L’ordinazione episcopale del Prelato dell’Opus Dei

 

  Publicado en «Romana»  12 (1991) pp. 183-192 

 

1. Sabato 8 dicembre 1990, «L’Osservatore Romano» nella rubrica «Nostre Informazioni» includeva la seguente notizia: «Il Santo Padre ha nominato Vescovo titolare di Vita il Reverendissimo Monsignore Alvaro del Portillo, Prelato della Prelatura della Santa Croce e Opus Dei»[1] . Un mese dopo, il 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore, Giovanni Paolo II, insieme a trentadue Cardinali e duecento Vescovi presenti nella Basilica di San Pietro, conferì l’ordinazione episcopale a Mons. del Portillo ed a altri dodici arcivescovi e vescovi eletti, alcuni dei quali destinati al servizio diretto della Santa Sede ed altri chiamati a reggere comunità diocesane nei vari continenti[2] .
La pienezza del sacerdozio ministeriale è stata conferita a Mons. del Portillo proprio in considerazione della sua missione ecclesiale di Prelato della Prelatura della Santa Croce e Opus Dei, prelatura di carattere personale e di ambito internazionale. In effetti, all’ufficio di Prelato dell’Opus Dei ricoperto dal nuovo vescovo si riferisce espressamente la bolla pontificia di nomina, nella quale il Santo Padre, dopo aver lodato le doti prelatizie di Mons. del Portillo, continua con il seguente auspicio: «che tu d’ora in poi, con cuore ancora più grande, ti sforzi sempre di adempiere fino in fondo tutte le incombenze del tuo ufficio»[3] . Il motto scelto da Mons. del Portillo per lo stemma episcopale è un’esclamazione ripetuta innumerevoli volte dal venerabile fondatore Mons. Escrivá de Balaguer: Regnare Christum volumus! Esso compendia molto bene la ragione d’essere della Prelatura dell’Opus Dei: stimolare tutti gli uomini a ricercare la santità —l’identificazione con Cristo— nelle circostanze di lavoro, familiari e sociali in cui ciascuno si trova, e diffondere così il regno di Cristo in tutte le anime e nell’intera società[4] .

La trasformazione dell’Opus Dei in Prelatura personale.

2. Con l’ordinazione episcopale del Prelato la Prelatura dell’Opus Dei non cambia: sin dal momento della sua erezione nel 1982, essa è completa e ha svolto la propria missione in piena normalità. Perciò la relazione della Prelatura —e quella dei suoi fedeli, chierici e laici— con gli Ordinari del luogo non cambia. Adesso, come sin dal 1982 «l’Opus Dei è una Prelatura personale comprendente insieme chierici e laici, per compiere una peculiare opera pastorale sotto il governo di un Prelato proprio»[5] . I fedeli laici dell’Opus Dei sottostanno alla giurisdizione del Prelato in tutto quanto attiene all’adempimento della missione della Prelatura, e «rimangono fedeli delle singole diocesi nelle quali hanno il proprio domicilio o quasi_domicilio, sono quindi sottoposti alla giurisdizione del Vescovo diocesano in tutto quanto il diritto stabilisce per la generalità dei semplici fedeli»[6] .

3. Nella parte narrativa della costituzione apostolica Ut sit del 28 novembre 1982, relativa all’erezione dell’Opus Dei in prelatura personale di ambito internazionale, Giovanni Paolo II descrive il fenomeno pastorale sorto dal carisma di fondazione concesso a Mons. Escrivá come «una compagine apostolica che, formata da sacerdoti e da laici, uomini e donne, è allo stesso tempo organica e indivisa, cioè, dotata di una unità di spirito, di fine, di regime e di formazione spirituale»[7] . Questa complessa unità organica ed indivisa, che risulta dal mutuo complemento delle attività e dei compiti dei suoi componenti —sacerdoti e laici, uomini e donne—, non trovò nella legislazione della Chiesa prima del Concilio Vaticano II l’adeguato riconoscimento e la garanzia della propria identità. La ricerca di adeguatezza della configurazione giuridica al carisma originario, e di garanzia del fenomeno pastorale in cui detto carisma si era manifestato, costituiscono la questione centrale dell’intero itinerario giuridico dell’Opus Dei[8] . Perciò la bolla Ut sit aggiunge che «a quella compagine apostolica si rese necessario attribuirle un’adeguata configurazione giuridica, che fosse consona alle sue caratteristiche peculiari».

