José Luis Gutiérrez
Publicado en "Romana" 3 (1986) 342-351
1. La Costituzione Apostolica Ut sit, dettata in forma di Bolla, con la quale il Papa eresse la Prelatura personale della Santa Croce e Opus Dei e sancì le norme sulle quali si regge, è datata 28-XI-1982. L’esecuzione del documento pontificio, in accordo con ciò che il testo stesso stabilisce, fu realizzata il 19-III-1983 dall’Ecc.mo Mons. Romolo Carboni, Nunzio Apostolico in Italia, in una cerimonia solenne celebrata nella basilica romana di Sant’Eugenio a Valle Giulia, cui hanno assistito autorità ecclesiastiche e civili e un gran numero di fedeli. La pubblicazione ufficiale della Bolla ebbe luogo il 2 maggio 1983, nel numero corrispondente di AAS[1] .
Nella sua forma —Costituzione Apostolica— così come nella sua redazione e nelle clausole stilistiche impiegate, il documento risponde all’uso abituale della Santa Sede quando si tratta di erigere istituzioni appartenenti alla struttura gerarchica della Chiesa: alla fine della parte espositiva, il Papa dichiara che stabilisce e ordina che sia eseguito quanto segue «con la pienezza della Nostra potestà apostolica, dopo aver accolto il parere datoCi dal Nostro Venerabile Fratello il Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione per i Vescovi».
Il presente studio si basa su tale Costituzione Apostolica, ma non è propriamente un commento all’intero documento pontificio. L’obiettivo è assai più limitato: si cerca solo di illustrare alcune delle idee esposte nella parte introduttiva del documento per descrivere autenticamente sia la figura della Prelatura personale, preconizzata dal Concilio Vaticano II, sia la sua applicazione all’Opus Dei.
IL FENOMENO PASTORALE
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2. Il proemio della Costituzione Apostolica Ut sit mette in evidenza l’aspetto centrale di tutta la questione: mediante la configurazione giuridica conferita all’Opus Dei, si è raggiunta una corrispondenza perfetta tra carisma e norma giuridica, tra sostanza e forma. Perciò la Costituzione Apostolica comincia con il riferirsi al fenomeno pastorale vivo, «all’Opus Dei, che per divina ispirazione il Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer fondò a Madrid il 2 ottobre 1928»: parole su cui non si può sorvolare senza porre in evidenza come, in esse, si affermi in modo solenne che il Fondatore agì divina ductus inspiratione.
Ad ogni modo, ci interessa sottolineare come la Cost. Ut sit passi di seguito a descrivere la finalità apostolica che l’Opus Dei persegue: «Fin dai suoi inizi, infatti, questa Istituzione si è impegnata, non solo a illuminare di nuova luce la missione dei laici nella Chiesa e nella società umana, ma anche a realizzarla nella pratica; come pure si è impegnata a tradurre in realtà vissuta la dottrina della chiamata universale alla santità, e a promuovere in ogni ceto sociale la santificazione del lavoro professionale ed attraverso il lavoro professionale. Inoltre, per mezzo della Società Sacerdotale della Santa Croce, si è adoperata per aiutare i sacerdoti incardinati nelle diocesi a vivere la medesima dottrina, nell’esercizio del loro sacro ministero».
L’Opus Dei, come fenomeno pastorale, si caratterizza in quanto diffonde e stimola a tradurre in pratica le esigenze generali di santità e di apostolato proprie della vita cristiana. Ciò realizza attraverso i suoi membri, la cui vocazione mette in primo piano il valore santificatore del lavoro professionale ordinario —vale a dire, il dovere di ciascuno di santificarsi in tale lavoro, di santificarlo e di trasformarlo in strumento di apostolato[2] – e l’unità che si può e si deve dare tra secolarità e vita contemplativa[3] . Nella spiritualità dell’Opus Dei, il lavoro è, pertanto, l’asse intorno al quale ruotano la santità e l’apostolato personale. Perciò, con parole che il Fondatore aveva ripetuto molte volte nel suo insegnamento orale e scritto, negli Statuti della Prelatura o Codex iuris particularis si dice che: «la caratteristica peculiare dello spirito dell’Opus Dei consiste nel dovere di ciascuno di santificare il proprio lavoro professionale, santificarsi nel perfetto compimento del proprio lavoro professionale, e santificare gli altri per mezzo del proprio lavoro professionale»[4] .
