura non sono mai di natura contrattuale: la convenzione o il contratto, dove si dia, è al limite la causa dell’incorporazione e della continuità del fedele, ma non crea la struttura giuridica della prelatura, che non è mai un insieme di vincoli contrattuali o associativi. Il fedele aderisce ad una struttura già costituita, e le successive adesioni non modificano la strutruttra, che è di natura oggettiva e istituzionale, e preesistente all’adesione dei fedeli.
Né va lasciato in ombra infine il fatto che l’adesione volontaria è una costante nella vita della Chiesa, alla quale si appartiene per un atto libero di adesione com’è il battesimo, e nella quale si vive, si cresce e si coopera sempre in funzione della volontarietà dei fedeli. Nell’esperienza giuridica della Chiesa poi il fedele ha ampi ambiti di autonomia e di libera determinazione verso la gerarchia e riguardo la volontaria sottomissione alla giurisdizione ecclesiastica: per esempio, a seconda del domicilio o quasi-domicilio che si sceglie; così come, per i chierici, la circoscrizione nella quale il candidato agli ordini chiede di essere incardinato o alla quale vuole essere trasferito una volta ordinato oppure con la quale vuole stabilire un rapporto di collaborazione stabile17.
Collegata con questo punto si trova l’altra obiezione segnalata riguardante il ruolo dei fedeli laici, i quali potrebbero cooperare soltanto organicamente alle opere della prelatura; per cui, si conclude, il rapporto dei laici sarebbe soltanto esterno alla prelatura, senza diventare mai membri, fedeli di essa. Mi soffermerò su questa difficoltà, lasciando da parte la possibilità prima accennata di determinazione a iure dei fedeli destinatari dell’azione pastorale del prelato, rispetto dei quali l’atto costitutivo della prelatura e il diritto particolare determineranno in che misura il prelato esercita la sua giurisdizione su di loro e di conseguenza sono fedeli della prelatura.
Centrandoci quindi sullo studio del can. 296 e considerando la questione astraendo dalla soluzione seguita per la prelatura dell’Opus Dei (che è significativamente costituita nella maggior parte da fedeli laici18), le parole adoperate nel canone potrebbero dare luce non soltanto sulla questione della possibile appartenenza dei fedeli laici alla prelatura ma anche sul loro inserimento in essa, distinguendolo dal modo di far parte di una associazione.
La cooperatio organica mette in evidenza che allo stesso modo in cui la Chiesa non è soltanto gruppo di fedeli laici né gruppo di chierici (non è né clericale né laicale) ma insieme di chierici e laici organice exstructa (per richiamare al noto testo di Lumen gentium n. 11), anche la prelatura è organice exstructa. La cooperazione di laici e chierici, è necessaria nei due casi, ed ha una concretizzazione diversa: i laici cooperano esercitando il sacerdozio comune senza che, ordinariamente, il loro contributo richieda né una missio canonica né il conferimento di alcun ufficio, diversamente da quanto risulta per il sacerdozio ministeriale. I due elementi si ordinano l’un l’altro: non prestano un aiuto dall’esterno (i chierici all’apostolato dei laici o i laici all’apostolato dei chierici), ma richiedono una cooperazione mutua, che fa sì che entrambi gli elementi siano indispensabili, poiché «apostolatus laicorum et ministerium pastorale mutuo se complent»19.
Negli enti di natura associativa invece i rapporti e il modo di cooperare alla finalità dell’ente prendono in considerazione non tanto l’essenziale condizione sacramentalmente determinata (chierico-laico) ma altri elementi (la volontà dei fedeli di seguire un’opera di apostolato, o di aderire a una spiritualità, di adempiere un’opera propria…). I membri dell’associazione, come abbiamo considerato, stanno in essa non in quanto chierici-laici al vicendevole servizio ma in una condizione di sostanziale uguaglianza in quanto soci. Qui, la condizione di socio è comune a sacerdoti e laici, rispetto ai fini dell’associazione: tutti si responsabilizzano di tali fini proprio in quanto soci e non in quanto membri chiamati sacramentalmente a svolgere funzioni essenzialmente diverse nella Chiesa.