4. In occasione del trentesimo anniversario della fondazione dell’Opus Dei, il 2 ottobre 1958, Mons. Escrivá, in una lettera rivolta ai membri dell’Opus Dei e inviata anche a Paolo VI nel 1964, sottolineò l’inadeguatezza e la mancanza di garanzie della configurazione giuridica allora in vigore al riguardo del carisma originario, e indicò un programma di azione per raggiungere una soluzione appropriata: «Informerò la Santa Sede, al momento opportuno, di questa situazione, di questa preoccupazione. E nello stesso tempo manifesterò che desideriamo ardentemente che si provveda a dare una soluzione conveniente, che non costituisca per noi un privilegio —cosa che ripugna al nostro spirito e alla nostra mentalità—, né introduca modifiche quanto alle attuali relazioni con gli Ordinari del luogo«[9] .
In effetti, dal 1960 in poi egli cominciò ad agire in modo deciso, partendo da categorie e da strutture nell’ambito della giurisdizione ecclesiastica ordinaria e non più, come accadeva nelle precedenti tappe dell’iter giuridico, della normativa degli istituti di perfezione, che lo aveva obbligato a ribadire costantemente la specificità dell’Opus Dei e la sua differenziazione dagli istituti religiosi. Il 9 aprile 1960 indirizzò una consultazione al cardinale Domenico Tardini, segretario di Stato, affinché valutasse la possibilità di proporre al Papa, entro gli stretti margini del Codice di Diritto Canonico del 1917, una revisione dello statuto giuridico nella linea della formula della Prelatura nullius adottata per la Mission de France e con la conseguente dipendenza dalla Congregazione concistoriale. Il consiglio del cardinale Tardini fu di lasciare che le cose restassero per il momento come stavano, giacché era necessario aspettare. Era stato compiuto un passo importante, comunicando in modo chiaro e senza circonlocuzioni i suoi desideri di dare ormai soluzione al problema istituzionale esposto, tenendo conto dell’esperienza degli anni trascorsi sin dalla fondazione e delle esigenze del carisma fondazionale[10] .

5. Pur vedendo che agli inizi degli anni sessanta le circostanze non erano ancora propizie per un’accoglienza favorevole di tale istanza, Mons. Escrivá, consigliato in tal senso con insistenza dal cardinale Pietro Ciriaci che quale cardinale protettore seguiva più da vicino l’attività dell’Opus Dei, presentò al Romano Pontefice il 7 gennaio 1962 una formale richiesta di revisione dello statuto giuridico. La bolla Ut sit fa cenno a questi eventi quando riferisce: «Fu lo stesso Fondatore dell’Opus Dei, nell’anno 1962, a chiedere con umile e fiduciosa supplica alla Santa Sede che, avendo presente la natura teologica ed originaria dell’istituzione ed in vista di una sua maggiore efficacia apostolica, le venisse applicata una configurazione ecclesiale ad essa adatta»[11] .
La suddetta revisione dello statuto giuridico consisteva nella trasformazione dell’Opus Dei in una prelatura con statuto proprio, a norma del canone 319 paragrafo 2 del Codice di Diritto Canonico. Mons. Escrivá era ben edotto del fatto che la predetta norma riguardante soltanto le Prelature nullius o territoriali non si sarebbe potuta applicare se non con un’interpretazione estensiva; perciò espresse il desiderio che lo statuto adottasse una soluzione simile alle giurisdizioni territoriali e personali che esistevano in quell’epoca. «La soluzione prospettata —scriveva il fondatore l’8 marzo 1962— non sarebbe una cosa straordinaria, ma una semplice combinazione tra i due tipi di istituzioni interdiocesane che ora dipendono da questa S. Congregazione [Concistoriale], e cioè, gli Ordinariati castrensi e la Mission de France«[12] . La sistemazione giuridica che da molto tempo egli intravvedeva era «qualcosa di simile agli Ordinariati o Vicariati castrensi, composti da sacerdoti secolari, con una missione specifica; e da laici, i quali hanno bisogno, per le loro peculiari circostanze, di un trattamento giuridico ecclesiastico e di una assistenza spirituale adeguati»; ma la dipendenza dai vescovi sarebbe rimasta immutata: «Non desideriamo affatto che questa dipendenza venga alterata con la nuova soluzione. L’unico cambiamento, in questo aspetto, si avrebbe riguardo al piccolo territorio della Prelatura: per tutto il resto, nihil immutetur«. Giovanni XXIII fece rispondere che la richiesta non poteva essere accolta, perché allora presentava difficoltà giuridiche pressoché insuperabili. In una lettera del 25 maggio 1962, Mons. Escrivá comunicò ai membri dell’Opus Dei che al momento opportuno avrebbe riprospettato il problema alla Santa Sede per ottenere «una soluzione giuridica chiara, basata sul diritto ordinario della Chiesa, e non su privilegi, che garantisca definitivamente la fedeltà alla nostra vocazione, che assicuri e fortifichi lo spirito dell’Opus Dei e la fecondità dei nostri apostolati al servizio della Chiesa Santa, del Romano Pontefice, delle anime».

