Extracto de la obra: Corso Fondamentale sul Diritto nella Chiesa, vol. I, Giuffrè, Milano 2009, pp. 427-431.
Le prelature personali
145. La prelatura personale costituisce nell’attuale ordinamento canonico la figura generale tipica delle comunità gerarchiche analoghe alle diocesi e d’indole complementare alle medesime. Essa fu prevista dal Concilio Vaticano II (cfr. Presbyterorum ordinis, 10b), ed è adesso regolata dai cc. 294-29734.
Il testo conciliare fornisce la principale chiave di lettur per comprendere l’intenzionalità con cui la Chiesa ha pensato queste iniziative; “lì dove ciò sia reso necessario da motivi apostolici, si faciliti non solo una distribuzione funzionale dei presbiteri, ma anche l’attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura continenti. A questo scopo potrà essere utile la creazione di seminari internazionali, peculiari diocesi o prelature personali, e altre istituzioni del genere, cui potranno essere ascritti o incardinati dei presbiteri per il bene di tutta la Chiesa, secondo norme da stabilirsi per ognuna di queste istituzioni, e rispettando sempre i diritti degli ordinari del luogo” (PO, 10b). Alla luce di questo testo le prelature personali appaiono come istituzioni per l’attuazione di peculiari iniziative pastorali, che rispettano la Gerarchia locale, e sono pertanto di natura complementare rispetto alle diocesi. Il CIC parla di “speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali”35 (c. 294).
La prelatura personale trova come ovvio antecedente storico quello delle prelature nullius, oggi chiamate territoriali. Ciò certamente aiuta a comprendere la configurazione strutturale essenziale della nuova figura: si tratta di una comunità di fedeli con a capo un Prelato, con potestà di governo assimilata a quella dei Vescovi, ma senza essere necessariamente Vescovo36, che la governa come Ordinario proprio (cfr. c. 295 § 1), non come Vicario del Papa, e coadiuvato da un clero (che può anche essere formato ed incardinato nella stessa prelatura: cfr. c. 295). Tuttavia, si deve avvertire che tra questi tipi di prelature (territoriali e personali) c’è una differenza essenziale, quella esistente tra le comunità facenti funzioni di diocesi (tra cui la prelatura territoriale) e le comunità complementari (tra cui la prelatura personale). Come abbiamo spiegato nel paragrafo anteriore, nel rapporto di queste ultime con le diocesi vige una logica del tutto diversa da quella tradizionale del nullius dioecesis. Perciò, “gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie” (c. 297).
La prelatura personale, come ogni altra comunità gerarchica, è composta soprattutto da fedeli laici. A nostro avviso, un ente composto da soli chierici, come una prima lettura letterale del c. 294 potrebbe suggerire (“formate da presbiteri e diaconi del clero secolare”), non sarebbe una prelatura personale, ma rientrerebbe nell’ambito delle realtà associative clericali, venendo a mancare la struttura essenziale di una realtà veramente prelatizia, e cioè l’appartenenza del clero e dei fedeli non ordinati alla medesima comunità gerarchica di fedeli, nella quale la dimensione comunitaria e quella gerarchica sono inseparabili37. I fedeli laici, invece, sono contemplati dallo stesso c. 294, quale elemento personale costituente la stessa ratio per l’erezione di ogni prelatura: “Al fine di promuovere un’adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali”. Va precisato poi che i fedeli laici appartengono pienamente alla prelatura a titolo di battezzati e, secondo la loro vocazione propria, partecipano pienamente alla missione apostolica della prelatura -che è di tutti i fedeli che la compongono- e, nell’ambito ch è per loro possibile, possono collaborare all’attività propriamente pastorale del prelato e del clero.
Nei canoni sulle prelature personali il CIC menziona esplicitamente i laici nell’ottica di una loro organica cooperazione nei termini (che possono essere molto variegati) stabiliti mediante convenzioni con la prelatura (cfr. c. 296). Tale possibilità, esistente anche nelle diocesi ed in qualsiasi comunità gerarchica di fedeli, si aggiunge a quella di cui abbiamo giá parlato, cioè all’appartenenza e all’attività dei fedeli laici nella prelatura personale semplicemente in quanto fedeli per i quali è stata eretta quella comunità gerarchica. Infatti, per alcuni di questi fedeli, già fedeli della prelatura, le convenzioni di cui al c. 296 possono concretizzare la loro cooperazione, la quale in ogni caso, anche senza formali convenzioni, costituisce una cooperazione veramente organiza nella missione della Chiesa. Per altri fedeli laici le convenzioni possono costituire una modalità d’incorporazione alla prelatura (e ciò che avviene ad es. nella Prelatura dell’Opus Dei, di cui parleremo in seguito).