Andando più a monte, le difficoltà riscontrate per ammettere la presenza di laici a pieno titolo nelle prelature, e lo sforzo di sostenere tale esclusione nella previsione del can. 296 implica un altro rischio. Voler restringere il ruolo dei fedeli laici a meri cooperatori esterni oscurerebbe il carattere dell’organicità come co-responsabilità di tutti i fedeli, chierici e laici, ognuno nella propria condizione, nella missione della Chiesa. Vale a dire, concludere che le prelature sono associazioni perché in esse i fedeli laici s’impegnano attivamente in un’opera evangelizzatrice potrebbe evidenziare una comprensione della missione della Chiesa e del ruolo dei laici alquanto limitata: finirebbe per svuotare l’ecclesiologia conciliare riducendo nella pratica le strutture ecclesiastiche da strutture che integrano tutto il popolo di Dio (chierici e laici) a strutture della gerarchia o clericali dove solo a fatica i laici avrebbero un ruolo proprio e determinante di corresponsabilità.
Dopo il Concilio Vaticano II infatti non è più proponibile una visione che riduca la vitalità apostolica alle istituzioni non gerarchiche: associazioni, società di vita apostolica, istituti di vita consacrata… Esse senz’altro manifestano una spinta apostolica e una generosa risposta alle esigenze evangelizzatrici. Ma non soltanto in esse i fedeli sono chiamati a fare apostolato: anzi, sono chiamati a farlo nelle proprie chiese particolari in ragione della loro vocazione battesimale e della grazia del sacramento della cresima. Si ricordi ad esempio quanto stabilisce il decreto Apostolicam actuositatem: «Quapropter christifideles apostolatum suum exerceant, in unum conspirantes. Sint apostoli tam in suis communitatibus familiaribus, quam in paroeciis et dioecesibus, quae ipsae exprimunt indolem communitariam apostolatus, atque in liberis coetibus in quos se congregare statuerint»20.
Infatti, la riscoperta operata dal Concilio Vaticano II della posizione attiva del fedele laico nella Chiesa fa sì che ogni comunità di fedeli (innanzitutto la diocesi e le altre strutture gerarchiche) sia sopratutto una comunità apostolica che svolge la missione pastorale appunto organicamente, a seconda del proprio ruolo all’interno della comunità (pastore, presbiterio, laicato).
In ogni comunità di questo tipo l’azione apostolica si realizza sia all’interno di essa (per mezzo dell’azione del pastore sul presbiterio e sui laici e di questi tra di loro) che all’esterno, verso quelli più lontani e verso i non battezzati. I laici dunque non sono mai (o non dovrebbero esserlo) soltanto destinatari passivi dell’azione pastorale. La stessa cosa accade nelle prelature personali, in funzione della propria missione pastorale affidata dall’autorità suprema e del modo di determinare i fedeli che saranno oggetto della cura pastorale e della giurisdizione del prelato.
9. Conclusioni
Lungo queste riflessioni ho tentato di mettere a confronto gli elementi comunemente ritenuti essenziali dei fenomeni associativi con quelli che, secondo la tradizione, la prassi, la vita giuridica della Chiesa e le scelte del legislatore sembrano essere i tratti definitori delle prelature personali. Pur riconoscendo delle vicinanze in alcuni punti (e non poteva essere altrimenti, perché gli istituti giuridici ecclesiali mostrano necessariamente degli elementi comuni), andando alla sostanza mi è sembrato di vedere che si tratta di due realtà che si muovono in ambiti diversi, tutti e due al servizio della missione salvifica della Chiesa ma con dei modi e dei tratti costituzionali differenziati.
Per cui, la perplessità segnalata all’inizio (che possa esserci una prelatura d’indole associativa) dovrebbe sparire se si tiene conto che la tradizione canonica, la cultura giuridica dov’è sorta la figura della prelatura, la stessa vita della comunità ecclesiale e le decisioni del legislatore annoverano la prelatura tra le circoscrizioni ecclesiastiche. Quindi, voler ritenere la prelatura personale come ente associativo, essenzialmente diverso dalla prelatura territoriale e in contraddizione con quanto stabilito dallo stesso legislatore nell’erigere la prima prelatura personale, comporterebbe addebitare al legislatore il poco gradito merito di aver dato lo stesso nome a tre realtà sostanzialmente diverse: la prelatura (territoriale) di cui al can. 370, la prelatura (personale) regolata dai cann. 294-297 e la prelatura dell’Opus Dei eretta dalla cost. ap. Ut sit.
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1 Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, n. 25.