6. Il 24 febbraio 1964 il fondatore inviò a Paolo VI una lettera alla quale allegava, tra altri documenti, un Appunto di coscienza in cui esprimeva il desiderio di trovare, senza fretta, una soluzione giuridica definitiva al problema istituzionale dell’Opus Dei. «Tale soluzione —si legge— andrebbe senz’altro cercata nell’ambito del diritto comune»; e, riferendosi alla richiesta del 1962, aggiungeva: «ho già presentato dei documenti che, a suo tempo, potrebbero forse servire di base per risolvere in modo chiaro e giusto il nostro problema spirituale ed apostolico». Includeva anche la lettera già citata del 2 ottobre 1958 che, come abbiamo visto, parlava, nella stessa linea, di una soluzione non privilegiata e che rispettasse senza modificarli i rapporti esistenti con gli Ordinari del luogo. Come si può vedere, Mons. Escrivá è chiaro e insistente su questi ultimi punti. Tornò ad accennarvi anche in lettera rivolta il 15 agosto 1964 a Mons. Angelo Dell’Acqua, sostituto della Segreteria di Stato, manifestando il desiderio di «arrivare ad una soluzione che non sia di eccezione, né di privilegio, ma che ci permetta lavorare in tale maniera che i Rev.mi Ordinari, che noi amiamo opere et veritate, siano sempre contenti del nostro lavoro; che i diritti dei Vescovi continuino a essere, come adesso, ben saldi e sicuri». Due mesi dopo, il 10 ottobre, Mons. Escrivá fu ricevuto da Paolo VI: si parlò del problema istituzionale e risultò chiaro che era più opportuno aspettare la fine del Concilio Vaticano II per trovare una soluzione giuridica definitiva, nell’ambito del diritto comune e adeguata al carisma proprio dell’Opus Dei[13] .
Proprio al Concilio Vaticano II si riferisce con queste parole la bolla Ut sit nella parte narrativa: «Dal momento in cui il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo ebbe introdotto nell’ordinamento della Chiesa per mezzo del Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 10 —che fu reso esecutivo mediante il Motu proprio Ecclesiae Sanctae, I, n. 4— la figura delle Prelature personali dirette alla realizzazione di specifiche opere pastorali, apparve chiaro che tale figura era perfettamente adeguata all’Opus Dei».

7. In che senso il Concilio Vaticano II concepisce questa figura delle prelature personali? Le prelature personali sono strutture giurisdizionali per lo svolgimento di specifiche funzioni pastorali a vantaggio di certe regioni o gruppi sociali, che sviluppano con forme di diritto umano la costituzione gerarchica della Chiesa. I Padri conciliari, nell’auspicare queste prelature, partirono dalla Mission de France, eretta come prelatura nullius; questa era l’unica figura di prelatura riconosciuta nel Codice di Diritto Canonico allora vigente. I Padri erano consapevoli delle caratteristiche proprie di queste nuove prelature; caratteristiche che le contraddistinguono dalle prelature territoriali. Da una parte, il criterio che le delimita è personale invece di territoriale; dall’altra, la finalità delle prelature personali è lo svolgimento di una pastorale specializzata che esse compiono nell’ambito delle chiese locali, in perfetta coordinazione con la pastorale ordinaria e comune di queste ultime; inoltre, possono essere composte da clero e fedeli laici (conservando questi ultimi il loro vincolo con la chiesa locale, oltre al vincolo che li collega alla prelatura) oppure soltanto da clero[14] .
Con questa nuova figura, delineata dai documenti del Concilio Vaticano II e dalle norme d’applicazione promulgate da Paolo VI[15] , si apriva finalmente l’alveo canonico nell’ambito del diritto comune per dotare l’Opus Dei di una configurazione giuridica, adeguata al suo carisma di fondazione, che assicurasse l’unità di spirito, di fine, di regime e di formazione spirituale e che al contempo salvaguardasse, in ottemperanza alle esigenze della comunione ecclesiale, i diritti degli ordinari del luogo: la Prelatura personale diretta alla realizzazione di peculiari opere pastorali; e «apparve chiaro che tale figura era perfettamente adeguata all’Opus Dei», si legge nella costituzione apostolica Ut sit.

