San Josemaría Escrivá e la prospettiva dell’Opus Dei come Prelatura personale

Valentín Gómez-Iglesias C. 

[Una versione abbreviata di questo lavoro, con il titolo La prospettiva dell’Opus Dei come Prelatura personale nei primi anni sessanta, è stata presentata come comunicazione alla Giornata di studio – XXV aniversario dell’erezione della Prelatura dell’Opus Dei tenutasi presso la Pontificia Università della Santa Croce (Roma, 10 marzo 2008), e pubblicata sui rispettivi atti (Studi sulla prelatura dell’Opus Dei – A venticinque anni dalla Costituzione apostolica “Ut sit”, a cura di E. Baura, Roma 2008, pp. 153-163)]
 
 

    Il 19 del mese di marzo dell’anno 1983, venticinque anni or sono, a Roma, nella Basilica di S. Eugenio, il Nunzio in Italia l’Arcivescovo Romolo Carboni, secondo il mandato conferitogli da Giovanni Paolo II, diede esecuzione a quanto prescritto nella Costituzione Apostolica Ut sit, del 28 novembre 1982, mediante la quale veniva eretto l’Opus Dei in Prelatura personale. Il solenne atto si era svolto alla presenza di numerosi cardinali, vescovi e altri dignitari ecclesiastici, nonché di autorità civili e rappresentanti diplomatici, insieme ad un gran numero di fedeli, per la maggior parte appartenenti alla nuova prelatura1.

 

1. San Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei

    Giungeva così a conclusione non solo la tappa culminante del processo istitutivo della Prelatura della Santa Croce e Opus Dei iniziato nel 1979 con la richiesta a Giovanni Paolo II di erigere l’Opus Dei in prelatura personale, ma anche la storia del suo lungo cammino giuridico, cominciata il 2 ottobre 1928, giorno in cui San Josemaría Escrivá de Balaguer «divina ductus inspiratione»2 fondò l’Opus Dei.

    Giovanni Paolo II, il 7 ottobre 2002, al termine della messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Josemaría, si  rivolse ai partecipanti con queste parole: «Nel Fondatore dell’Opus Dei spicca l’amore per la volontà di Dio. Esiste un criterio sicuro di santità: la fedeltà nel compiere la volontà divina fino alle ultime conseguenze»3. San Josemaría manifestò  questa fedeltà al disegno di Dio con una soprannaturale  e umile percezione di essere soltanto «uno strumento inetto e sordo» nelle mani del Signore4.  Al riguardo, il Card. Ratzinger rifletteva: «Josemaría Escrivá non si riteneva «fondatore» di nulla, ma solo uno che vuole compiere la volontà di Dio, assecondare l’azione, l’opera -appunto- di Dio. […] Diceva dunque il fondatore dell’Opera: non sono io che ho inventato qualcosa; è un Altro che fa ed io sono soltanto disponibile a servire come strumento. Così questo titolo, e tutta la realtà che chiamiamo Opus Dei, è profondamente collegato con la vita interiore del fondatore […]»5.

    In effetti, tutta la storia della fondazione, come tutta la realtà dell’Opus Dei, è inseparabilmente unita alla vita interiore di amore e fedeltà a Dio di San Josemaría: tutta la storia del lungo itinerario giuridico dell’Opus Dei non è semplicemente il complesso percorso di una realtà ecclesiale verso la definitiva configurazione canonica; essa è anche la storia della «intenzione speciale» di cui parlava spesso San Josemaría, cioè la storia degli sforzi profusi dal fondatore per ottenere un inquadramento istituzionale, corrispondente alla natura dell’Opus Dei, che superasse gli schemi teologici e giuridici del Codice di Diritto Canonico del 1917: ciò costituisce la questione centrale dell’intero itinerario giuridico dell’Opus Dei, fino all’erezione in Prelatura di carattere personale ed ambito internazionale voluta da San Josemaría. Complesso è stato il suddetto percorso, sebbene il carisma di fondazione risulti limpido e semplice: non solo il sacerdote e il religioso sono chiamati alla perfezione, alla santificazione, ma anche il fedele laico, che vive nel mondo, può e deve essere santo attraverso la sua attività ordinaria quotidiana, in qualsiasi condizione, stato civile, professione, lavoro, ecc, come tanti anni dopo proclamerà solennemente il magistero supremo della Chiesa nel Concilio Vaticano II. Dal 1928 San Josemaría Escrivá, con la grazia di Dio, consacrò ogni sua energia  alla promozione di questa dottrina: il suo principale pregio, secondo il Card. Stickler,  «consiste nell’avere focalizzato e universalizzato l’idea non lasciandola  sul piano della dottrina e della teoria ma dandole una forma operante universale e ben articolata attraverso un’opera del tutto originale, che è riuscita per la prima volta a promuoverne la realizzazione concreta attraverso l’attività di una organizzazione apostolica con il preciso fine di santificare il cristiano vivente nel mondo, il laico, affiancando così agli stati tradizionali e considerati i più propri di tale santificazione (quello ecclesiastico, religioso e consacrato secolare) lo stato universale del cristiano sic et simpliciter»6. 

 

2. La tappa iniziale della fondazione

    La luce che pervase San Josemaría il 2 ottobre del 1928 costituì, fino al momento  della morte, il criterio e l’impulso che orientò  completamente tutto il suo operare. Il 2 ottobre del 1931, in una nota autografa, si riferiva a quanto accaduto tre anni prima e al lavoro svolto nei mesi successivi: «Quel giorno il Signore fondò la sua Opera: da allora cominciai ad avvicinare anime di laici, studenti e non, comunque giovani. E a formare gruppi. E a pregare e a far pregare. E a soffrire […]»7.  Non è una dichiarazione retorica, bensì il riflesso della realtà, confermato da numerose testimonianze scritte di quei giovani e di altre persone che lo conobbero in quell’epoca8. San Josemaría trasmetteva a coloro che gli si avvicinavano il desiderio di approfondire il senso della propria condizione di cristiano, di assumersi gli impegni battesimali, nel proprio lavoro, nel proprio stato e al proprio posto di uomini e donne comuni. In tale contesto, a poco a poco, nasceva il riferimento all’Opera, come istituzione voluta da Dio per diffondere questo messaggio, con la possibilità di vincolarsi ad essa. San Josemaría anni dopo ricordava i primi tempi della fondazione -gli anni trenta del secolo scorso- in cui prendeva corpo e si sviluppava il fenomeno pastorale dell’Opus Dei: «Continuai il mio lavoro di anime e così, a poco a poco, dalla solida roccia di quel mandato ricevuto da Dio -non potevo dubitarne, non ne ho mai dubitato- con la spontaneità con cui dalla montagna sgorga la sorgente, nacquero le consuetudini, le diverse manifestazioni del buono spirito dell’Opera, le specifiche pratiche di pietà, il modo di realizzare l’apostolato nel mondo, ciascuno personalmente, tra gli altri, suoi uguali. In questo modo i primi che mi affiancarono acquisirono la vita interiore propria dei cristiani coerenti […]: lottavano per essere virtuosi, fedeli al Magistero della Chiesa, efficaci nel lavoro professionale, fonte di santità nell’apostolato -specialmente con i propri colleghi di lavoro- nel bel mezzo della strada»9.  

    Fin dall’inizio San Josemaría contava per il suo lavoro apostolico con la venia e la benedizione del vescovo di Madrid, mons. Eijo y Garay, che teneva regolarmente informato attraverso il vicario generale, don Francisco Morán. Riteneva che questo fosse sufficiente nel periodo iniziale: comportarsi diversamente sarebbe stato quantomeno imprudente10. Nel gennaio del 1936 considerava al riguardo: «Senza dubbio tutto lascia intuire che se chiedo al Signor Vescovo la prima approvazione ecclesiastica dell’Opera, me la darà. Ma si tratta di un fatto di tale importanza che occorre molta ponderazione. L’Opera di Dio deve presentare una forma nuova e si potrebbe facilmente rovinare il cammino»11. Questo nuovo statuto giuridico avrebbe dovuto inquadrare senza equivoci il carisma di fondazione, proteggerlo e promuovere il suo sviluppo lungo la storia. Sin dal 1928 o 1929, San Josemaría cominciò a pregare per la configurazione giuridica dell’Opera, pur non sapendo esattamente quale sarebbe stato il cammino da percorrere. Benché con la luce del 2 ottobre 1928 vedesse le linee maestre della fondazione, l’attuazione giuridica concreta era ancora lontana dal poter prendere corpo. Ciò nonostante, già negli anni trenta, aveva cominciato a profilarsi nella mente di San Josemaría la soluzione giuridica che venticinque anni or sono si fece realtà: aveva intravisto, logicamente ancora senza contorni precisi, una configurazione giuridica che prevedeva una giurisdizione di tipo personale. Al riguardo Pedro Casciaro, uno dei primi seguaci di San Josemaría, riferisce un episodio avvenuto nella primavera del 1936, nella chiesa di Santa Isabel a Madrid, di cui all’epoca era Rettore San Josemaría. Mentra aspettava, egli stava osservando due lapidi funerarie che si trovavano nel pavimento accanto al presbiterio.  San Josemaría gli si avvicinò e indicando con il dito gli epitaffi delle tombe gli disse: «Lì c’è la futura soluzione giuridica dell’Opera». Pedro Casciaro non ricorda che abbia aggiunto altro, mentre invece ricorda di non aver capito nulla, poiché non aveva mai pensato che l’Opera avesse bisogno di una soluzione e tanto meno che fosse una soluzione di carattere giuridico12. Le due lapidi appartengono a due prelati spagnoli, uno della seconda metà del XVIII secolo, l’altro della seconda metà del XIX e degli inizi del XX secolo, entrambi cappellani maggiori del re e vicari generali dei suoi eserciti, che come tali avevano goduto di una particolare e vasta giurisdizione ecclesiastica di carattere personale, non territoriale: oggi si direbbe che si trattava di due  Ordinari militari13.  Il ricordo di Pedro Casciaro è significativo perché testimonia che negli anni trenta nella mente di San Josemaría era già presente, in un modo o nell’altro, l’idea di una struttura giurisdizionale di carattere personale e secolare.