Pur essendo una realtà comune a tutti gli uomini e, di conseguenza, a tutti i cristiani, il lavoro professionale acquista un’importanza particolare nella spiritualità e nel fine peculiare dell’Opus Dei, dal momento che diventa oggetto di esigenze ascetiche e apostoliche specifiche, sanzionate da norme giuridiche[5] . Nell’Opus Dei si tratta non solo di lavorare, ma di fare del lavoro professionale ordinario il cardine della stessa santificazione e dell’apostolato. In altre parole, il lavoro comporta una serie di esigenze nell’ambito dell’unità di vita che caratterizza la fisionomia spirituale dell’Opus Dei, nella quale gli aspetti ascetico, apostolico e professionale sono armonicamente fusi e compenetrati tra di loro[6] . Infatti il lavoro si deve realizzare con spirito di servizio agli uomini e alla società e, al tempo stesso, dev’essere elevato all’ordine soprannaturale e costituire un’occasione di unione costante e di rapporto con Dio[7] ; si deve lavorare in qualsiasi circostanza con amore a Dio e al prossimo, con fede viva e operativa, con la speranza propria dei figli di Dio e con la massima fedeltà possibile nel compimento dei doveri che la propria condizione implica[8] ; posto che il lavoro si deve santificare, si deve realizzare con la massima perfezione possibile, in modo costante e ordinato, curando con spirito di penitenza tutti i particolari, anche i più piccoli[9] ; perciò, insieme con una intensa vita interiore di orazione e di sacrificio, tutti i fedeli della Prelatura sono obbligati a non abbandonare l’esercizio del lavoro professionale, e a dedicare un costante impegno all’acquisto e al miglioramento della propria formazione professionale[10] .
Quando un cristiano, rispondendo a una vocazione divina, chiede di essere ammesso nella Prelatura, il suo lavoro professionale ordinario acquista un rilievo particolare anche per ciò che si riferisce all’esercizio dell’apostolato personale, che è un’esigenza ineludibile della stessa vocazione. Riguardo a quest’ultimo punto si stabilisce nel Codex iuris particularis che la perfetta realizzazione del lavoro professionale ordinario dev’essere testimonianza del senso cristiano della vita[11] , in modo che tale lavoro, che tutti i fedeli della Prelatura si sforzano di santificare, si trasformi a sua volta in strumento di apostolato nell’ambiente proprio di ciascuno e sia indirizzato alla salvezza di tutte le anime, in primo luogo dei colleghi di professione; perciò l’apostolato dei fedeli della Prelatura, che dev’essere continuo, si svolge principalmente tra i loro eguali, mediante una relazione assidua e costante con i colleghi, amici e collaboratori nel lavoro[12] .
Non c’è neppur bisogno di dire, d’altra parte, che tale azione apostolica non si deve ridurre all’esempio. Dev’essere anche testimonianza e dialogo, vale a dire impegno, appropriato alle circostanze, perché le persone con le quali si lavora e si vive[13] si sentano anch’esse spinte a santificarsi nel proprio lavoro e nel compimento dei propri doveri di stato, e quanti non appartengano alla Chiesa si dispongano a ricevere la grazia della fede[14] .
3. Chiudiamo questo paragrafo, ricordando che le prescrizioni del Codex iuris particularis che si sono di volta in volta citate sono espressione genuina del carisma fondazionale. Infatti, riferendosi al fine peculiare dell’Opus Dei e al servizio che, con la propria vocazione specifica, i fedeli della Prelatura prestano alle Chiese locali, il Fondatore scriveva in una Lettera del 15-VIII-1953:
«La nostra finalità specifica ci impone un lavoro professionale intenso, costante, profondo, ordinato, con la preparazione opportuna, con abbondanza di dottrina, con studio, per realizzare —attraverso questo compito, questa dedizione— l’apostolato che Dio vuole da noi, nella santificazione della propria professione o mestiere in mezzo al mondo.
Questo servizio alla Chiesa è quello che i Reverendissimi Ordinari ci chiedono quando conoscono bene lo spirito dell’Opera: un servizio di carattere professionale, di cittadini, nell’ambito della società civile, per portare lì la testimonianza cristiana dell’esempio e della dottrina, senza formare gruppi, con responsabilità personale…
Agendo in questo modo, con l’aiuto della grazia divina, potrete produrre abbondanti frutti spirituali, che molte volte non raccoglierete voi: alius est qui seminat, et alius est qui metit (Ioann. IV, 37), uno è colui che semina e altro è colui che miete; perché questo bene ridonderà a servizio di ognuna delle diocesi dove svolgerete il lavoro, e rimarrà lì per la maggior parte, per essere fermento efficace nella massa dei fedeli affidati alla sollecitudine pastorale di ogni Vescovo».
