Le prelature personali (cann. 294-297)

José Luis Gutiérrez
Tit. IV. Le prelature personali (cann. 294-297), en:  AA.VV., Il Codice del Vaticano II. Il fedele cristiano, Edizioni Dehoniane, Bologna 1989, pp. 171-183.

 

Sumario: 1. Origine.- 2. Norme vigenti.- 3. Finalità e norme di erezione.- 4. Composizione.- 5. Rapporto con le Chiese locali

 

1. Origine

   Come tutte le strutture appartenenti all’organizzazione pastorale della Chiesa, le prelature personali debbono essere intese alla luce del fine e della missione della Chiesa, vale a dire la salvezza delle anime. E’ proprio in questa luce che sovente è stata messa in rilievo l’importanza e la necessità di venire incontro alle molteplici e spesso nuove esigenze che vengono proposte dall’odierna società di massa; basti pensare, ad esempio, all’imponente fenomeno della mobilità sociale, oppure alla progressiva scristianizzazione di ambienti tradizionalmente cattolici: si tratta in definitiva, né di più né di meno, della sfida, ininterrotta e appassionante, che l’evangelizzazione dell’uomo contemporaneo lancia alla Chiesa stessa. Ed essa, infatti, ha il diritto-dovere di disporre le proprie strutture (nel senso di rinnovarle, ove necessario, arricchirle, o crearne di nuove) in modo tale che, pur nella fedeltà al diritto divino e tenendo presenti le concrete circostanze di tempo e di luogo, i mezzi salvifici vengano messi abbondantemente a disposizione degli uomini (cfr. LG 37/382).

   In quest’ordine d’idee, la profonda riflessione pastorale realizzata dal Concilio Vaticano II ha dato origine, tra l’altro, alle prelature personali, auspicate in PO 10/1278, dove si stabilisce che, lì dove ciò sia reso necessario da motivi apostolici, venga incoraggiata «l’attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura in tutto il mondo». Dopo aver enunziato questo criterio, il testo conciliare passa ad enumerare alcuni mezzi concreti per metterlo in pratica, prospettando l’eventuale utilità di erigere, tra l’altro, «peculiari diocesi o prelature personali», vale a dire, di ampliare il concetto di diocesi e di prelatura, che fino ad allora erano intese unicamente come circoscrizioni territoriali, nel senso di poter attribuire loro anche un carattere personale, fondato cioè non sul domicilio dei fedeli, ma su altre circostanze attinenti la persona, come la professione (per es., nel caso dei militari), oppure la lingua, o la comune appartenenza a una nazione d’origine, ecc. Il testo conciliare specifica poi alcuni concetti che si riferiscono più direttamente ai sacerdoti (il cui ministero e vita è oggetto del Decreto Presbyterorum Ordinis), e stabilisce che a tali peculiari diocesi o prelature personali «potranno essere iscritti o incardinati dei presbiteri per il bene di tutta la Chiesa» (ivi.), aggiungendo in seguito che le predette strutture, appunto perché non delimitate da un criterio esclusivamente territoriale, dovranno essere erette «secondo norme da stabilirsi per ognuna di queste istituzioni, e rispettando sempre i diritti degli Ordinari del luogo». A sua volta AG 20/1161 prospetta la possibilità di integrare in una prelatura personale quei gruppi socio-culturali esistenti in una regione determinata, i quali, a causa di differenti abitudini di vita, tradizioni, ecc., non riescano facilmente ad adattarsi alla forma peculiare che la Chiesa ha ivi assunto (si veda anche AG 27/1186).

   Le norme relative alle prelature personali furono sviluppate nel Motu pr. Ecclesiae Sanctae, del 6-VIII-1966, I, n. 4 (in EV II, 764), dove si prevede che i fedeli laici appartenenti a tali prelature possano anche partecipare alla realizzazione dei compiti apostolici propri delle stesse, stipulando a tale scopo l’opportuna convenzione. Infine, la Cost. Ap. Regimini Ecclesiae universae, del 15-VIII-1967, n. 49 § 1 (in EV II, 1589), attribuisce alla Congregazione per i Vescovi la competenza sulle prelature personali e sui loro Prelati, nei luoghi non soggetti alla Congregazione per le chiese orientali o alla Congregazione di Propaganda Fide.

2. Norme vigenti

   I cann. 294-297 costituiscono una legge quadro, o complesso di disposizioni normative di carattere generale a cui devono adeguarsi tutte le prelature personali, le quali avranno, inoltre, i propri statuti, sanciti dalla Santa Sede (can. 295 § 1), nei quali si dovranno determinare ulteriormente la finalità di ciascuna di esse nonché la loro composizione concreta, la potestà del Prelato, i criteri di appartenenza dei fedeli laici, ecc.