    

3. Uno statuto giuridico provvisorio    

    San Josemaría era ben consapevole che la storia non si ferma e che, con il passare del tempo, la crescita del lavoro apostolico e la progressiva consistenza del fenomeno pastorale rendevano indispensabile approntare una configurazione giuridica; inoltre percepiva chiaramente che, data la novità dell’Opus Dei,  la legislazione e la pratica canonica di quel tempo non conoscevano nessuna figura giuridica che si adattasse a tale novità e al suo sviluppo pastorale. Nel 1985, l’Arcivescovo Fagiolo -divenuto anni dopo Presidente del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi e successivamente creato Cardinale- aveva ben colto questa situazione e scriveva al riguardo: «La Provvidenza aveva voluto che il giovane Josemaría Escrivá studiasse Diritto canonico e civile. A lui, Fondatore, oltre all’impellente problema di suscitare vocazioni, se ne presentò un altro, meno urgente ma anch’esso da risolvere: ciò che Dio gli aveva fatto vedere, come si sarebbe inquadrato nella cornice giuridico-ecclesiastica? Come ottenere che laici e sacerdoti, uomini e donne, celibi e sposati, vivessero nell’Opus Dei costituendo una unità pastorale -organica e indivisibile- non solo di spiritualità, di formazione e di fine, ma anche di regime? La legislazione canonica vigente non dava una risposta a queste domande». E proseguiva: «In attesa di questa soluzione che sarebbe arrivata, l’Opus Dei aveva bisogno di uno statuto provvisorio che gli permettesse di vivere e svilupparsi nella Chiesa e, allo stesso tempo, non soffocasse o deformasse il messaggio che Dio aveva affidato al Fondatore. Coniugare questa duplice esigenza non fu sempre facile e in questa sfida Mons. Escrivá diede la misura della sua elevata qualità di giurista, di sacerdote santo e di uomo di governo»14.

    A questo statuto giuridico provvisorio si riferirà San Josemaría nel settembre del 1970 con le seguenti parole: «Figli miei, il Signore ci ha sempre aiutati a percorrere, nelle diverse circostanze della vita della Chiesa e dell’Opera, quel concreto cammino giuridico che in ogni momento storico -nel 1941, nel 1943, nel 1947- riuniva tre caratteristiche fondamentali: essere un cammino possibile, soddisfare le necessità di crescita dell’Opera ed essere -fra le diverse possibilità giuridiche- la soluzione  più adeguata, cioè la meno inadeguata alla realtà della nostra vita»15.

    Al termine della guerra civile spagnola (1936-1939), quando l’Opus Dei  iniziò a espandersi nelle diverse provincie spagnole, si scatenò contro San Josemaría e l’Opus Dei una campagna organizzata e sistematica di incomprensioni e calunnie di tale entità che il Vescovo di Madrid decise di intervenire con tutta la propria autorità, approvando in scriptis l’Opus Dei come Pia Unione il 19 marzo 1941. Con l’espansione, divenne sempre più urgente contare su sacerdoti provenienti dal laicato dell’Opus Dei ed al suo servizio: con l’erezione diocesana della Società Sacerdotale della Santa Croce nel 1943, previo nihil obstat della Santa Sede, l’Opera poteva disporre di sacerdoti propri ed al suo servizio. La rapida crescita dell’Opus Dei palesò nei fatti quell’universalità apostolica insita nel carisma di fondazione: occorreva una sistemazione giuridica che assicurasse un governo universale, oltrepassando il regime diocesano sancito nel 1943; con l’approvazione come Istituto secolare di diritto pontificio nel 1947 e nel 1950, si ottenne un regime interdiocesano. Questa sistemazione giuridica, sebbene fosse meno inadeguata delle precedenti, tuttavia non risultava pienamente adeguata alla realtà dell’Opus Dei, dal momento che richiedeva, come condizione indispensabile per poter usufruire di un regime giuridico di carattere universale, la professione dei consigli evangelici tramite l’emissione dei tre voti tradizionali da parte dei membri dell’Opus Dei, e conseguentemente la dipendenza dell’Istituto dalla Congregazione per i Religiosi: San Josemaría diede prova di prudente previsione nell’intuire con chiarezza che una prassi discordante dallo spirito della normativa sugli Istituti secolari poteva introdurre, per via di fatto, una confusione nel nuovo inquadramento giuridico; concretamente, intuiva il pericolo di identificare nella pratica i membri dell’Opus Dei, sacerdoti e laici, con i religiosi o di essere a loro equiparati, in evidente contraddizione con il carisma originario16;  un pericolo  che si  presentò  già nel 1950  -e  ancora di più  negli anni successivi- e che fece soffrire profondamente San Josemaría17.  

    Tra l’approvazione provvisoria del 1947 e quella definitiva del 1950, San Josemaría volle esporre in una conferenza pubblica a Madrid, il 17 dicembre 1948, le note caratteristiche dell’Opus Dei come istituzione di diritto pontificio. Il testo fu pubblicato e costituisce una testimonianza di notevole valore, perché ci dà una chiave di lettura, un punto di riferimento decisivo per valutare la sostanza dell’Opus Dei ed interpretare adeguatamente la sua configurazione giuridica del 1947. Dopo aver affermato che «l’Opus Dei riunisce in sé cristiani di ogni condizione, uomini e donne, celibi e sposati», che «sono comuni laici», dichiara: «Chi non sa superare gli schemi classici della vita di perfezione non capirà la struttura dell’Opera. I soci dell’Opus Dei, per esempio, non sono religiosi che, pieni di santo zelo, fanno gli avvocati, i medici, gli ingegneri, ecc, ma sono semplicemente avvocati, medici, ingegneri, ecc, con tutta la loro passione professionale e la loro mentalità specifica, per i quali la professione stessa, e naturalmente tutta la vita, acquista un senso pieno e un significato più ricco quando viene orientata totalmente a Dio e alla salvezza delle anime. Questa caratteristica spiega il loro modo di agire, contrassegnato dalla più piena e assoluta naturalezza, poiché naturale è il loro genere di vita e naturali sono le loro professioni»18. Lungo l’itinerario giuridico, San Josemaría ripeterà spesso, con una formula incisiva, che «i membri dell’Opus Dei non si trovano nello stato di perfezione ma cercano la perfezione nel proprio stato», riassumendo con efficacia il denso testo appena riportato, della conferenza del 1948.

    

4. Di fronte ai limiti della formula giuridica del 1947-1950

    Riferendosi a queste tappe provvisorie dell’ iter canonico dell’Opus Dei e ai loro limiti,  San Josemaría dichiarerà ancora, nel settembre del 1970: «L’urgenza di risolvere gravi problemi vitali dell’Opera (l’incardinazione dei sacerdoti, il fatto di avere un’organizzazione a regime universale e centralizzato e la necessità di ottenere una ratifica pontificia che frenasse l’incomprensione e la persecuzione di cui l’Opera era oggetto) ci obbligò nel 1943 e nel 1947 ad accettare delle forme giuridiche inadeguate al nostro spirito. Non cedemmo: concedemmo, con l’intenzione di ricuperare. Non vi era possibilità di agire in altro modo. Dovemmo rifugiarci in quelle soluzioni meno inadeguate -le sole- che il diritto comune ecclesiastico offriva: e -lo sapete bene, figli miei!- abbiamo pregato, stiamo pregando e continueremo a pregare molto, in fiduciosa attesa di poter percorrere il cammino giuridico che si confà allo spirito dell’Opera»19.

    Per questo atteggiamento di «concedere, senza cedere, con l’intenzione di ricuperare» -appena citato- San Josemaría utilizzò uno strumento fondamentale: il «diritto peculiare». Il fondatore ci ha spiegato come utilizzava questo strumento, quando si vedeva obbligato ad accettare determinate soluzioni del diritto generale: «Mi sentivo spinto a precisare il nostro diritto peculiare, perché ciò che in sede di diritto generale si sarebbe potuto interpretare un giorno in modo non confacente alle caratteristiche della nostra vocazione, in sede di diritto particolare rimanesse sancito chiaramente e in modo conforme alle caratteristiche essenziali del nostro cammino»20. San Josemaría vegliò perché il carisma originario restasse intatto: prudentemente, si limitò a rivolgersi ai Dicasteri della Curia romana per rendere note le difficoltà esistenti e cercare il modo di far  risaltare più efficacemente le caratteristiche specifiche dell’Opus Dei. Malgrado le ambiguità della normativa di inquadramento, l’Opus Dei, guidato con eroica prudenza da San Josemaría, ha potuto godere di una base giuridica sufficientemente solida da facilitarne un prodigioso sviluppo in tutto il mondo.

    San Josemaría, in special modo a partire dal 1952, a poco a poco,  si adoperò non tanto a pensare a particolari rettifiche per migliorare la configurazione giuridica del 1947-1950, ma piuttosto a  sottolineare la necessità di cercare una configurazione giuridica nuova, adeguata al carisma originario, che non apparisse frutto di un privilegio. L’esperienza gli aveva mostrato che ispirazioni spirituali diverse richiedevano regolamentazioni anch’esse diverse: «non siamo una sorta di religiosi secolarizzati, ma autentici secolari che non cercano la vita di perfezione evangelica propria dei religiosi, bensì la perfezione cristiana in mezzo al mondo, ciascuno nel proprio stato»21.  Al riguardo escogitò una formula incisiva, quasi un programma di azione: «l’Opus Dei di diritto è un istituto secolare, ma di fatto non lo è». Un’altra riflessione importante fu quella relativa alla formalizzazione del vincolo: «Non disprezziamo i voti: sentiamo per essi la grande stima che la teologia ci insegna ad avere. Ma dal momento che ad un atto di devozione privata c’è chi vuol dare la forza giuridica di un atto pubblico, ci sono d’intralcio: rimaniamo con le virtù. Le cose sono state studiate in modo che, senza fretta, quando sarà conveniente, verrà proibito di fare tali voti privati: e il nostro vincolo con l’Opera continuerà ad essere ugualmente forte, reciproco, pieno -a seconda della condizione personale di ciascuno- e soprannaturalmente efficace per tutti»22.