8. L’11 giugno 1969 la Santa Sede, accogliendo la richiesta del fondatore, «lo autorizzò —si legge nella citata costituzione apostolica— a convocare uno speciale congresso generale, che sotto la sua guida si occupasse di iniziare lo studio per una trasformazione dell’Opus Dei in accordo con la sua natura e con le norme del concilio Vaticano II». Mons. Escrivá intese il congresso[16] come una profonda riflessione di tutto l’Opus Dei, in unione con il fondatore, sulla propria natura e sulle proprie caratteristiche, alla luce dei quarantun’anni di vita e dell’estensione in tanti paesi dei cinque continenti. Si trattava dunque di compiere un grande sforzo di sintesi per mostrare come l’insegnamento del fondatore si era incarnato nei diversi luoghi e momenti; in altre parole, il congresso doveva delineare con tratto sicuro le caratteristiche proprie dell’Opus Dei che avrebbero dovuto trovare nella futura configurazione giuridica un alveo adeguato ad accoglierle.
Nelle conclusioni del congresso, approvate il 14 settembre 1970, i congressisti espressero «la convinzione unanime dell’assoluta necessità che, nella revisione del diritto particolare dell’Opus Dei, sia riaffermata l’importanza costituzionale della perfetta unità dell’Opera; essa, comprendendo membri sacerdoti e laici, che non formano categorie distinte, permette di realizzare un servizio alla Chiesa universale saldamente fondato su questa inseparabile unità di vocazione, di spiritualità e di regime». Ed è per quest’unità organica —riaffermata come costituzionale— che i congressisti, in un’altra conclusione finale, palesarono il desiderio che fosse chiesta di nuovo, nel momento opportuno, una configurazione giuridica adeguata «sulla base delle nuove prospettive giuridiche aperte dalle disposizioni e dalle norme applicative dei decreti conciliari». Già Mons. Escrivá, in una lettera inviata il 22 ottobre 1969 al cardinale Ildebrando Antoniutti per informarlo dei lavori svolti fino a quel momento, aveva comunicato che il congresso aveva preso atto «con vivo senso di gratitudine e di speranza, che dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II possono esistere in seno all’ordinamento della Chiesa, altre forma canoniche, con regime a carattere universale, che non richiedono la professione dei consigli evangelici, da parte dei componenti la persona morale». Nella lettera egli chiariva a quali forme canoniche intendeva alludere, poiché faceva riferimento espresso al decreto Presbyterorum Ordinis, n. 10 ed al motu proprio Ecclesiae Sanctae, I, n. 4: cioè, ai documenti in cui si tratta delle prelature personali[17] .

9. Gli studi per la trasformazione[18] dell’Opus Dei in prelatura personale, iniziati in adempimento delle conclusioni approvate dal congresso generale speciale, continuarono, dopo la morte di Mons. Escrivá (1975) e di Paolo VI (1978), lungo i pontificati di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. Fu questo pontefice che nel 1979 diede il «mandato alla Congregazione per i Vescovi, alla quale per sua natura competeva l’assunto[19] —si legge nella bolla Ut sit— affinché, dopo aver considerato attentamente tutti gli elementi sia di diritto che di fatto, vagliasse la richiesta formale che era stata presentata dall’Opus Dei».
Il cardinale Sebastiano Baggio, prefetto della Congregazione per i vescovi, nella prima pagina de «L’Osservatore Romano» del 28 novembre 1982, in un articolo —»Un bene per tutta la Chiesa»— di commento dell’atto pontificio di erezione della Prelatura dell’Opus Dei, avvenuta in quella stessa data, si riferiva al «lungo iter di studio e di consultazione che ha preceduto questa decisione del Santo Padre», indicando che «ci sono voluti ben tre anni e mezzo di assiduo lavoro, dal giorno in cui, il 3 marzo 1979, Giovanni Paolo II incaricò la S. Congregazione per i Vescovi (competente per l’erezione delle Prelature personali a norma della Cost. Ap. Regimini Ecclesiae universae, n. 49 § 1) di esaminare la possibilità e la modalità d’erezione della prima Prelatura personale, precisando che in tale compito si doveva tener accuratamente conto ‘di tutti i dati di diritto e di fatto'». Quindi il cardinale esponeva le quattro tappe dello studio svoltosi in quegli anni e aggiungeva: «Parafrasando l’insegnamento di San Paolo agli Efesini (4, 16), il Concilio ha ricordato che l’organismo sociale della Chiesa serve allo spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cost. dogm. Lumen Gentium, n. 8). Si può ben dire che così è stato una volta ancora. Infatti, se fu un bisogno di sviluppo e di crescita, una ragione eminentemente apostolica e pastorale quella che configurò l’Istituto giuridico delle Prelature personali, tale è stato pure lo scopo primario dell’atto pontificio con cui viene oggi formalmente eretta la Prelatura della Santa Croce e Opus Dei: far diventare cioè realtà viva e operativa una nuova struttura ecclesiastica preordinata dal Concilio, ma rimasta finora al semplice stadio di possibilità teorica». Perciò, il sottosegretario della Congregazione per i vescovi, sullo stesso giornale e nella stessa data, poteva affermare che l’atto pontificio d’erezione della prima prelatura personale costituiva «una pietra miliare dello sviluppo promosso dal Concilio in campo dottrinale e giuridico»[20] .