2 Lungo la nostra riflessione, abbiamo tenuto presenti gli argomenti proposti in dottrina sulla questione oggetto della presente analisi. Segnaliamo qui i contributi che riteniamo più significativi: ciò ci risparmierà una profusione di citazioni che appesantirebbe il nostro discorso. Si può vedere, a sostegno del carattere gerarchico delle prelature, A. de Fuenmayor, Escritos sobre prelaturas personales, Pamplona 1992; G. Lo Castro, Le prelature personali. Profili giuridici, Milano 1998; J. Hervada, Pensamientos de un canonista en la hora presente, Pamplona 1989; cfr. anche Id., Vetera et nova. Cuestiones de Derecho Canónico y afines (1958-1991), Pamplona 1991; J.L. Gutiérrez, De praelatura personali iuxta leges eius constitutivas et Codicis Juris Canonici normas, in Periodica 72 (1983) pp. 71-111; G. Dalla Torre, Prelato e prelatura, in Enciclopedia del diritto XXXIV, Milano 1985, 973-981; J.I. Arrieta, Pralatury personalne i ich relacje do struktur terytorialnych, in Prawo Kanoniczne 43 (2000) pp. 85-115. In favore invece del carattere associativo, con diverse sfumature, cfr. G. Ghirlanda, De differentia praelaturam personalem inter et ordinariatum militarem seu castrensem, in Periodica 76 (1987) pp. 219-251; H. Schmitz, Die Personalprälaturen, in Handbuch des katholischen Kirchenrecht (a cura di J. Listzl, H. Müller e H. Schmitz), Regensburg 1983 pp. 526-529; M. Benz, voce Prelatura personale, in Enciclopedia Giuridica, Roma 1990, p. 8; R. Klein, Die Personalprälatur im Verfassungsgefüge der Kirche, Würzburg 1995; W. Aymans – K. Mörsdorf, Kanonisches Recht. Lehrbuch aufgrund des Codex iuris canonici. Band II, Paderborn 1997, § 106, pp. 746 s. Risulterà utile anche visitare i diversi contributi agli atti del Convegno Das Konsoziative Element in der Kirche. Akten des VI Internationalen Kongresses für kanonisches Recht, München, 14-19 September 1987, St. Ottilien 1989.
3 Apostolicam actuositatem, 2: «Omnis navitas Corporis Mystici hunc in finem directa apostolatus dicitur quem Ecclesia per omnia sua membra, variis quidem modis, exercet; vocatio enim christiana, natura sua, vocatio quoque est ad apostolatum».
4 Come ricorderemo più avanti, la Gerarchia può anche costituire associazioni pubbliche affinché aiutino nello svolgimento di funzioni proprie della Gerarchia (oltre alla possibilità che vengano promosse delle associazione in seguito all’eventuale mancanza di iniziativa da parte dei fedeli: can. 301).
5 «Peculiaris sollicitudo habeatur fidelium, qui ob vitae condicionem communi ordinaria parochorum cura pastorali non satis frui valent aut eadem penitus carent, uti sunt quamplurimi migrantes, exsules et profugi, maritimi sicut et aeronavigantes, nomades aliique id genus. Aptae methodi pastorales promoveantur ad vitam spiritualem fovendam eorum qui relaxationis causa ad tempus alias regiones petunt. Episcoporum Conferentiae, praesertim Nationales, urgentioribus quaestionibus ad praedictos spectantibus sedulo studeant, et aptis instrumentis ac institutionibus spirituali eorum curae, concordi voluntate viribusque unitis consulant atque faveant, attentis in primis normis ab Apostolica Sede statutis vel statuendis, temporum, locorum et personarum condicionibus apte accommodatis» (decr. Christus Dominus, n. 18).
6 Non intendiamo qui soffermarci sulla portata della missio alle volte conferita ad alcune associazioni.
7 Lumen gentium n. 10: «Sacerdotium autem commune fidelium et sacerdotium ministeriale seu hierarchicum, licet essentia et non gradu tantum differant, ad invicem tamen ordinantur; unum enim et alterum suo peculiari modo de uno Christi sacerdotio participant. Sacerdos quidem ministerialis, potestate sacra qua gaudet, populum sacerdotalem efformat ac regit, sacrificium eucharisticum in persona Christi conficit illudque nomine totius populi Deo offert; fideles vero, vi regalis sui sacerdotii, in oblationem Eucharistiae concurrunt, illudque in sacramentis suscipiendis, in oratione et gratiarum actione, testimonio vitae sanctae, abnegatione et actuosa caritate exercent.».
8 Cfr. can. 295.
9 Non intendo soffermarmi qui sulla portata dell’inclusione del prelato tra gli Ordinari del can. 134, che considera tali non soltanto coloro che hanno potestà esecutiva ordinaria nelle chiese particolari o nelle comunità ad essa equiparata, ma anche i superiori maggiori sia degli istituti religiosi che delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio.