    In questo periodo San Josemaría dovette compaginare, attraverso un processo di preghiera e di sforzo intellettuale, diverse esigenze di fedeltà apparentemente in contrasto tra di loro: la difesa, piena di fortezza, dell’integrità del carisma originario e delle caratteristiche del fenomeno pastorale dell’Opus Dei; e la lealtà verso coloro che nella Chiesa avevano reso possibile le approvazioni del 1947 e del 1950, continuando a difendere la personale interpretazione della figura di istituto secolare, evitando qualsiasi atteggiamento polemico in tale difesa.  

    In occasione del trentesimo anniversario della fondazione, con data del 2 ottobre 1958, San Josemaría riassunse in una Lettera -che anni dopo inviò anche a Paolo VI insieme ad altri documenti- le sue riflessioni degli anni cinquanta.  Evidenziando l’inadeguatezza della configurazione giuridica d’allora rispetto al dono e al messaggio fondazionali, indicava un programma d’azione: «Di fatto non siamo un  Istituto Secolare, né di qui in avanti ci può essere applicato questo nome:  il significato  attuale del termine differisce molto dal senso genuino che gli era stato attribuito quando la Santa Sede adoperò per la prima volta queste parole, nel concederci il Decretum laudis nell’anno 1947. Neppure si può confondere l’Opus Dei con i cosiddetti movimenti di apostolato. Lo impediscono le sue caratteristiche peculiari […]». E aggiungeva: «invocando l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre nostra –Cor Mariae Dulcissimum, iter para tutum!-, informerò la Santa Sede, al momento opportuno, di questa situazione, di questa preoccupazione. E al tempo stesso dichiarerò che desideriamo ardentemente che si provveda a dare una soluzione conveniente, che non costituisca per noi un privilegio -cosa che ripugna al nostro spirito e alla nostra mentalità- né introduca modifiche quanto alle attuali relazioni con gli Ordinari del luogo»23.

    

5. Verso una nuova configurazione giuridica

    San Josemaría agli inizi del pontificato di Giovanni XXIII, eletto il  28 ottobre 1958, ritenne giunto il momento di sottoporre alla Santa Sede la questione dell’inquadramento  istituzionale dell’Opus Dei, corrispondente al carisma originario: in effetti, dal 1960 in poi cominciò ad agire in modo deciso, partendo da categorie e da strutture nell’ambito della giurisdizione ecclesiastica ordinaria e non più, come nei primi anni cinquanta, dalla normativa degli istituti secolari che lo aveva obbligato a ribadire costantemente la specificità  dell’Opus Dei  e la sua differenziazione rispetto agli istituti religiosi.

    Consapevole della difficoltà del tentativo, dopo averlo meditato a lungo alla presenza del Signore, nella primavera dell’anno 1960 decise di informare, in modo molto prudente, il Card. Tardini, Segretario di Stato, riguardo al problema istituzionale e al suo desiderio di una revisione dello statuto giuridico dell’Opus Dei nella linea delle Prelature nullius previste dal Codice di Diritto Canonico allora vigente24. In sostanza nella consultazione ufficiosa si considerava che: a) l’Opus Dei potrebbe passare a «dipendere dalla S. Congregazione Concistoriale25, la quale  sarebbe in grado di risolvere contemporaneamente i maggiori problemi»;  b) «basterebbe creare una Prelatura nullius», «con una sola parrocchia», permettendo «l’incardinazione di tutti i sacerdoti dell’Istituto nel territorio della Prelatura stessa, in modo da farli diventare non solo secolari, ma diocesani»; c) se «i sacerdoti dell’Istituto sono sacerdoti secolari e diocesani, a fortiori i membri laici saranno da tutti considerati come laici secolari, non religiosi», confermando che «i membri laici sono semplici fedeli, cittadini normali, comuni laici»; d) «questa soluzione darebbe quella desiderata maggior impronta di secolarità a tutto l’Istituto».

    San Josemaría e don Álvaro del Portillo, Segretario Generale dell’Opus Dei e suo fedele collaboratore, ebbero parecchi colloqui con Mons. Scapinelli di Lèguigno, Sottosegretario per gli Affari Straordinari, e con il Card. Tardini. Informarono anche diversi prelati, tra l’altro il Card. Bueno Monreal, Arcivescovo di Siviglia, l’Arcivescovo Pietro Sigismodi, Segretario di Propaganda Fide, e Mons. Pietro Palazzini, Segretario della Congregazione del Concilio: tutti e tre si mostrarono d’accordo. San Josemaría venne informato dell’opposizione alla soluzione prospettata da parte del Card. Valeri, Prefetto della S. Congregazione dei Religiosi. Successivamente, il 27 giugno 1960, il Card. Tardini concesse un’udienza a San Josemaría nel corso della quale consigliò di lasciare che le cose restassero per il momento così com’erano, giacché era necessario aspettare: «siamo ancora molto lontani». «È stato gettato il seme, che prima o poi non mancherà di fruttificare», fu il commento di San Josemaría dopo l’udienza26. Rimase contento perché non si trattava di una risposta negativa formale mentre, d’altra parte, era stato compiuto un passo importante, comunicando, in modo chiaro e senza circonlocuzioni, il problema istituzionale dell’Opus Dei e i suoi desideri di darvi ormai soluzione.  

    Affinché tale seme fruttificasse bisognava continuare a pregare e a confidare nella paternità di Dio. Il 17 dicembre 1960, San Josemaría, nella pontificia basilica di San Michele a Madrid, invitò le numerosissime persone presenti a pregare con lui per «un’intenzione molto grande, un’intenzione che assorbe tutte le energie della mia anima»27, intenzione che spesso denominò la sua «intenzione speciale».  Nel corso di quegli anni, pregò e fece pregare senza sosta per essa.

    

6. La richiesta a Giovanni XXIII nel 1962 di una Prelatura con statuti propri

    Nella Lettera datata 25 gennaio 1961, San Josemaría scriveva: «Adesso è il momento di definire bene la struttura giuridica dell’Opera. Figli miei, omnia tempus habent (Eccles. III, 1), ogni cosa ha il suo tempo»28.  Pur rendendosi conto -anche per la recente esperienza del risultato della consultazione ufficiosa del Card. Tardini, scomparso il 30 luglio 1961- che le circostanze non erano ancora propizie, vista l’insistenza del Card. Ciriaci, Prefetto della S. Congregazione del Concilio, San Josemaría  presentò al Romano Pontefice una formale richiesta di revisione dello statuto giuridico il 7 gennaio 196229. La lettera al Santo Padre era un documento sintetico che riassumeva le ragioni e il contenuto della richiesta. Si apriva con l’esposizione delle difficoltà che all’Opus Dei derivavano dalla sua attuale configurazione giuridica, per passare successivamente alla proposta di superamento di tali inconvenienti: «occorrerebbe dare all’Istituto un nuovo assetto giuridico» che riesca a «chiarire definitivamente il carattere secolare dell’Istituto (e dei suoi membri) anche nella struttura giuridica esterna e nella dipendenza dai Dicasteri della S. Sede, di modo che si tolga il pretesto di assimiliazione ai religiosi sia dei laici che dei sacerdoti dell’Opus Dei». La lettera suggeriva due possibilità: una che coincideva, anche se espressa in forma schematica, con quanto prospettato nel 1960 al Card. Tardini e alla quale non si fa più cenno in tutta la documentazione via via presentata per sviluppare e illustrare la richiesta; e l’altra, su cui si concentra tutta la documentazione, con le spiegazioni e le precisazioni di San Josemaría30. In sostanza -come si desume da tutta la documentazione presentata- questa possibilità contemplava: a) di «erigere l’Istituto in Prelatura nullius, come la Mission de France31, nella quale il Prelato avrebbe facoltà ordinarie sul proprio clero e sul popolo come quelle degli Ordinari castrensi sui propri sacerdoti e sui militari»; b) «come territorio proprio della Prelatura» che «sarebbe necessario (necessitate iuris), si indicano a titolo esemplificativo, e subordinatamente: il piccolo territorio dell’attuale sede della Casa Generalizia (Viale Bruno Buozzi 73, Roma); un piccolo territorio in una delle diocesi più o meno vicine a Roma, ma sempre in Italia, perché ciò sembra postulare la natura universale (e spiccatamente romana) dell’Istituto»; c) questa soluzione «rientra nella cornice dello ius conditum. Infatti, secondo il can. 319, ogni Prelatura nullius, con clero e popolo proprio e con meno di tre parrocchie, deve reggersi con un diritto speciale: nel caso nostro, questo diritto speciale sarebbe composto dalle Costituzioni già approvate dalla S. Sede, con le modifiche che la Commissione Cardinalizia vorrà apportarvi, e dagli altri documenti pontifici che riguardino l’Opus Dei»; tali modifiche sono quelle «necessarie per definire la sua nuova sistemazione giuridica, o per adeguare a questa alcune norme del nostro diritto interno»; d) in conseguenza dell’erezione in Prelatura nullius, l’Opus Dei dovrebbe «dipendere dalla  S. Congregazione Concistoriale» con «le medesime facoltà che ha riguardo agli Ordinariati castrensi e alla Mission de France»; e) «Dipendenza dai Vescovi.  Non desideriamo affatto che questa dipendenza venga alterata con la nuova soluzione. L’unico cambiamento, in questo aspetto,  si avrebbe riguardo al piccolo territorio della Prelatura: per tutto il resto, nihil immutetur»; f) «il Prelato sarebbe il Presidente Generale dell’Opus Dei», che «si nominerebbe nella forma determinata dalle Costituzioni» attuali, però ora «richiederebbe la conferma della Santa Sede»32.  