10. Il processo di costituzione formale della prelatura avvenne in una serie successiva di atti giuridici[21] : dal 5 agosto 1982, quando il Santo Padre stabilì che si rendesse di pubblica conoscenza la propria decisione in merito, sancita dall’approvazione e dalla conferma della dichiarazione Praelaturae personales della Congregazione per i vescovi, fino al 19 marzo 1983, giorno in cui ebbe luogo l’atto formale di consegna e di esecuzione della bolla Ut sit da parte del nunzio apostolico in Italia, che dichiarò costituita la prelatura tramite l’apposito decreto[22] .
Nel contempo avveniva la fase finale di revisione del Codice di Diritto Canonico. La promulgazione del Codice (25 gennaio 1983), che includeva nella legge generale della Chiesa la figura delle prelature personali[23] , e la tappa culminante del processo istitutivo della prima di queste prelature con la promulgazione dei relativi documenti (19 marzo e 2 maggio 1983), venivano a coincidere nel tempo come due momenti di attuazione ed esecuzione di una nuova struttura giurisdizionale e pastorale auspicata dal Concilio Vaticano II, che trovava così la propria conferma legislativa generale nel Codice di Diritto Canonico e la propria applicazione concreta nella Prelatura dell’Opus Dei, tramite la volontà legislativa (universale e particolare) dello stesso Romano Pontefice.
Il 28 giugno 1988, nella costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana, lo stesso Giovanni Paolo II ribadiva nell’articolo 80 la competenza della Congregazione per i vescovi sulle prelature personali[24] .

11. I dati qui elencati mettono in risalto l’inequivocabile linea di continuità, sin dal Concilio Vaticano II, sulla natura della prelatura personale come struttura giurisdizionale dell’organizzazione gerarchica della Chiesa per lo svolgimento di peculiari opere pastorali. Questa nuova struttura auspicata dal Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1965[25] è accolta e sviluppata da Paolo VI nel 1966[26] e posta congruentemente dallo stesso Romano Pontefice sotto la dipendenza dalla Congregazione per i vescovi nel 1967[27] . Questa è la configurazione giuridica voluta per l’Opus Dei da Mons. Escrivá e chiesta dal suo successore Mons. del Portillo. Giovanni Paolo II la accoglierà in modo generale nel nuovo Codice di Diritto Canonico e la farà diventare realtà viva e operativa trasformando l’Opus Dei in prelatura personale. Lo stesso Romano Pontefice ribadirà la competenza della Congregazione per i vescovi sulle prelature personali nella costituzione apostolica Pastor Bonus in una linea di perfetta continuità con gli atti pontifici precedenti, pienamente fedeli al dettato conciliare.

Congruenza dell’ordinazione episcopale.

12. La Chiesa, a partire dai nuclei originari di diritto divino e mantenendoli sempre intangibili, si autoorganizza in funzione della propria missione salvifica: autoorganizzazione che si manifesta nei diversi sviluppi di diritto ecclesiastico attuati storicamente dalla Chiesa per rispondere ai bisogni degli uomini in ogni momento. Concretamente, il successore di Pietro, in quanto moderatore supremo della giurisdizione nella Chiesa al servizio dell’ unitas fidei et communionis, mosso dalla peculiare e propria sollicitudo omnium ecclesiarum pone in essere diversi di questi sviluppi, dando luogo a concrete strutture pastorali. Le prelature personali, fin dal momento della loro previsione nella legislazione conciliare —come già abbiamo visto—, si iscrivono in questo quadro degli sviluppi organizzativi della costituzione gerarchica della Chiesa ratione apostolatus, in bonum commune totius Ecclesiae[28] .
Queste nuove strutture gerarchiche istituite dal Papa e dotate di particolari leggi pontificie o Statuta, vengono affidate al governo di un Prelato, Ordinario proprio[29] , con o senza carattere episcopale[30] . Come titolari di uffici di governo al più alto livello di una struttura gerarchica, questi prelati fanno parte a tutti gli effetti della gerarchia ecclesiastica. Il prelato concentra e personifica in sé la giurisdizione che sorregge la prelatura come struttura gerarchica; giurisdizione circoscritta all’ambito della missione pastorale per cui è stata eretta. Come altri uffici di governo delle strutture giurisdizionali e gerarchiche di istituzione ecclesiastica, sebbene la funzione pastorale e la potestà siano vere episcopales in quanto determinazioni del munus regendi affidato da Cristo al Papa e al Collegio dei vescovi, il governo viene esercitato ad instar Episcopi e perciò non richiede necessariamente l’ordinazione episcopale. Diversamente da quanto succede nelle diocesi, il carattere episcopale del titolare dell’ufficio di governo delle prelature personali non appartiene all’esse di queste nuove strutture. Però, siccome la potestà del prelato è una vera giurisdizione di natura episcopale non soltanto ordinaria ma anche giuridicamente propria, e non vicaria[31] , perciò e per quanto detto finora risulta la piena congruenza dell’ordinazione episcopale del prelato delle prelature personali.