10 «Alla Prelatura personale è preposto un Prelato come Ordinario proprio (can. 295 § 1), e cioè alla stregua di coloro che “praepositi sunt alicui Ecclesiae particulari vel communitati eidem aequiparatae ad normam can. 368” (can. 134 § 1). In altre parole è singolare dover rilevare che da un lato il codice colloca la disciplina delle Prelature personali al di fuori della parte seconda del libro secondo, rubricata De Ecclesiae constitutione hierarchica e relativa alla disciplina dell’autorità nella Chiesa; dall’altro lato tuttavia conferisce al Prelato poteri che sono da ricondurre – e che il codice stesso riconduce – nell’ambito della costituzione gerarchica della Chiesa» (G. Dalla Torre, Le strutture personali e le finalità pastorali, in Aa.Vv. (a cura di J. Canosa), I principi per la revisione del Codice di Diritto Canonico. La ricezione giuridica del Concilio Vaticano II, Milano 2000, p. 571).
11 Il can. 377 § 1 stabilisce, riguardo la provvista dell’ufficio di vescovo diocesano: «Episcopos libere Summus Pontifex nominat, aut legitime electos confirmat».
12 Cost. Ap. Spirituali militum curae, del 21 aprile 1986 (AAS 78 [1986], 481-486).
13 Quest’ultimo sistema (l’elezione seguita dalla conferma del Romano Pontefice) è quello previsto nel diritto particolare della prelatura dell’Opus Dei (cfr. Codex iuris particularis Operis Dei n. 130 § 1). Va segnalato per inciso che il sistema di provvisione consistente nell’elezione costitutiva, senza bisogno di conferma, non sembra consono col principio secondo il quale spetta al Romano Pontefice la provvisione di questi uffici.
14 Paolo VI, Motu proprio Ecclesiae Sanctae, 6 agosto 1966, I, 4.
15 Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, cit. Cfr., sul presbiterio, A. Cattaneo, Il presbiterio della Chiesa particolare. Questioni canonistiche ed ecclesiologiche nei documenti del magistero e del dibattito postconciliare, Milano 1993. Più recentemente, con una visione più ristretta G. Incitti, Il presbiterio diocesano e i presbiteri religiosi, in Quaderni di diritto ecclesiale 12 (1999) pp. 413-436.
16 «…seminaria internationalia, peculiares dioeceses vel praelaturae personales et alia huiusmodi utiliter constitui possunt, quibus [¼] Presbyteri addici vel incardinari queant in bonum commune totius Ecclesiae…». Anche in Christus Dominus, n. 28: «In animarum autem cura procuranda primas partes habent sacerdotes dioecesani, quippe qui, Ecclesiae particulari incardinati vel addicti, eiusdem servitio plene sese devoveant ad unam dominici gregis portionem pascendam; quare unum constituunt presbyterium atque unam familiam, cuius pater est Episcopus».
17 Si veda in proposito J.I. Arrieta, Fattori rilevanti per la determinazione della giurisdizione ecclesiastica (il contesto canonico della convenzione dei fedeli laici con le prelature personali), in Aa.Vv. (a cura di J. Canosa), I principi per la revisione del Codice di Diritto Canonico. La ricezione giuridica del Concilio Vaticano II, Milano 2000, pp. 592-624.
18 Cfr. Annuario pontificio, 2001, p. 891 (82.443). Sono inequivoci al riguardo sia la cost. ap. Ut sit di erezione, sia i primi numeri del Codex iuris particularis Operis Dei, sia infine le parole di commento pronunziate dal Romano Pontefice sulle «componenti in cui la Prelatura è organicamente strutturata, cioè dei sacerdoti e dei fedeli laici, uomini e donne, con a capo il proprio Prelato. Questa natura gerarchica dell’Opus Dei, stabilita nella Costituzione Apostolica con la quale ho eretto la Prelatura (cfr. Cost. ap. Ut sit, 28-XI-82), offre lo spunto per considerazioni pastorali ricche di applicazioni pratiche. Innanzitutto desidero sottolineare che l’appartenenza dei fedeli laici sia alla propria Chiesa particolare sia alla Prelatura, alla quale sono incorporati, fa sì che la missione peculiare della Prelatura confluisca nell’impegno evangelizzatore di ogni Chiesa particolare, come previde il Concilio Vaticano II nell’auspicare la figura delle Prelature personali» (Giovanni Paolo II, Discorso del 17 marzo 2001 ai partecipanti all’Incontro sulla “Novo millennio ineunte” promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei, in L’Osservatore Romano, del 18 marzo 2001, p. 6).
19 Decr. Apostolicam actuositatem, n. 6.
20 Decr. Apostolicam actuositatem, n. 18.