    Come nella consultazione ufficiosa di due anni prima, San Josemaría  dichiarava: «L’unica intenzione che è alla base di questo progetto e di questa domanda dell’Istituto, è solamente quella di conservare intatta la fisionomia spirituale dell’Istituto stesso, e di ottenere il massimo frutto spirituale dal lavoro apostolico che i sodali dell’Opus Dei svolgono in tutto il mondo per il servizio della Chiesa e il bene delle anime», e perché di nuovo restasse ancor più chiara quest’unica intenzione, siccome il Prelato sarebbe stato il Presidente Generale dell’Opus Dei, San Josemaría dichiarava anche che «se si ritenesse che per giungere alla soluzione prospettata, che ritengo in Domino necessaria, potesse essere di ostacolo la mia umile persona, sarei ben lieto di mettermi in disparte in seno all’Istituto»33.

    Sono di grande importanza per il nostro argomento, alcune affermazioni e riflessioni di San Josemaria riportate nella documentazione presentata. San Josemaría informa per la prima volta ufficialmente la Santa Sede del contenuto della sua «intenzione speciale» come fondatore: «La sistemazione giuridica che intravvedevo, sin dal 1928, era qualcosa di simile agli Ordinariati o Vicariati castrensi, composti da sacerdoti secolari, con una missione specifica, e da laici, i quali hanno bisogno, per le loro peculiari circostanze, di un trattamento giuridico ecclesiastico e di una assistenza spirituale adeguati: nel caso nostro, le peculiarità provenivano -e provengono- dalle esigenze di svolgere l’apostolato secolare in tutte le schiere della società, in posti inaccessibili o vietati ai sacerdoti e ai religiosi, a mezzo di laici con una dedicazione permanente, con una formazione spirituale e intellettuale specifica, con un vincolo vicendevole che li unisce  con l’Istituto»34.

     San Josemaría cercò di prevenire possibili difficoltà e malintesi che avrebbero potuto sorgere riguardo alla soluzione prospettata, in particolare alla sua novità e al suo carattere  straordinario. «La soluzione non è nuova. […] si contano invero non pochi precedenti, che autorizzano a non considerare la predetta soluzione come una novità. Infatti: a) Vi sono nella Chiesa parecchi Prelati (cfr. Annuario Pontificio, 1962, pp. 1313-1314) con giurisdizione territoriale e personale, per l’assistenza spirituale degli emigrati dei diversi riti orientali. Questi Prelati hanno a volte come territorio con giurisdizione esclusiva soltanto una Chiesa, ed hanno inoltre giurisdizione personale in un territorio pluridiocesano, e la facoltà di incardinare i propri sacerdoti (cfr., per esempio, fra gli altri, A.A.S., LI (1959), p. 789). b) Si ricorda l’esempio degli Ordinariati castrensi e della Mission de France: i primi, per l’assistenza spirituale di gruppi di persone che si trovano in condizioni peculiari; la seconda per lo svolgimento di un apostolato specifico. Riteniamo umilmente che, nel nostro caso, vi siano altrettante ragioni (l’assistenza spirituale a dei laici che svolgono, con una formazione  specifica, un apostolato di avanguardia) le quali consigliano di adottare una soluzione simile a quelle ora prospettate»35.  In un altro passo della documentazione, completa la spiegazione in modo chiaro e preciso: «La soluzione prospettata non sarebbe una cosa straordinaria, ma una semplice combinazione tra i due tipi di istituzioni interdiocesane che ora dipendono da questa S. Congregazione [Concistoriale], e cioè gli Ordinariati castrensi e la Mission de France»36.  Come non vedere in questa combinazione tra le due figure, invocata da  San Josemaría, la figura della «peculiare diocesi o prelatura personale» per «l’attuazione di peculiari opere pastorali» del Concilio Vaticano II  (Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 10)? Come non ricordare che il proemio della Bolla Ut sit afferma, in riferimento alla nuova figura conciliare, che «apparve chiaro che tale figura era perfettamente adeguata all’Opus Dei»? Come non pensare a questa combinazione tra le due figure quando, quasi vent’anni dopo, la Congregazione per i Vescovi nella Nota informativa ai Vescovi del 14-XI-198137, metteva in risalto «le finalità reduplicativamente pastorali della Prelatura» dell’Opus Dei38: ad intra, l’assistenza spirituale peculiare dei fedeli della Prelatura e ad extra, lo svolgimento di un apostolato specifico da parte dei sacerdoti e dei laici dell’Opus Dei39?

    Il 22 maggio 1962, San Josemaría ricevette una lettera del Card. Cicognani nella quale il Segretario di Stato gli comunicava che Giovanni XXIII era giunto ad una decisione: la richiesta non poteva essere accolta, perché allora presentava difficoltà giuridiche e pratiche pressoché insuperabili. Accettò la risposta negativa con serenità e con un atteggiamento di piena unione con il Romano Pontefice. In una Lettera datata 25 maggio 1962, San Josemaría scrisse che al momento opportuno avrebbe nuovamente prospettato il problema alla Santa Sede per ottenere «una soluzione giuridica chiara, basata sul diritto ordinario della Chiesa, e non su privilegi, che garantisca definitivamente la fedeltà alla nostra vocazione, che assicuri e fortifichi lo spirito dell’Opus Dei e la fecondità dei nostri apostolati al servizio della Chiesa Santa, del Romano Pontefice, delle anime»40. «Mi limito a chiedere al Signore che, qualora dovessero frapporsi ostacoli, egli faccia sì che abbiamo la possibilità di dialogare, di poter esporre nella sede e al momento opportuni le molte ragioni che, grazie a Dio, abbiamo per dimostrare la rettitudine d’intenzione che ci anima, l’efficacia del nostro servizio e la legittimità di quanto desideriamo»41. Sul pieno e totale abbandono  alla Chiesa e al Romano Pontefice scrisse nella medesima Lettera: «Si è detto, figli miei, che la Chiesa è Cristo affidato alle mani degli uomini. […] Mi sembra opportuno ricordarvi adesso questa natura a un tempo divina e umana della Santa Chiesa, perché noi dobbiamo affidare il nostro desiderio di fedeltà alla vocazione ricevuta, alle mani degli uomini ai quali Cristo stesso si affida.  Desidero -ve lo chiedo con tutta l’anima- che meditiate, come anch’io medito, sull’abbandono umile e speranzoso con cui Cristo compie tale divino atto di fiducia»42.

    Come abbiamo visto, in sostanza, la suddetta soluzione al problema istituzionale dell’Opus Dei prospettata nel 1962, consisteva nella trasformazione dell’Opus Dei in una Prelatura con statuto proprio, a norma del can. 319, paragrafo 2, del Codice di Diritto Canonico allora vigente. San Josemaría era consapevole del fatto che la predetta norma riguardava soltanto le Prelature a carattere territoriale e non si sarebbe potuta applicare all’Opus Dei se non con un’interpretazione estensiva; perciò espresse il desiderio che lo statuto adottasse una soluzione simile alle giurisdizioni territoriali e personali che esistevano in quell’epoca: gli Ordinariati o Vicariati castrensi; la Prelatura nullius di Pontigny o Mission de France e i diversi Prelati per fedeli di rito orientale fuori dal territorio patriarcale e senza gerarchia propria costituita.

    

7. Agli inizi del  pontificato di Paolo VI: l’Appunto riservato al Papa, del 1964

    Il 3 giugno 1963 morì Giovanni XXIII e gli successe Paolo VI. Quasi subito Paolo VI confermò la prosecuzione del Concilio Vaticano II. San Josemaría intravvedeva la possibilità che, come conseguenza dei lavori conciliari, si aprisse nel diritto della Chiesa la via per risolvere il problema istituzionale dell’Opus Dei, e sapeva anche che difficilmente questa soluzione avrebbe potuto essere proposta prima della fine delle sessioni conciliari.  Nonostante ciò, sia personalmente sia attraverso don Álvaro del Portillo, San Josemaría informò diverse personalità ecclesiastiche circa il problema istituzionale dell’Opus Dei, ed in particolare il Card. Confalonieri, Segretario della S. Congregazione Concistoriale, alla quale San Josemaría auspicava che passasse la competenza sull’Opus Dei43. Il 31 ottobre 1963 scrisse una lettera al Card. Antoniutti, Prefetto della S. Congregazione dei Religiosi, allegando il testo delle Costituzioni, nell’edizione del 24 ottobre 1963, che veniva ora intitolato Codex Iuris Peculiaris: «Sono consapevole che, come ho manifestato parecchie volte a V. E., manca ancora molto per arrivare alla soluzione giuridica definitiva dell’Opus Dei. Mi conforta, però, la certezza che Iddio Onnipotente, tramite la sua Chiesa, non mancherà di aprirci la strada che Lui ha voluto fin dal lontano 1928 e che allora sembrava qualcosa di impossibile da realizzare». E continuava: «In attesa che giunga quel momento, tutti i miei figli e le mie figlie, sparsi in tutto il mondo, continuano a pregare per questa intenzione, perché son ben consci che l’Opus Dei è di diritto un istituto secolare, ma non lo è di fatto»44. Questo principio, frequentemente manifestato da San Josemaría, venne così ufficialmente comunicato all’autorità da cui l’Opus Dei ancora dipendeva gerarchicamente.

    Il 14 febbraio 1964, dopo un’affettuosissima udienza con Paolo VI -che ebbe luogo il 24 gennaio precedente- nel corso della quale il Santo Padre dimostrò il proprio interessamento al problema istituzionale dell’Opus Dei, San Josemaría fece inoltrare al Papa una lettera45, che accompagnava una copia del Codex Iuris Peculiaris. Si allegavano anche la già menzionata Lettera del 2 ottobre 1958, una copia del volumetto De spiritu e, su consiglio di Mons. Dell’Acqua, Sostituto della Segreteria di Stato, un’ampia nota, intitolata Appunto riservato all’Augusta Persona del Santo Padre, nella quale a mo’ di nota di coscienza, esponeva alcune questioni e preoccupazioni. Nell’appunto San Josemaría inseriva alcuni cenni al problema istituzionale, esprimendo il desiderio di «una soluzione definitiva, che renda impossibile la nostra equiparazione ai religiosi, che impedisca giuridicamente e praticamente l’inclusione dell’Opus Dei tra gli stati di perfezione». Riferendosi alla richiesta del 1962 di una Prelatura con statuti propri, San Josemaría aggiungeva: «Tale soluzione andrebbe senz’altro cercata nell’ambito del diritto comune: ho già presentato dei documenti che, a suo tempo, potrebbero forse servire come base per risolvere in modo chiaro e giusto il nostro problema spirituale ed apostolico»46.