   La prelatura personale Opus Dei, di carattere internazionale, fu eretta con la Cost. Ap. Ut sit del 28-XI-1982 (in EV 8/462-471), a cui fu data esecuzione il 19 marzo successivo, vale a dire meno di due mesi dopo la promulgazione dell’attuale Codice di diritto canonico. Con tale Costituzione Apostolica si metteva in pratica per la prima volta la figura giuridica della prelatura personale; questo documento, pertanto, ha un valore ermeneutico notevole, in ordine ad una corretta comprensione delle prelature e ad una esatta interpretazione della normativa vigente.

   Nel Codice di diritto canonico, il titolo sulle prelature personali segue quello sui chierici e precede quello sulle associazioni di fedeli. E’ collocato nella parte I del libro II, sotto la rubrica generale «De christifidelibus». In un primo momento, durante i lavori di codificazione, le prelature personali (figura entro la quale s’includevano anche gli ordinariati militari) vennero poste sotto la stessa normativa delle diocesi, secondo la tecnica giuridica dell’equiparazione in iure, vale a dire attendendo agli elementi che sono comuni sia alle diocesi che alle prelature personali (al fatto, cioè, che entrambe sono forme giurisdizionali di organizzazione della Chiesa per l’adempimento della sua missione pastorale) ed indicando parimenti i limiti di tale equiparazione. Tuttavia, senza negare tali elementi comuni, nell’ultima fase dell’elaborazione del Codice prevalse l’opinione secondo la quale accanto alle diocesi si dovevano enumerare nel medesimo solamente le entità giurisdizionali (prelature territoriali, vicariati e prefetture apostoliche, ecc.) territorialmente circoscritte. Per tale ragione, il titolo sulle prelature personali fu trasferito nel luogo che attualmente occupa, lasciando agli statuti di ognuna di esse l’ulteriore determinazione delle norme secondo le quali si debba reggere. Per lo stesso motivo, non si trova nel Codice alcun riferimento esplicito agli ordinariati militari, eccettuata unicamente la menzione dei loro cappellani contenuta nel can. 569: tale situazione è stata chiarita dalla Cost. Ap. Spirituali militum curae, del 21-IV-1986.

3. Finalità e modo di erezione

   Secondo il dettato del can. 294, una prelatura personale può essere eretta al fine di promuovere:

      a) un’adeguata distribuzione dei presbiteri: questa finalità deve intendersi non in un senso puramente geografico, e cioè che una prelatura venga creata con lo scopo generico di fornire sacerdoti ad altre diocesi con scarsità di clero (necessità alla quale si può provvedere tramite il trasferimento di sacerdoti: cann. 267 ss.), ma nel senso che la prelatura possa inviare alle diocesi che li richiedano sacerdoti dotati di una preparazione specifica, per lo svolgimento di determinati apostolati; oppure,

      b) al fine di attuare peculiari opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per i diversi raggruppamenti sociali. Quanto al carattere peculiare dell’opera pastorale svolta da una prelatura personale è da notare che essa può essere eretta:

         -sia per la realizzazione di una peculiare opera pastorale da svolgersi in seno alle Chiese locali, nel qual caso la prelatura stessa, stabilendosi nelle singole diocesi con il consenso del Vescovo rispettivo, eserciterà nelle medesime le opere pastorali per le quali sia stata istituita.

         -sia per assumere la cura ordinaria di un gruppo di fedeli con caratteristiche peculiari (tale è il caso prospettato nel già citato AG 20/1161).

   L’erezione di una prelatura personale spetta in esclusiva alla Santa Sede, la quale ascolta previamente le Conferenze episcopali interessate (can. 294). Come per le altre strutture dell’organizzazione pastorale della Chiesa, lo strumento di erezione è una Bolla pontificia o Costituzione Apostolica, nella quale viene determinata la finalità e composizione concreta della prelatura, la portata della giurisdizione che spetta al Prelato, la sede della curia e della chiesa prelatizia, ecc. Parimenti, la prelatura avrà i propri statuti, sanciti dalla Sede Apostolica (can. 295 § 1), nei quali si determinerà, fra l’altro, l’eventuale partecipazione di laici all’apostolato della prelatura (can. 296) nonché i rapporti della prelatura con i Vescovi diocesani dei territori nei quali essa svolga le mansioni pastorali affidatele (can. 297).

4. Composizione

   In una prelatura personale bisogna distinguere:

      – Il Prelato, che è il suo Ordinario proprio, al quale spetta il governo e, pertanto, di dirigere tutta l’attività della Prelatura e di dettare norme di carattere legislativo o amministrativo, ecc.; la sua giurisdizione è limitata ai peculiari compiti apostolici della prelatura. Tra le altre manifestazioni della sua potestà, il Codice di diritto canonico indica espressamente che egli può erigere il seminario nazionale o internazionale e incardinare i chierici alla prelatura (can. 295 § 1).