13. Che il prelato riceva la pienezza del sacerdozio ministeriale non soltanto è congruente, ma anche conveniente in quanto inserisce sacramentaliter il titolare di un ufficio di governo, con funzione e potestà vere episcopales ed esercitate ad instar Episcopi, nell’organo specifico della communio hierarchica dei pastori della Chiesa, cioè il Collegio dei vescovi; e in quanto il vescovo prelato si pone in relazione sacramentale di communio con i vescovi diocesani delle chiese locali in cui la prelatura svolge la propria missione pastorale.
Come giustamente si è fatto notare, nella varietà dei tipi possibili di prelatura personale, questa convenienza si fa più evidente nelle prelature che hanno un proprio clero incardinato e un laicato incorporato che riceve la specifica cura pastorale da parte del clero prelatizio; e ancora più evidente se clero incardinato e laicato incorporato assieme concorrono allo svolgimento di uno specifico compito di natura pastorale e apostolica in organica e mutua cooperazione, sotto la guida del prelato. Convenienza che si fa particolarmente evidente nei casi in cui inoltre il prelato erige il seminario internazionale e promuove i candidati ai sacri Ordini, incardinandoli al servizio della prelatura: l’ordinazione dei diaconi e dei sacerdoti da parte del prelato sarebbe in tal caso una più piena manifestazione dell’interna struttura di communio sacramentalis sottesa alla giurisdizione della prelatura personificata nel prelato; nel più profondo del ministerium di questi diaconi e sacerdoti resterebbero iscritte sacramentaliter la comunione con il Romano Pontefice, la comunione con il loro prelato e la comunione con il vescovo della chiesa locale in cui si compie e si inserisce la loro attività pastorale[32] .

14. Questo è precisamente il caso della Prelatura dell’Opus Dei, la quale infatti costituisce una realtà di vita cristiana presente in circa trecento chiese locali dei cinque continenti; realtà di vita cristiana strutturata come una unità organica ed indivisa dotata di unità di spirito, di fine, di regime e di formazione. L’Opus Dei costituisce un fenomeno pastorale specifico, sorto dal carisma di fondazione di Mons. Escrivá, a cui la Chiesa ha esteso l’organizzazione ecclesiastica ordinaria trasformandolo in prelatura di carattere personale e ambito internazionale «comprendente insieme chierici e laici, per compiere una peculiare opera pastorale sotto il governo di un Prelato proprio»[33] «che è aiutato dai suoi Vicari e consigli»[34] . «Il presbiterio della Prelatura è costituito da quei chierici che, appartenendo alla stessa Prelatura come fedeli laici, sono promossi agli Ordini sacri e ad essa sono incardinati»[35] dal Prelato[36] , che deve provvedere alla loro specifica formazione nei propri centri[37] . Il Prelato con il suo presbiterio ha il compito della «cura pastorale specifica» e della «formazione spirituale e ecclesiastica» dei fedeli dell’Opus Dei[38] .
Prelato, chierici incardinati e laici incorporati[39] sono soggetti attivi in cooperazione organica della missione affidata alla Prelatura: far prendere profonda coscienza alle persone di ogni condizione sociale, per mezzo del lavoro professionale e degli altri doveri ordinari dei cristiani, della vocazione universale alla santità; e curare la vita spirituale dei componenti della Prelatura. La Prelatura sotto la potestà di regime o di giurisdizione del Prelato, circoscritta all’ambito della propria missione, implica costituzionalmente tanto l’attività laicale come quella sacerdotale nel loro organico rapporto tipico della costituzione gerarchica della Chiesa: «Il sacerdozio ministeriale dei chierici e quello comune dei laici si uniscono intimamente e si richiedono e completano a vicenda, per raggiungere in unità di vocazione e di regime, il fine che la Prelatura si propone»[40] .

15. Abbiamo iniziato queste pagine affermando che con l’ordinazione episcopale del Prelato la Prelatura dell’Opus Dei non cambia; e non cambia perciò il rapporto della Prelatura e dei suoi fedeli con gli Ordinari del luogo, secondo quanto previsto e ripetutamente manifestato dal fondatore. Mons. del Portillo ha ricevuto la pienezza del sacerdozio ministeriale perché l’episcopato è particolarmente conveniente alla sua funzione ecclesiale di Prelato dell’Opus Dei[41] . L’ordinazione episcopale l’inserisce nel Collegio dei vescovi con le particolari conseguenze che ne derivano. D’ora in poi il Vescovo Prelato avrà anche la facoltà di conferire l’Ordine sacro, in particolare ai candidati da lui promossi: ciò costituisce un’importante novità. Un’altra rilevante conseguenza è la nuova forza sacramentale della sua sollicitudo omnium Ecclesiarum: sul Vescovo Prelato ricade in modo peculiare, come su ogni membro del Collegio Episcopale, cum Petro et sub Petro e in intima comunione sacramentale con tutti i vescovi, la responsabilità di tutta la Chiesa nella sua dimensione universale e particolare.