    Nella lettera al Papa che accompagnava l’appunto, San Josemaría aveva scritto: «Per quanto concerne l’assetto giuridico dell’Opus Dei, tengo a ribadire quanto ebbi occasione di dirLe a viva voce, e cioè che non abbiamo fretta: tuttavia è grande  la nostra speranza nel definitivo auspicato ordinamento, per assicurare la migliore esplicazione della nostra specifica vocazione nonché il miglior rendimento del nostro servizio filiale alla Chiesa». San Josemaría, né con questa lettera, né con l’appunto allegato, presentava una richiesta formale di revisione dello statuto giuridico dell’Opus Dei, poiché sapeva bene che era conveniente attendere la conclusione del Concilio. Nel mese di maggio successivo, al termine di una lunga conversazione con l’Arcivescovo Paul Philippe O.P., allora Segretario della S. Congregazione dei Religiosi, sulla natura dell’Opus Dei e il problema del suo inquadramento giuridico, San Josemaría apprese che ad alcuni ecclesiastici era già stato chiesto un parere sulla questione istituzionale dell’Opus Dei, sulla base dell’appunto riservato inviato a Paolo VI47. Seppe anche che alcuni pareri emessi -sebbene tutti lodassero l’attività dell’Opus Dei- si manifestavano non favorevoli alla revisione, almeno in quel momento, dello statuto giuridico dell’Opus Dei. Pare che la motivazione dei pareri non favorevoli fosse in questa linea: i membri dell’Opus Dei, proprio perché emettono voti, sebbene privati e non pubblici, sono come religiosi e pertanto l’Istituzione deve dipendere dalla Congregazione dei Religiosi.  San Josemaría vide di nuovo confermato quanto più volte aveva scritto. Così nella summenzionata Lettera del 1962: «Le persone, e non solo l’uomo della strada e le autorità civili, ma anche quasi tutti gli ecclesiastici, compresi alcuni membri della Gerarchia, considerano religiosi tutti coloro che fanno parte di un Istituto Secolare, per il solo fatto che ne sono membri e che dipendono dalla Sacra Congregazione dei Religiosi»48.

     San Josemaría, che si trovava nel nord della Spagna, in previsione della possibile richiesta di un parere al riguardo anche al Card. Antoniutti, in quanto Prefetto della Congregazione dei Religiosi, nei primi giorni di agosto chiese a Mons. Salvatore Canals, Prelato Uditore della Sacra Romana Rota, che era a Roma in quel periodo, di mettersi in contatto con il Cardinale per trasmettergli la preghiera di San Josemaría di dare una risposta interlocutoria, rimandando tutto a settembre quando, una volta tornato a Roma, avrebbero potuto parlare di nuovo dell’argomento, come già avevano fatto prima dell’estate; se invece avesse voluto rispondere subito, suggeriva di proporre che si applicasse all’Opus Dei la soluzione della Propositio VIª («dioeceses vel praelaturae personales»)49 dello Schema conciliare De sacerdotibus, del marzo-aprile del medesimo anno; altrimenti San Josemaría sarebbe rientrato subito a Roma. Così fece Mons. Canals il 7 agosto 1964: il Card. Antoniutti mostrò molto interesse per questa soluzione, ma disse che era meglio aspettare la conclusione del Concilio e nel frattempo continuare a dipendere dalla Congregazione da lui presieduta. Consideriamo di grande importanza il fatto che San Josemaría, in occasione di questo studio non richiesto da lui, avesse indicato al Prefetto della Congregazione da cui dipendeva ancora l’Opus Dei, come futura e desiderabile configurazione giuridica concreta, tra le possibilità che il Concilio Vaticano II stava aprendo, la figura della Prelatura (che per la prima volta viene denominata «personale») presente nel summenzionato schema di dieci proposizioni De sacerdotibus del 1964.

    La conversazione avuta con l’Arcivescovo Paul Philippe prima dell’estate e i successivi avvenimenti confermarono ancora una volta San Josemaría nell’idea non soltanto dell’opportunità ma anche della necessità di spiegare personalmente ad esperti teologi e canonisti consultori qual era il problema istituzionale dell’Opus Dei e la possibile soluzione. In questo senso, pochi giorni dopo la conversazione di Mons. Canals con il Card. Antoniutti, San Josemaría scrisse una lunga lettera a Mons. Dell’Acqua, datata Parigi, 15 agosto 1964. In essa dichiarava: «penso che, a Concilio finito, forse si potrebbe studiare la nostra questione». Riferendosi a tale studio, la lettera continuava: «Se, come di prassi, si chiederà allora -quando si farà tale studio- il parere di alcune persone della Curia, non mi potrebbe affatto recar meraviglia che queste, in perfetta buona fede e pur essendo ottimi specialisti in Sacra Teologia e in Diritto, arrivassero a delle conclusioni contrarie, anzi contraddittorie -anche riguardo a dei fatti concreti-, se si basassero soltanto sui documenti che ho inviato al Santo Padre […] noi non siamo come religiosi secolarizzati ma dei veri secolari -preti diocesani in ciascuna diocesi e laici comuni- che non cercano la vita di perfezione evangelica propria dei religiosi, ma la perfezione cristiana nel mondo, nel proprio stato». E aggiungeva che «nessuno potrebbe considerare il suo parere come definitivo senza sentirmi prima, senza un dialogo chiarificatore, perché senza questo studio fatto insieme non potrebbe certamente avere sufficiente conoscenza dell’Opus Dei, mancandogli i dati che io umilmente dovrei fornire.  In questa guisa  si potrà arrivare  ad una soluzione che non sia di eccezione, né di privilegio […]; che i diritti dei Vescovi continuino ad essere, come adesso, ben saldi e sicuri; e, finalmente, che noi possiamo seguire il nostro cammino, di amore e di dedizione, senza inutili ostacoli a questo servizio alla Chiesa, e cioè al Papa, ai Vescovi, alle anime»50.

    Il 10 ottobre 1964, Paolo VI concesse a San Josemaría una nuova udienza che fu ancora una volta molto cordiale. Parlarono del problema istituzionale dell’Opus Dei e convennero di aspettare la fine del Concilio Vaticano II che avrebbe potuto fornire elementi validi per trovare una soluzione giuridica definitiva, adeguata al carisma dell’Opera e all’interno del diritto comune51.

    

8. Il Concilio  Ecumenico Vaticano II: la Prelatura personale

    Il Concilio Vaticano II terminò i lavori l’8 dicembre 1965. I documenti conciliari proclamavano la chiamata universale alla santità e la missione e la dignità del laici nella Chiesa, alcuni dei temi per i quali San Josemaría è riconosciuto come precursore della dottrina conciliare. Tra i documenti conciliari si annovera il Decreto Presbyterorum ordinis (7-XII-1965) che raccomanda la costituzione di «peculiares dioeceses vel praelaturae personales» per l’attuazione di peculiari opere pastorali52.  Con questa nuova figura, delineata dai documenti del Concilio Vaticano II e dalle norme d’applicazione promulgate da Paolo VI il 6 agosto 196653, si apriva finalmente il cammino per dotare l’Opus Dei di una configurazione giuridica adeguata al suo carisma originario e nell’ambito del diritto comune, che assicurasse l’unità di spirito, di fine, di governo e di formazione spirituale e che, al contempo, salvaguardasse i diritti degli ordinari del luogo: la Prelatura personale per l’attuazione di peculiari opere pastorali; e -come si legge nella Costituzione Apostolica Ut sit, promulgata venticinque anni or sono- «apparve chiaro che tale figura era perfettamente adeguata all’Opus Dei»54.

    Con l’esperienza dei precedenti tentativi, San Josemaría si persuase che, prima di presentare formalmente la proposta di un nuovo statuto giuridico per l’Opus Dei con la speranza che venisse accolta, era necessario lasciar passare un  periodo di tempo affinché i documenti conciliari fossero ben assimilati. In effetti, il 24 ottobre 1966, poche settimane dopo la promulgazione del Motu proprio Ecclesiae Sanctae, San Josemaría riferendosi a questo documento pontificio disse davanti a un gruppo di suoi collaboratori: «Vi devo dire che, per ora, la questione del cammino giuridico è risolta». Tuttavia -aggiunse- «conviene aspettare un po’, e continuare a pregare come se ancora non fosse accaduto nulla». E disse: «La soluzione che desideravamo la comunicai al Santo Padre Giovanni XXIII e al Papa attuale, Paolo VI. Poi i principi sono stati accolti dal Concilio Vaticano e il Papa li ha confermati ed applicati con un Motu Proprio. Appena uscito il documento, il Segretario del Concilio lo ha inviato a don Álvaro, insieme ai suoi auguri»55.  Ciò nonostante, non mancarono a San Josemaría in quegli anni molteplici motivi di dolore per le enormi difficoltà in cui si trovava la Chiesa «postconciliare»,  difficoltà dovute alla crisi dottrinale e disciplinare motivata da un preteso «spirito del Concilio»: il suo amore alla Chiesa era così grande che le principali occupazioni di San Josemaría in quel tempo furono la preghiera, la penitenza e la riparazione per la situazione della  Chiesa, consapevole, peraltro, che la soluzione del problema istituzionale dell’Opus Dei rimaneva in qualche modo collegata al superamento di questa crisi. In questo contesto, San Josemaría decise di rivolgersi al grande pubblico e nel 1966 concesse un’intervista a un giornalista francese del quotidiano Le Figaro: a questa ne seguirono altre per un totale di sette. Raccogliendo queste interviste ed una memorabile omelia pronunziata nel campus dell’Università di Navarra (8 ottobre 1967), fu pubblicato un libro nel 1968, Conversaciones con Mons. Escrivá de Balaguer, che ebbe subito una grande diffusione, con traduzioni in diverse lingue.  In queste interviste tratta di molti argomenti collegati con la crisi della Chiesa, ma sempre in tono positivo, evitando ogni polemica; non troviamo però riferimenti espliciti alla decisione di promuovere la nuova soluzione giuridica, sebbene più di una frase lasci trasparire implicitamente il problema istituzionale56.