La prelatura personale costituisce un tipo canonico molto ampio. In effetti, le finalità apostoliche e pastorali delle comunità da erigere possono essere assai diverse, e perció molte caratteristiche come l’ambito della giurisdizione e i rapporti con le diocesi sono suscettibili di molteplici configurazioni, ovviamente nel rispetto della sostanza dell’istitutizione quale comunità gerarchica complementare. Risultano quindi particolarmente importanti le norme contenute nell’atto di erezione da parte della Sede Apostolica nonché quelle presenti negli statuti di ogni prelatura (c. 295 § 1). La figura dell’ordinariato militare per l’attenzione pastorale delle forze armate, da esaminare nel paragrafo successivo, rappresenta una concrezione settoriale della stessa istituzione sostanziale. Oltre alle possibilità in territori di missione (cfr. AG, 20g e 27b), l’attenzione a gruppi consistenti di fedeli in situazioni particolari (come ad es. gli immigrati) potrebbe consigliare l’erezione di prelature ad hoc, specialmente per meglio coordinare (a livello regionale, nazionale e anche internazionale) la pastorale più adeguata, cercando anche di risolvere le questioni tanto decisive legate al clero che se ne occupa.
La prelatura personale finora eretta, quella dell’Opus Dei38, costituisce la prima applicazione concreta dell’istituto. Essa va tenuta presente ad un doppio effetto: per comprendere la sostanza comune della nuova figura tipica delle prelature personali, nonché per prendere atto della sua grande flessibilità. A questo secondo proposito, occorre evitare il possibile equivoco di considerare che le future prelature debbano assumere caratteristiche che non sono essenziali e comuni delle prelature, ma solo specifiche della prima; ad es. esse non debbono necessariamente essere universali né tantomeno essere composte da fedeli che s’incorporano mediante un atto espresso di volontà39. Perciò, assumere la prima prelatura personale quale modello in tutto per le nuove prelature sarebbe completamente fuorviante. Nello stesso tempo la prima prelatura personale eretta costituisce un luogo ermeneutico indispensabile per comprendere gli aspetti essenziali che sono comuni a qualsiasi possibile prelatura futura.
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34 Queste norme raccolgono in sostanza quanto previsto nel 1967 da Ecclesiae Sanctae I, 4. L’attuale collocazione sistematica delle prelature personali nel CIC, di per sé inespressiva, riflette il desiderio di differenziarle dalle diocesi ed altre comunità di natura diocesana di cui al c. 368, e non può essere visto come una negazione della loro essenziale appartenenza al genere delle comunità grarchiche (ovviamente nella specie di quelle complementari). Tale appartenenza si rende manifesta negli stessi concetti e termini usati dai ccc. 294-297 (“prelatura”, “Prelato”, “opere pastorali o missionarie”, ecc.), e trova tra l’altro conferma nel fatto che la Pastor Bonus, art. 80, stabilisce la competenza della Congregazione per i Vescovi sulle prelature personali, secondo la loro natura di comunità gerarchicha presieduta da un Prelato con potestà episcopale, in continuità con quel che era stato già sancito nel 1967 dalla precedente cost. ap. Sulla Curia Romana, Regimini Ecclesiae universae, di Paolo VI, n. 49 § 1.
Sulla natura delle prelatura personali si è svolto -specialmente dopo il CIC de 1983- un interessante dibattito dottrinale, che tocca molte questioni connesse e ha prodotto una relativamente ampia letteratura specializzata, ad opera di molti canonisti e con la partecipazione di diversi teologi.
Come avvio per ulteriori approfondimenti può essere utile il volume di AA.VV., Le prelature personali nella normativa e nella vita della Chiesa, Venezia, Scuola Grande di San Rocco, 25 e 26 giugno 2001, CEDAM, Padova 2002.
35 La menzione dell’utilità di queste prelature in ambito missionario è stata già prevista dallo stesso Concilio: cfr. AG, 20g, nt. 4 e 27b, nt. 28. La menzione dell’adeguata distribuzione dei presbiteri nel c, 294 rieccheggia il contesto del decreto PO sui presbiteri e concretamente del suo n. 10. Tuttavia, malgrado l’equivoca dicitura alternativa del canone, tale adeguata distribuzione non può essere intesa sullo stesso piano del fine dell’attuazione delle speciali opere pastorali o missionarie: infatti, la distribuzione del clero rientra tra le cause finali dell’erezione di una prelatura, mentre invece quelle opere costituiscono la causa formale della stessa prelatura.