Mons. del Portillo il 7 gennaio 1991, nella già menzionata concelebrazione eucaristica in occasione della sua ordinazione episcopale, pronunciò tra altre le seguenti parole: «La data di ieri mi richiama alla memoria un’altra ricorrenza, il cui ricordo è impresso nel mio cuore. Mi riferisco al 28 novembre 1982, giorno in cui il Papa ha eretto l’Opus Dei in Prelatura personale: tale decisione pontificia segnò il termine del lungo cammino giuridico dell’Opera, che è una pagina della storia della Chiesa scritta dal nostro Fondatore, sostenuto dalla Madonna, con la sua eroica fedeltà alla missione divina ricevuta». E aggiunse: «L’ordinazione episcopale del Prelato significa un gran bene per la Prelatura dell’Opus Dei, e, nel contempo, un nuovo attestato da parte della Santa Sede sulla sua natura giuridica quale struttura giurisdizionale nella Chiesa. L’episcopato conferisce una nuova grazia sacramentale al Pastore della Prelatura e rafforza sacramentalmente la sua unione con il Papa e con i Vescovi. Vi invito a continuare a pregare ogni giorno per la Gerarchia della Chiesa, amando sinceramente tutti i suoi membri»[42] .

Valentín Gómez_Iglesias
Professore di Diritto Canonico
Ateneo Romano della Santa Croce

[1] 1. «L’Osservatore Romano», 8 dicembre 1990, p. 1.

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[2] 2. Cfr. «L’Osservatore Romano», 7_8 gennaio 1991, p. 1, 4 e 5.

[3] 3. Vid. il testo della bolla pontificia di nomina in questo numero di Romana, p. 12.

[4] 4. All’indomani della sua ordinazione episcopale, Mons. del Portillo si riferì a questo motto nella Basilica di Sant’Eugenio a Valle Giulia, nel corso della solenne concelebrazione eucaristica con il Vicario Generale e gli altri Vicari della Prelatura convenuti a Roma: «Questo motto —Regnare Christum volumus!— rispecchia il più vivo anelito del nostro Fondatore e anche, inequivocabilmente, la ragione d’essere dell’Opus Dei. La Chiesa è il Regno di Cristo che si va realizzando lungo la storia e solo alla fine dei tempi raggiungerà la pienezza. Perciò, nel ripetere ‘vogliamo che Cristo regni!’, stiamo ribadendo il desiderio, la volontà decisa e fattiva di contribuire all’edificazione della Chiesa sulla solida roccia di Pietro (Cfr. Mt 13, 18_19 —Vangelo della Messa—), con lo spirito e i mezzi voluti da Dio per i membri dell’Opus Dei.»Lo spirito dell’Opera ci chiama a cercare la santità e ad esercitare l’apostolato in mezzo al mondo, nel lavoro professionale e nelle relazioni familiari e sociali, impegnandoci, tra l’altro, a costruire una società giusta, degna della persona umana e della sua libertà. I mezzi che adoperiamo sono, innanzitutto, la preghiera e i sacramenti: una solida vita interiore fondata sulla filiazione divina e sostenuta da una costante e accurata formazione spirituale e dottrinale» (Vid. in questo numero di Romana, p. 131).

[5] 5. Codex iuris particularis Operis Dei (Statuta della Prelatura dell’Opus Dei), n. 1.

[6] 6. S. Congregazione per i Vescovi, Declaratio Praelaturae personales, 23_VIII_1982, IV, c), in AAS, 75 (1983), p. 464_468.

[7] 7. Cfr. Cost. apost. Ut sit, pars narrativa, in ibid., p. 423_425.

[8] 8. Sulle tappe dell’iter giuridico dell’Opus Dei, vid. A. De Fuenmayor, V. Gómez_Iglesias, J.L. Illanes, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei. Storia e difesa di un carisma, Milano 1991.

[9] 9. Cfr. L’itinerario giuridico…, cit., p. 792_795.

[10] 10. Cfr. L’itinerario giuridico…, cit., p. 450_457.

[11] 11. Su questa richiesta del 1962, cfr. L’itinerario giuridico…, cit., p. 464_474.

[12] 12. E il 12 aprile dello stesso anno 1962 affermava: «La soluzione non è nuova […]; Si ricorda l’esempio degli Ordinariati castrensi e la Mission de France: i primi per l’assistenza spirituale di gruppi di persone, che si trovano in condizioni peculiari; la seconda, per lo svolgimento di un apostolato specifico».

[13] 13. Cfr. L’itinerario giuridico…, cit., p. 494_498.