    

9. Il Congresso Generale speciale dell’Opus Dei (1969-1970)

    Mons. Dell’Acqua, Sostituto alla Segreteria di Stato, era buon amico di San Josemaría e, incoraggiato dal Santo Padre, sollecitava il fondatore a tenerlo ben informato sull’Opus Dei. San Josemaría si premurava di aggiornarlo costantemente sul lavoro apostolico svolto dai fedeli dell’Opus Dei, attraverso una corrispondenza molto fitta -si conoscono almeno 108 lettere indirizzate a Mons. Dell’Acqua- oltre a frequenti incontri personali. In una lettera del 2 marzo 1967, San Josemaría manifestò a Mons. Dell’Acqua la propria sofferenza davanti alla situazione della Chiesa e a certe incomprensioni verso l’Opus Dei e il suo fondatore57. Dopo alcuni mesi, Mons. Dell’Acqua fu creato Cardinale e successivamente nominato Vicario Generale del Papa per la Diocesi di Roma. Gli subentrò nella Segreteria di Stato Mons. Giovanni Benelli58.

     Il 20 maggio 1969 San Josemaría comunicò alla Santa Sede, ribadendo ancora una volta quanto aveva dichiarato da tempo a voce e per iscritto, il desiderio di «procedere al rinnovamento ed adattamento del nostro attuale diritto peculiare», in conformità con le raccomandazioni del Concilio Vaticano II e i successivi documenti di applicazione, mediante un Congresso Generale speciale59. La risposta del Card. Antoniutti, datata 11 giugno del medesimo anno, prendeva atto della decisione60. Alcuni giorni dopo, il 25 giugno, San Josemaría convocò formalmente il Congresso Generale speciale per il 1º di settembre successivo61. San Josemaría intese il Congresso non «come una riunione di tecnici chiamati a studiare una determinata forma giuridica», ma «come una profonda riflessione di tutto l’Opus Dei, in unione con il fondatore, sulla propria natura e sulle proprie caratteristiche, alla luce dei quarantun’anni di vita e dell’estensione in tanti Paesi dei cinque continenti. Si trattava dunque di compiere un grande sforzo di sintesi per mostrare come l’insegnamento del fondatore si era incarnato nei diversi luoghi e momenti; in altre parole, il Congresso doveva delineare con tratto sicuro le caratteristiche proprie dell’Opus Dei che avrebbero dovuto trovare nella futura configurazione giuridica adeguata  accoglienza»62.  

    La prima parte del Congresso ebbe luogo dal 1º al 15 settembre 1969. Le sessioni plenarie della seconda parte si svolsero dal 30 agosto al 14 settembre 1970. Nelle conclusioni del Congresso, approvate il 14 settembre 1970, i partecipanti espressero «la convinzione unanime dell’assoluta necessità che, nella revisione del diritto particolare dell’Opus Dei, sia riaffermata l’importanza costituzionale della perfetta unità dell’Opera; essa, comprendendo membri sacerdoti e laici, che non formano categorie distinte, permette di realizzare un servizio alla Chiesa universale saldamente fondato su questa inseparabile unità di vocazione, di spiritualità e di regime». Ed è proprio per quest’unità organica -riaffermata come costituzionale- che i congressisti, in un’altra parte delle conclusioni, palesarono il desiderio che San Josemaría «nel momento e nel modo che riterrà più opportuni, rinnovi presso la Santa Sede l’umile e speranzosa richiesta di risolvere definitivamente il problema istituzionale dell’Opus Dei, sulla base delle previsioni contenute nelle disposizioni e nelle norme applicative dei decreti conciliari, mediante il conferimento di una configurazione giuridica diversa da quella di Istituto Secolare, che conservi nella sostanza il nostro attuale diritto peculiare ma permetta di sopprimerne gli elementi propri degli Istituti di perfezione […]»63.

    San Josemaría, in una lettera inviata il 22 ottobre 1969 al Card. Antoniutti per informarlo dei lavori svolti fino a quel momento, aveva già comunicato che il Congresso aveva espresso il criterio di poter giungere legittimamente a separare l’incorporazione all’Opus Dei «dall’emissione, oggi necessaria, dei voti o vincoli equipollenti: in quanto troverebbe più consono alla natura dell’Istituto il risolvere questo problema sulla base del primo comandamento della legge di Dio (che esprime e contiene la chiamata universale alla santità) e sulla pratica di determinate virtù, ma non necessariamente tipificate nei tre consigli evangelici»; e che perciò il Congresso aveva preso atto «con vivo senso di gratitudine e di speranza che, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, possono esistere in seno all’ordinamento della Chiesa, altre forme canoniche, con regime a carattere universale, che non richiedono la professione dei consigli evangelici da parte dei componenti la persona morale (cfr. n. 10 del Dec. “Presbyterorum Ordinis” e n. 4 del M. Pr.  “Ecclesiae Sanctae”)»64. I riferimenti erano, cioè, ai documenti in cui si tratta delle prelature personali.

    Nel 1970, anche nel periodo tra la prima parte e le sessioni plenarie della seconda parte del Congresso, i più stretti collaboratori di San Josemaría, sotto la sua immediata direzione, lavorarono a due progetti di appunti intitolati: Elementi per una adeguata sistemazione giuridica dell’Opus Dei e Nota sobre el problema institucional del Opus Dei.  Nel primo di questi progetti, si poteva leggere: «-8. Attualmente, gli orizzonti aperti dal Magistero del Concilio Vaticano II, così d’accordo con la dottrina teologica e giuridica dell’Opus Dei, sia nell’aspetto dottrinale (vocazione universale alla santità, rivalutazione degli impegni battesimali, diritto e dovere di tutti i fedeli di fare apostolato, ecc) che nell’aspetto giuridico (per esempio, la definizione del concetto di chiesa particolare -diocesi, prelature, ecc- secondo criteri di carattere personale, e non territoriale) sembra che ora possano permettere di concedere all’Opus Dei la configurazione giuridica definitiva senza la necessità di ricorrere ad alcuna soluzione di privilegio.  -9. Ciò appare ancora più possibile se si tiene presente che:  a) il Decreto conciliare “Presbyterorum Ordinis”, promulgato il 7-XII-1965, ha sancito esplicitamente la possibilità  delle “praelaturae personales” (n. 10), che potranno utilmente essere costituite (“utiliter constitui possunt”) per l’attuazione di peculiari opere pastorali al servizio della Chiesa universale (“in bonum commune totius Ecclesiae”); b) il Motu pr. “Ecclesiae Sanctae”, promulgato dal Santo Padre Paolo VI il 6-VIII-1966 per l’applicazione di alcuni decreti conciliari, ha stabilito in linea di massima la struttura fondamentale di queste “praelaturae personales”; c) la Costituzione Apostolica “Regimini Ecclesiae universae”, del 15-VIII-1967, ha stabilito la dipendenza di queste prelature dalla S. Congregazione per i Vescovi (n. 49 § 1)»65.

    

10. Il «Codex Iuris Particularis» del 1974

    Concluse le sessioni plenarie del Congresso il 14 settembre 1970, i lavori proseguirono in sede di Commissione Tecnica di specialisti, d’accordo con la quarta conclusione che approvò all’unanimità che «questa seconda parte del Congresso Generale speciale dell’Opus Dei prosegua attraverso il lavoro della Commissione Tecnica»66. Nella seduta di chiusura, San Josemaría si riferì a questa nuova fase dei lavori: le conclusioni sarebbero servite «a dare un fondamento e un orientamento al lavoro esecutivo della Commissione Tecnica, che già è stata costituita, con due Sottocommissioni -una teologica e una giuridica- e che domani stesso inizierà a lavorare. Chiediamo al Signore, con fiducia e perseveranza, che continui ad aiutarci con la sua grazia, e che benedica il lavoro della Commissione Tecnica: un lavoro che non sappiamo quanto durerà, perché voi e io desideriamo che sia fatto bene, con diligenza ma anche con perfezione, senza fretta né precipitazione, con amore»67. Iniziava così in sede specialistica, sotto la direzione di San Josemaría e con l’aiuto di don Álvaro del Portillo, la revisione dello statuto giuridico dell’Opus Dei. Di questo lavoro, paziente e delicato, si informavano -normalmente tramite don Álvaro- gli organismi competenti della Curia romana. Il 25 giugno 1973, San Josemaría fu ricevuto in udienza da Paolo VI. Il Papa fu informato dell’andamento del lavoro della Commissione Tecnica: Paolo VI incoraggiò San Josemaría a proseguire il lavoro intrapreso in vista di una proposta di revisione dello statuto giuridico68. Il lavoro continuò: nel 1974, San Josemaría poté dare gli ultimi ritocchi e approvare il progetto del nuovo «Codex Iuris Particularis» dell’Opus Dei. Il primo di ottobre dello stesso anno, don Álvaro del Portillo, in qualità di Segretario Generale dell’Opus Dei e presidente della Commissione Tecnica, certificò l’avvenuta approvazione69. Per precisare maggiormente come fu realizzato questo lavoro di revisione, conviene ricordare l’analisi giuridica svolta da San Josemaría nella summenzionata lettera del 22 ottobre 1969 al Card. Antoniutti. Dopo aver ricordato che l’Opus Dei non aspirava ad una semplice revisione bensì a un cambiamento di figura giuridica, San Josemaría aggiungeva che, di conseguenza, «alcune di queste eventuali modifiche […] potrebbero essere introdotte dallo stesso Congresso Generale, altre richiederebbero un’approvazione della S. Sede, ed altre, infine, in quanto comporterebbero un cambiamento di natura dell’Istituto, postulerebbero addirittura un atto più solenne della S. Sede, cioè una nuova erezione dell’Istituto»70. Concretamente, nel nuovo testo vengono assolutamente evitate espressioni caratteristiche degli stati di perfezione. Nei casi in cui si richiedeva un cambiamento della configurazione giuridica mediante una nuova erezione, tali termini -per esempio Istituto secolare, voti, ecc.- furono messi fra parentesi, avvertendo, in una nota previa, che se ne sarebbe chiesta la soppressione o la modifica alla Santa Sede al momento di domandare una nuova erezione dell’Opus Dei71. Quando la Santa Sede, venticinque anni or sono, concesse ciò che San Josemaría prevedeva da tanto tempo e che aveva richiesto ufficialmente già nel 1962, gli Statuti conferiti alla nuova Prelatura sono stati una fedele trascrizione, con i soli ritocchi indispensabili, del Codex Iuris Particularis del 1974.