36 Ma, seguendo l’attuale tendenza generale, i due primi Prelati della Prelatura dell’Opus Dei sono stati ordinati Vescovi, anche se con una sede titolare, il che appare poco congruente con il nesso reale della potestà del Prelato, che è propria, con la stessa comunità prelatizia (proprio per ciò i Prelati territoriali e gli Ordinari militari non sono più Vescovi titolari).
37 La Prelatura di Pontigny, cui sono incardinati i chierici della Missione di Francia, è stata storicamente utile a far comprendere che la tradizionale istituzione delle prelature poteva servire per rinnovati scopi pastorali trascendenti un determinato territorio. Tuttavia, da questo punto di riferimento sono derivati anche degli equivoci importanti per la comprensione delle nuove prelature personali, per il semplice motivo che né la Prelatura di Pontigny né la Missione di Francia costituiscono né possono costituire una prelatura personale, dal momento che in esse mancano gli elementi essenziali di questo tipo di comunità gerarchica. In effetti, la Prelatura di Pontigny, in quanto tale, altro non è che una piccola prelatura territoriale; e la Missione di Francia rappresenta un caso peculiare di associazione clericale. È pertanto assente l’essenza, e non solo il nome, di una prelatura personale: l’essere una comunitpa di fedeli, personalmente delimitata e d’indole complementare, in favore della quale un prelato, coadiuvato dal suo presbiterio, svolge la sua missione pastorale. Questo problematico riferimento alla Missione di Francia ha certamente influenzato l’idea secondo cui le prelature personali sarebbero primariamente composte da soli chierici, il cui ministero poi dovrebbe per forza essercitarsi alle dipendenze ministeriali dirette dai Vescovi diocesani. In questo modo si arriva ad una concezione delle prelature personali come associazioni di chierici secolari, non aventi un loro ambito ministeriale proprio, il che peraltro non rappresenterebbe nessuna novità sostanziale nella Chiesa, e contraddirebbe la stessa natura di “prelatura”.
38 Eretta da Giovanni Paolo II mediante la cost. ap. Ut sit, 28 novembre 1982, in AAS, 75 (1983), I, pp. 423-425. La storia della ricerca di una configurazione giuridico-canonica adeguata all’Opus Dei, fondato da S. Josemaría Escrivá nel 1928, è raccontata in modo dettagliato da A. de Fuenmayor-V. Gómez-Iglesias-J.L. Illanes, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei. Storia e difesa si un carisma, trad. it., Giuffrè, Milano 1991. Fra le appendici documentali di quest’opera si trovano gli Statuti della Prelatura dell’Opus Dei. Cfr. anche AA.VV., Studi sulla prelatura dell’Opus Dei, a cura di E. Baura, EDUSC, Roma 2008.
39 Inoltre, non occorre che le prelature personali abbiano un marcato patrimonio spirituale d’origine carismatica come ha l’Opus Dei quale cammino di santificazione e di apostolato attraverso il lavoro ordinario (ma nulla impedisce che lo possano pure avere, purché ovviamente una configurazione come prelatura sia adeguata alla loro realtà istituzionale, la quale pertanto non deve essere costitutivamente associativa, ma comunionale-gerarchica).
D’altra parte, nella Prelatura dell’Opus Dei si verifica una complementarità particolarmente chiara nei riguardi delle diocesi, poiché il suo ambito non comprende diversi aspetti della pastorale ordinaria diocesana (come i battesimi, le confermazioni, i matrimoni, i funerali).
Inoltre, nel caso dell’Opus Dei l’appartenenza dei fedeli laici alla Prelatura (e la conseguente giurisdizione del Prelato su di essi) è legata ad una convenzione del fedele con la Prelatura, con specifici diritti e doveri per la Prelatura e per il fedele (cfr. cost. ap. Ut sit, cit., III), propri di una dedizione alla Prelatura di natura vocazionale. Un simile fenomeno, formalizzato o meno, può verificarsi in qualsiasi comunità gerarchica (e di fatto si verifica sempre almeno del caso dei chierici), ma certamente non costituisce la via abituale attraverso cui si conforma la porzione del Popolo di Dio eretta in prelatura, la quale sarà invece normalmente costituita dai destinatari della rispettiva opera pastorale, i quali poi liberamente accolgono l’offerta istituzionale della comunità complementare e partecipan istituzionalmente in essa a seconda delle loro possibilità e della loro generosità. Perarltro, molti altri fedeli, oltre a quelli che hanno formalizzato la citata convenzione, partecipano in vari modi alla vita della Prelatura dell’Opus Dei che, come qualunque altra comunità gerarchica, è una realtà ecclesiale di natura essenzialmente apostolica, cioè inviata agli altri secondo una specifica partecipazione all’unica missione di Cristo e della Chiesa.