[14] 14. Cfr. P. Lombardía-J. Hervada, Sobre Prelaturas personales in Ius Canonicum, 27 (1987), p. 17 ss. Circa la natura giuridica delle Prelature personali, vid. G. Lo Castro, Le Prelature personali. Profili giuridici, Milano 1988, p. 147 ss.

[15] 15. Motu proprio Ecclesiae Sanctae, I, 4 (6 agosto 1966) in AAS, 58 (1966), p. 760_761.

[16] 16. Sul Congresso Generale Speciale, vid. L’itinerario giuridico…, cit., p. 511_591 e 817_820.

[17] 17. Cfr. L’itinerario giuridico…, cit., p. 814_817.

[18] 18. Sul significato del termine «trasformazione», che viene utilizzato due volte nella pars narrativa della cost. apost. Ut sit, vid. J.L. Gutiérrez, Unità organica e norma giuridica nella Costituzione apostolica «Ut sit», in Romana, 2 (1986), p. 349 ss.

[19] 19. Paolo VI, un anno dopo aver promulgato il motu proprio Ecclesiae Sanctae, nella cost. apost. Regimini Ecclesiae universae (15-VIII-1967), n. 49, affidò alla Congregazione per i vescovi la competenza generale sulle strutture pastorali dell’organizzazione gerarchica della Chiesa nonché sui loro prelati, includendo le prelature personali fra le predette strutture gerarchiche (AAS, 59 (1967), p. 901).

[20] 20. M. Costalunga, L’erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale, in «L’Osservatore Romano», 28 novembre 1982, p. 3.

[21] 21. Sulle tappe del processo istitutivo della Prelatura dell’Opus Dei, vid. L’itinerario giuridico…, cit., p. 626_645.

[22] 22. La declaratio Praelaturae personales e la cost. apost. Ut sit furono pubblicate nella consueta forma negli Acta Apostolicae Sedis, fascicolo del 2 maggio 1983, in AAS, 75 (1983), p. 464_468 e 423_425.

[23] 23. Il Codice di Diritto Canonico regola le prelature personali nei canoni 294_297. Nell’ultima revisione del progetto del Codex, i canoni sulle prelature personali sono passati dalla sezione II della parte II del libro De Populo Dei alla parte I dello stesso libro. Questo cambio sistematico —come la maggioranza della dottrina ha messo in rilievo— non volle altro che evitare la confusione fra le prelature personali e le chiese locali, senza minimamente negare il carattere giurisdizionale e gerarchico che il Concilio Vaticano II e le sue norme applicative avevano delineato per queste nuove strutture dell’organizzazione della Chiesa. Vid. G. Lo Castro, Le Prelature personali. Profili giuridici, cit., e la bibliografia ivi menzionata.

[24] 24. AAS, 80 (1988), p. 880.

[25] 25. Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 10.

[26] 26. Motu proprio Ecclesiae Sanctae, I, 4.

[27] 27. Cost. apost. Regimini Ecclesiae universae, n. 49 § 1.

[28] 28. Vid. A. De Fuenmayor, Potestad primacial y prelaturas personales, in Escritos sobre prelaturas personales, Pamplona 1990, p. 151_166.

[29] 29. Motu proprio Ecclesiae Sanctae, I, 4; CIC c. 295.

[30] 30. Già nell’Annuario Pontificio per l’anno 1983, nelle note storiche sulle prelature personali, si leggeva: «Per lo svolgimento delle loro peculiari iniziative pastorali, tali Prelature hanno sempre un prelato, Ordinario proprio, con o senza carattere episcopale» (vid., Annuario Pontificio 1983, p. 1522).

[31] 31. Vid. J. I. Arrieta, L’atto di erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale, in Apollinaris, 56 (1983), p. 100_102.

[32] 32. P. Rodríguez, Chiese particolari e Prelature personali, Milano 1985, p. 140_141.

[33] 33. Codex iuris particularis Operis Dei, n. 1 § 1 (può consultarsi in L’itinerario giuridico…, cit., p. 875_914).

[34] 34. Ibid., n. 125.

[35] 35. Ibid., n. 1 § 2.

[36] 36. Ibid., n. 36.

[37] 37. Declaratio Praelaturae personales, III, c).

[38] 38. Codex iuris particularis Operis Dei, n. 38.

[39] 39. I dati recenti dei fedeli della Prelatura sono i seguenti: 1.385 sacerdoti incardinati, di cui 39 ordinati nell’anno precedente, e 74.710 laici incorporati (Annuario Pontificio 1991, p. 1113).

[40] 40. Codex iuris particularis Operis Dei, n. 4 § 2.

[41] 41. Sui motivi teologici della convenienza di questa ordinazione, vid. F. Ocáriz, La consacrazione episcopale del Prelato dell’Opus Dei, in Studi Cattolici, 35 (1991), p. 22 ss.

[42] 42. Vid. Romana 12 (1991/1) 129.

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