    Si può ben dire che nell’ottobre del 1974 si era concluso tutto il lavoro di revisione dello statuto giuridico dell’Opus Dei. Bisognava solo decidere il momento più opportuno per presentare alla Santa Sede la richiesta formale di erezione in Prelatura personale. San Josemaría, che aveva preparato tutto il necessario, non poté però compiere personalmente quest’ultimo passo; pochi mesi dopo l’approvazione del Codex del 1974, e prima che si fosse presentata l’occasione opportuna per la richiesta alla Santa Sede della nuova erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale, Dio -accogliendo l’offerta della sua vita per la Chiesa, per il Papa e per la sua «intenzione speciale»- lo chiamò a sé il 26 giugno 1975. Quando, nel 1979, don Álvaro del Portillo compirà fedelmente quest’ultimo passo72 utilizzerà -convenientemente aggiornata- tutta la documentazione preparata da San Josemaría e ricordata in questo studio. La formale richiesta del 1979 giungerà a compimento il 28 novembre 1982 e il 19 marzo 1983, venticinque anni fa, anniversario che con gioia e gratitudine commemoriamo.

                                                             Prof. Mons. Valentín Gómez-Iglesias C.

                                                             Ordinario di Diritto Costituzionale Canonico                                          

                                                             Facoltà di Diritto Canonico

                                                             Pontificia Università della Santa Croce (Roma)

1 Il verbale  della cerimonia di esecuzione della Bolla Ut sit da parte di Mons. Romolo Carboni, 19-III-1983, in  A. de Fuenmayor, V. Gómez-Iglesias, J.L. Illanes, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei. Storia e difesa di un carisma, Milano 1991, Appendice n. 71, p. 871 [d’ora in avanti L’itinerario giuridico…].

2 Cost. Ap. Ut sit , 28-XI-1982, pars narrativa, «AAS», 75 (1983) p. 423.

3 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla canonizzazione di San Josemaría Escrivá de Balaguer (7-X-2002), «L’Osservatore Romano», 7/8-X-2002, p. 8.

4 «L’Opera di Dio non l’ha immaginata un uomo […]. Da molti anni il Signore l’ispirava a uno strumento inetto e sordo, che la vide per la prima volta il giorno dei Santi Angeli Custodi, il due ottobre millenovecentoventotto» (J. Escrivá de Balaguer,  Istruzione 19-III-1934, nn. 6-7, in  A. Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei, vol. I, Como 1999, p. 313 [d’ora in avanti Il Fondatore dell’Opus Dei…].

5 J. Ratzinger, Lasciare operare Dio, in Supplemento di «L’Osservatore Romano», 6-X-2002.

6 A. M. Stickler, Genesi e sviluppo della Prelatura “Opus Dei”, «L’Osservatore Romano», 18-XI-1984, p. 5. Il testo rende molto bene l’idea di fondo sebbene la terminologia -«stati», ecc.- non sia del tutto condivisa: oggi si direbbe in un altro modo.

7  J. Escrivá de Balaguer, Apuntes íntimos, 2-X-1931, n. 306 (pro manuscripto), in L’itinerario giuridico…, p. 16. Su questi scritti, vid. Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. I, cap. VI, Gli “Appunti intimi”.

8 Su questi avvenimenti e sulla sofferenza e la maturazione interiore di San Josemaría a cui fa riferimento il testo, rimandiamo ai diversi studi biografici, e concretamente a Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. I.

9          J. Escrivá de Balaguer, Lettera 29-XII-1947/ 14-II-1966, n. 22, in L’itinerario giuridico…, pp. 1-2.

10         Sul problema della configurazione giuridica nei primi tempi della fondazione,  cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 92-94.

11         J. Escrivá de Balaguer, Apuntes íntimos, n. 1309 (pro manuscripto), in L’itinerario giuridico…, p. 101.

12 AGP [Archivio Generale della Prelatura], Serie A.5, Leg. 203, Carp. 1 e 2, T-4197.

13 HIC . JACET  /  EM . DOM  / ANTONINVS . DE . SENTMANAT  /   PATRIARCHA.  INDIARVM /


CAPELLANVS. ET. ELEEMOSYNARIVS. MAJOR / REGIS . HISPANIARVM . CAROLI . IV / MAGNVS . CANCELLA
RIVS. ET. CONSILIARIVS / REGNI. CAROLI. III / VICARIVS. GENERALIS . REGALIVM / EXERCITVVM . MARIS . ET . TERRAE / AC . ECCLESIAE . ROMANAE . CARDINALIS / NATVS . BARCINONE . AN . MDCCXXXIV / MORTVVS . ARANJVEZ . AN . MDCCCVI / R . I . P


HIC . EXPECTANT . VNIVERSAE . CARNIS / RESVRRECTIONEM .
OSSA. ET. CINERES / EXCMI. AC RDMI. D. D / JACOBI . CARDONA. ET. TVR / INDIARVM. OCCIDENTALIVM. PATRIARCHAE / EPISCOPI. TITVLARIS. SION / PRO. CAPELLANI. MAIOR REGIE. DOMVS / VICARII . GENERALIS . CASTRENSIS / ORATE . PRO . EO / EDVSI . XXVI . FEBRVARII . MDCCCXXXVIII / NATI . MATRITI / III . JANVARII . MCMXXIII / VITA. FVNTIS

14 V. Fagiolo, Carisma e diritto nell’istituzione dell’Opus Dei, «L’Osservatore Romano», 23-VI-1985, p. 5.

15 J. Escrivá de Balaguer, Parole nella seduta plenaria del Congresso Generale speciale dell’Opus Dei, 12-IX-1970, in L’itinerario giuridico…,  p. 826 [la traduzione è nostra].

16 Fin dal primo momento della fondazione, San Josemaría aveva visto sempre l’Opus Dei come un’istituzione i cui membri non sarebbero stati religiosi né in alcun modo equiparabili ai religiosi. E questo non per mancanza di affetto per i religiosi: era fuori dubbio che li amava e venerava con tutte le sue forze, ma l’apostolato dell’Opus Dei sarebbe stato svolto in mezzo al mondo in tutte le sfere della società civile per mezzo di laici comuni, cittadini uguali agli altri. «Veneriamo e  rispettiamo profondamente la vocazione sacerdotale e quella religiosa e tutto l’immenso lavoro che i religiosi hanno svolto e svolgeranno al servizio della Chiesa: perciò non sarebbe un buon figlio mio chi non avesse questo spirito. Ma, nello stesso tempo, ripetiamo che la nostra chiamata e il nostro lavoro -poiché  sono un invito a rimanere nel mondo e le nostre attività apostoliche  si svolgono nelle e  a partire dalle attività secolari- differiscono completamente dalla vocazione e dal lavoro affidato ai religiosi» (J. Escrivá de Balaguer, Lettera 11-III-1940, n. 40, in Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III,  Como 2004, p. 86, nota 110).

17 Sulle tappe giuridiche intermedie e i loro limiti, cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 95-450 e Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. II,  Como 2003, pp. 435-440,  487-496,  621-651; vol. III, pp. 7-94,  141-174.

18 J. Escrivá de Balaguer,  La Constitución apostólica “Provida Mater Ecclesia” y el Opus Dei, «Boletín de la Asociación Católica Nacional de Propagandistas», n. 427 (15-I-1949) e anche in estratto, Madrid 1949.

19 J. Escrivá de Balaguer, Parole nella seduta plenaria del Congresso Generale speciale dell’Opus Dei, 11-IX-1970, in L’itinerario giuridico…, pp. 825-826 [la traduzione è nostra].

20 J. Escrivá de Balaguer, Lettera 25-I-1961, n. 22, in L’itinerario giuridico…, p. 116.

21  J. Escrivá de Balaguer, Lettera 19-III-1954, n. 36, in L’itinerario giuridico…, p.446.

22  J. Escrivá de Balaguer, Lettera 31-V-1954, n. 9, in L’itinerario giuridico…, p.447.

23 J. Escrivá de Balaguer, Lettera 2-X-1958, nn. 9-12 [i corsivi sono del testo originale; la traduzione è nostra]. Per il testo completo di questo documento,  cfr. L’itinerario giuridico…, pp.792-795.

24 Su questa consultazione al Card. Tardini, cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 450-457 e Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III,  pp. 519-521.

25 Oggi denominata Congregazione per i Vescovi.

26 AGP, Sezione Giuridica, VI/15611.

27 AGP, PO1 1982, p. 1376.

28 J. Escrivá de Balaguer, Lettera 25-I-1961, n. 28, in L’itinerario giuridico…, p. 463.

29 Su questa richiesta del 1962, cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 464-474 e Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III, pp. 521-522.

30 La lettera al Santo Padre Giovanni XXIII è riportata in L’itinerario giuridico…, pp. 800-802.

31 L’erezione della Mission de France come Prelatura nullius ebbe luogo con la Cost. Ap. Omnium Ecclesiarum sollicitudo, 15-VIII-1954, «AAS», 46 (1954) pp. 567-574.

32 AGP, Sec. A, Leg. 0276, Carp. 04, EF-620107-2t; Leg. 0277, Carp. 01, EF-620308-1t; Leg. 0277, Carp. 02,  EF-620412-1t.