      – Il clero della prelatura, che compone il suo presbiterio. Esso è composto da presbiteri del clero secolare con la collaborazione di diaconi (can. 294), che ordinariamente hanno ricevuto la propria formazione nel seminario della prelatura e sono incardinati alla stessa, per dedicarsi ai suoi apostolati. Dopo l’ordinazione, il Prelato deve provvedere sia alla formazione spirituale del proprio clero che al suo decoroso sostentamento (can. 295).

      – I fedeli laici. Il carattere personale e la varietà di forme che possono assumere le prelature fanno sì che non esista un criterio unico di appartenenza dei fedeli laici alle stesse, com’è il domicilio per quanto riguarda le strutture territoriali. Tale rapporto dovrà qui fondarsi, invece, sulle circostanze personali (unite o meno ad altre di carattere territoriale) determinate negli statuti delle singole prelature. I laici appartenenti a questa categoria fanno parte integrante della prelatura, e costituiscono il gruppo di fedeli ai quali è rivolta primariamente la cura pastorale del Prelato con il suo presbiterio. Il can. 296 prevede inoltre: a) che tali laici potranno anche partecipare alle opere apostoliche della prelatura, venendo così ad istaurarsi un rapporto di cooperazione organica in seno alla stessa. La cooperazione organica alla quale si allude è, né più né meno, quella che si dà all’interno della Chiesa fra tutti i suoi membri, secondo la condizione propria di ciascuno, per la realizzazione della missione affidata da Cristo alla Chiesa. Tale cooperazione viene descritta in maniera assai precisa nel can. 208, il quale recita: «Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno» (la sottolineatura è nostra). Senza che venga negata la possibilità, prevista per tutti i fedeli laici ai diversi livelli dell’organizzazione ecclesiastica, di aiutare la gerarchia nei compiti suoi propri (cfr. can 228 § 1; LG 33/370), la cooperazione organica ha tuttavia una portata assai più ampia, giacché comporta una mutua e organica cooperazione fra chierici e laici, svolgendo ognuno le proprie mansioni, per il raggiungimento di un compito comune. Parlare di cooperazione organica, nella Chiesa, significa pertanto riferirsi a quella necessaria complementarietà fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, che «quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro» (LG 10/312), e si reclamano l’un l’altro, giacché la missione della Chiesa non spetta in esclusiva alla gerarchia, ma a tutti i fedeli, «che devono concordemente cooperare, nella loro misura, all’opera comune» (LG 30/361). La cooperazione organica sorge, pertanto, come conseguenza dei vincoli di comunione fraterna e di comunione gerarchica che si dànno sempre a livello sia di Chiesa universale che delle strutture integranti la sua organizzazione pastorale. b) Il can. 296 precisa anche che, nelle prelature personali, i laici potranno integrarsi in questo rapporto di cooperazione organica «mediante convenzioni stipulate con la prelatura stessa», il che significa che essi fanno parte della prelatura non solo per ricevere da essa un’assistenza pastorale specifica, ma anche per partecipare attivamente al suo compito apostolico concreto: mediante un’apposita convenzione, o atto di natura contrattuale, il laico assume l’impegno di partecipare al raggiungimento della finalità della prelatura, nei termini definiti nei relativi statuti, senza ovviamente che ciò significhi che siano i fedeli, mediante tale contratto, a costituire o creare la prelatura, essendo essa un ente preesistente, eretto dalla Santa Sede.

5. Rapporto con le Chiese locali

   Già sopra abbiamo ricordato come una prelatura personale si dovrà erigere «rispettando sempre i diritti dell’Ordinario del luogo» (PO 10/1278). E’ ovvio che, essendo di natura personale ed operando quindi entro l’ambito territoriale appartenente ad una Chiesa locale, la prelatura personale dovrà sostenere dei rapporti armonici con la stessa. Il can. 297 stabilisce in merito un principio generale: «Parimenti gli statuti (della prelatura) definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie».

   Per quanto concerne tali rapporti fra strutture appartenenti all’organizzazione pastorale della Chiesa, possiamo distinguere concretamente tre diverse fattispecie:

      – Se una prelatura personale è costituita per la cura pastorale ordinaria di un raggruppamento di fedeli (cfr. AG 20/1161), i rapporti dovranno essere simili a quelli che intercorrono, per esempio, fra l’ordinariato militare e le rispettive diocesi territoriali.

      – Se la prelatura esercita le sue opere pastorali in seno alle Chiese locali, oltre al consenso del Vescovo diocesano previo al suo stabilirsi nella diocesi e previsto nel can. 297, gli statuti dovranno indicare quali altri requisiti si debbano adempiere nei singoli casi, affinché l’azione della prelatura personale resti sempre armonicamente inserita nella pastorale organica della Chiesa universale ed in quella delle Chiese locali.

      – Infine, se una prelatura personale viene costituita per promuovere un’adeguata distribuzione di presbiteri, gli statuti dovranno prevedere come e in quali condizioni potranno essi essere inviati nelle singole diocesi che li richiedano, e nelle quali essi dipenderanno dal Vescovo diocesano nello svolgimento del ministero loro affidato.

Bibliografia

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