33 EF-620308-1t, nn. 1, 15 e 17, cit. in nota 32.

34 EF-620308-1t, n. 3, cit. in nota 32.

35 EF-620412-1t, n. 1, cit in nota 32.

36 EF-620308-1t, n.13, cit. in nota 32.

37 M. Costalunga, L’erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale, «L’Osservatore Romano», 28-XI-1982, p. 3; Id., I lavori preparatori alla promulgazione della Costituzione Apostolica Ut sit -Appunti personali di un testimone, Roma, 1 aprile 1998 (pro manuscripto).

38 Cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 665-666.  

39 Si riferisce anche a questa «finalità qualificatamente pastorale della Prelatura» il Card. Baggio  in S. Baggio, Un bene per tutta la Chiesa, «L’Osservatore Romano», 28-XI-1982, p. 3.

40 J. Escrivá de Balaguer, Lettera 25-V-1962, n. 36, in L’itinerario giuridico…, p. 485.

41 J. Escrivá de Balaguer, Lettera 25-V-1962, n. 68, in L’itinerario giuridico…, p. 488.

42 J. Escrivá de Balaguer, Lettera 25-V-1962, n. 60, in L’itinerario giuridico…, p. 488.

43 AGP, PO1 1982,  p. 1388.

44 Il testo di questa lettera si può vedere in L’itinerario giuridico…,  p. 805.

45 Il testo della lettera a Paolo VI può essere consultato in L’itinerario giuridico…,  pp. 806-807.

46 AGP, Sec. A, Leg. 0280, Carp. 02, EF-640214-2t.

47 Su questi fatti, cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 494-498 e Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III,  pp. 525-526.

48 J. Escrivá de Balaguer, Lettera 25-V-1962, n. 23, in Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III,  pp. 560-561, nota 259.

49  «6. (Cleri distributio apte fovenda). Normae de incardinatione et excardinatione ita recognoscantur ut, firmo manente pervetere hoc instituto, hodiernis pastoralibus adiunctis et necessitatibus aptius respondeant, et, ubi ratio apostolatus postulaverit, faciliora reddantur non solum cleri dioecesani distributio, sed etiam peculiaria quaedam opera pastoralia, quae in aliqua regione, vel natione, aut in quacumque terrarum orbis parte, aut etiam pro quibusdam coetibus socialibus perficienda sunt; ad hoc ergo constituantur seminaria internationalia, dioeceses vel praelaturae personales et alia huiusmodi, salvis semper iuribus Ordinariorum locorum» (Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II,  III-IV, Typis Polyglottis Vaticanis 1974,  p. 848).

50 Questa lettera si può consultare in L’itinerario giuridico…,  pp. 807-810.

51 Cfr. Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III,  p. 526.

52 «Normae praeterea de incardinatione et excardinatione ita recognoscantur ut, pervetere hoc instituto firmo manente, ipsum tamen hodiernis pastoralibus necessitatibus melius respondeat. Ubi vero ratio apostolatus postulaverit, faciliora reddantur non solum apta Presbyterorum distributio, sed etiam peculiaria opera pastoralia pro diversis coetibus socialibus, quae in aliqua regione, vel natione aut in quacumque terrarum orbis parte perficienda sunt. Ad hoc ergo quaedam seminaria internationalia, peculiares dioeceses vel praelaturae personales et alia huiusmodi utiliter constitui possunt, quibus, modis pro singulis inceptis statuendis et salvis semper iuribus Ordinariorum locorum, Presbyteri addici vel incardinari queant in bonum commune totius Ecclesiae» (Decreto Presbyterorum ordinis, n. 10, «AAS», 58 [1966]  p. 1007).

53 «Praeterea, ad peculiaria opera pastoralia vel missionaria perficienda pro variis regionibus aut coetibus socialibus, qui speciali indigent adiutorio, possunt ab Apostolica Sede utiliter erigi Praelaturae, quae constent presbyteris cleri saecularis, peculiari formatione donatis, quaeque sunt sub regimine proprii Praelati et propriis gaudent statutis.


Huius Praelati erit nationale aut internationale erigere ac dirigere Seminarium, in quo alumni apte instituantur. Eidem Praelato ius est eosdem alumnos incardinandi, eosque titulo servitii Praelaturae ad Ordines promovendi.


Praelatus prospicere debet vitae spirituali illorum, quos titulo praedicto promoverit, necnon peculiari eorum formationi continuo perficiendae, eorumque peculiari ministerio, initis conventionibus cum Ordinariis locorum ad quos sacerdotes mittuntur. Item providere debet ipsorum decorae sustentationi, cui quidem consulendum est per easdem conventiones, vel bonis ipsius Praelaturae propriis, vel aliis subsidiis idoneis. Similiter prospicere debet iis qui ob infirmam valetudinem aut alias ob causas munus sibi commissum relinquere debent.


Nihil impedit quominus laici, sive caelibes sive matrimonio iuncti, conventionibus cum Praelatura initis, huius operum et inceptorum servitio, sua peritia professionali, sese dedicent.


Tales Praelaturae non eriguntur, nisi auditis Conferentiis Episcoporum territorii, in quo operam suam praestabunt. In qua exercenda sedulo caveatur, ut iura Ordinariorum locorum serventur et cum iisdem Conferentiis Episcoporum arctae rationes continuo habeantur.» (Motu proprio Ecclesiae Sanctae, I, n. 4, 6 agosto 1966, «AAS» 58 [1966]  pp. 760-761).

54 Cost. Ap. Ut sit , 28-XI-1982, pars narrativa, cit. in nota 2.

55  AGP, PO1 1982,  pp. 1392-1394.

56 Ad esempio, nell’intervista concessa alla rivista spagnola Palabra, alla generica domanda su «come si inserisce la realtà ecclesiale dell’Opus Dei nell’azione pastorale di tutta la Chiesa», risponde premettendo un «chiarimento», che è una sintesi del quadro istituzionale dell’Opus Dei: «L’Opus Dei non è, né può essere considerato, un fenomeno relativo al processo evolutivo dello «stato di perfezione» nella Chiesa; non è una forma moderna o «aggiornata» di questo stato. […] Una completa esposizione dottrinale in materia sarebbe lunga; ma basti considerare che all’Opus Dei non interessano per i suoi soci, né voti, né promesse, né alcuna forma di consacrazione che non sia quella che tutti hanno già ricevuto con il Battesimo. La nostra Associazione non pretende in nessun modo che i soci cambino di stato, cioè che passino dalla condizione di semplici fedeli (uguali a tutti gli altri) alla speciale condizione dello status perfectionis. È vero il contrario: ciò che l’Opera desidera e promuove è che ciascuno svolga l’apostolato e si santifichi nel proprio stato, nello stesso posto e nella stessa condizione che ha nella Chiesa e nella società civile. Non spostiamo nessuno da dove si trova, non allontaniamo nessuno dal suo lavoro, dai suoi impegni, dai suoi legittimi legami di ordine temporale. La realtà sociale dell’Opus Dei, la sua spiritualità e la sua azione si inseriscono quindi in un filone della vita della Chiesa ben diverso e cioè nel processo teologico e vitale che sta conducendo il laicato alla piena assunzione delle sue responsabilità ecclesiali, al modo che gli è proprio di prendere parte alla missione di Cristo e della sua Chiesa. È stata e rimane questa, nei quasi quarant’anni di vita dell’Opus Dei, la preoccupazione costante, serena ma forte, con cui Dio ha voluto orientare, nella mia anima e in quella dei miei figli, il desiderio di servirlo»  (Colloqui con mons. Escrivá de Balaguer, Milano 1968, n. 20).

57 Cfr. Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III,  p. 527.

58 Nella primavera-estate dell’anno 1969, San Josemaría venne indirettamente a sapere che nella Curia romana era stata costituita una Commissione speciale, non pubblica,  con il compito di studiare lo statuto giuridico degli Istituti secolari in genere, ed in concreto dell’Opus Dei, e di procedere eventualmente alle modifiche ritenute opportune, senza consultare San Josemaría. Tale circostanza colse completamente di sorpresa San Josemaría che, dopo avere a lungo pregato, decise che la cosa migliore da fare fosse informare il Santo Padre, affinché potesse vagliare a fondo le circostanze: il 16 settembre 1969 scrisse una lettera confidenziale a Paolo VI, acompagnata da un lungo appunto e da un eventuale «ricorso» formale (cfr. AGP, EF-690916). Il Card. Jean Villot, Segretario di Stato, ricevette San Josemaría e gli comunicò che la Commissione speciale aveva una finalità molto limitata, quella di esaminare la normativa degli Istituti secolari formati da sacerdoti. Bisogna chiarire che nella lettera di San Josemaría non si fa cenno ad un intervento né di Mons. Benelli né di nessun altro, si parla soltanto dei membri della suddetta Commissione, che fra l’altro sembra che non giunse a fare alcuno studio sull’Opus Dei e che di fatto fu subito sciolta (Cfr. Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III, pp. 527-534).

59 Questa lettera si può consultare in L’itinerario giuridico…, pp. 811-812.

60 Questa lettera si può consultare in L’itinerario giuridico…,  p. 812.

61 Sul Congresso Generale speciale, cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 511-591; pp. 817-820 e Il Fondatore dell’Opus Dei… vol. III,  pp. 528-530;  pp. 539-540.

62 L’itinerario giuridico…, pp. 525-526.

63 Le conclusioni del Congresso (14 settembre 1970) si possono vedere in L’itinerario giuridico…,  pp. 817-820.

64 Il testo di questa lettera, può essere consultato in L’itinerario giuridico…,  pp. 814-817.

65 AGP, Sezione Giuridica, VII/CT 1970.

66 L’itinerario giuridico…,  p. 819.

67 L’itinerario giuridico…, p. 544.

68 AGP, PO1 1982,  p. 1266.

69 Il verbale di approvazione può essere consultato in L’itinerario giuridico…, pp. 822-829.  

70 L’itinerario giuridico…, p. 817.

71 Sulla fase di esecuzione del Congresso, cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 583-591.

72 Sulla richiesta di don Álvaro del Portillo di erigere l’Opus Dei in Prelatura personale e il successivo procedimento giuridico fino al 28 novembre 1982 e al 19 marzo 1983, cfr. L’itinerario giuridico…, pp. 593-645.

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