L’UNITA’ ORGANICA DELLA PRELATURA
4. La vocazione all’Opus Dei esige una dedizione piena ai suoi fini apostolici specifici, con la conseguente necessità di una formazione adeguata —ascetica e dottrinale— che duri tutta la vita; e richiede, a sua volta, una cura pastorale continua e peculiare da parte di sacerdoti incardinati alla Prelatura. Parimenti, l’apostolato peculiare che costituisce la finalità della Prelatura presuppone l’azione congiunta e reciprocamente complementare di chierici e laici. In una nota informativa, datata 14-XI-1981 e indirizzata ai vescovi delle diocesi in cui l’Opus Dei contava Centri canonicamente eretti, la Congregazione per i Vescovi descriveva così tale finalità:
«Gli Statuti determinano anche le finalità reduplicativamente pastorali della Prelatura. Infatti il Prelato ed il suo presbiterio svolgono una ‘peculiare opera pastorale’ in servizio del laicato —ben circoscritto— della Prelatura, mentre tutta la Prelatura —presbiterio e laicato insieme— realizza un apostolato specifico al servizio della Chiesa universale e delle Chiese locali. Sono due, quindi, gli aspetti fondamentali della finalità e della struttura della Prelatura, che spiegano la sua ragion d’essere ed il suo naturale e specifico inserimento nell’insieme dell’attività pastorale ed evangelizzatrice della Chiesa:
a) la ‘peculiare opera pastorale’, che il Prelato con il suo presbiterio svolgono per assistere e sostenere i fedeli laici incorporati nell’Opus Dei nel compimento degli specifici impegni ascetici, formativi ed apostolici da essi assunti e che sono particolarmente esigenti;
b) l’apostolato che il presbiterio ed il laicato della Prelatura, inseparabilmente uniti, realizzano per suscitare in tutti gli ambienti della società una profonda presa di coscienza della chiamata universale alla santità ed all’apostolato e, più specificamente, del valore santificante e santificatore dell’ordinario lavoro professionale»[15] .
5. Nella Prelatura Opus Dei non c’è, pertanto, diversità di vocazioni: come si afferma esplicitamente in diversi luoghi del Codex iuris particularis, la vocazione è una e unica per tutti i fedeli che appartengono all’Opus Dei[16] . Per tutti, questa vocazione è piena[17] , e tutti —in modo adeguato alle proprie circostanze e alla propria condizione o stato personale— assumono i medesimi impegni ascetici e apostolici, partecipando pienamente all’apostolato peculiare della Prelatura[18] , senza che esistano, pertanto, diverse classi di membri[19] .
6. Tale unità di vocazione si riflette, logicamente, nel fatto che tutti i fedeli incorporati alla Prelatura —sia laici che chierici— si devono sforzare di mettere in pratica, serio et continuo, iuxta spiritum Operis Dei, le esigenze ascetiche e apostoliche proprie del sacerdozio comune e, per i chierici, del sacerdozio ministeriale[20] . A questo proposito, è di importanza fondamentale il principio che si enuncia nel n. 4 § 2 del Codex iuris particularis: «Il sacerdozio ministeriale dei chierici e il sacerdozio comune dei laici sono intimamente uniti tra di loro, e si esigono e si completano reciprocamente, per realizzare il fine che si propone la Prelatura, in unità di vocazione e di regime»[21] . Tale presupposto teologico è basilare nella costituzione della Prelatura come unità pastorale, organica e indivisibile, di modo che sarebbe stata completamente inadeguata una configurazione giuridica che si applicasse solo ai chierici o solo ai laici. Infatti gli uni senza gli altri non potrebbero realizzare la finalità della Prelatura per il servizio del bene comune della Chiesa, perché i compiti degli uni e degli altri si esigono e si completano reciprocamente. Nella mente del Fondatore e nella realtà della vita, la Prelatura costituisce una struttura giuridica unitaria, organizzata gerarchicamente, nel senso che il presbiterio e il laicato[22] formano un’unità pastorale, organica e indivisibile, sotto la potestà di regime del Prelato[23] .
L’unità organica dell’Opus Dei fu sottolineata dal Congresso Generale Speciale (1969-1970), convocato e presieduto dal Fondatore per approfondire —come si indica nella Cost. Ap. Ut sit— «lo studio per una trasformazione dell’Opus Dei in accordo con la sua natura e con le norme del Concilio Vaticano II». In una risoluzione approvata all’unanimità nella sessione plenaria del 14 settembre 1970, l’Assemblea manifestava al Fondatore «l’unanime convinzione che, nella revisione del diritto particolare dell’Opus Dei, è assolutamente necessario che venga riaffermata l’importanza costituzionale della perfetta unità dell’Opera», e si aggiungeva espressamente che tale unità tra sacerdoti e laici «consente di realizzare un servizio alla Chiesa universale solidamente poggiato su questa inseparabile unità di vocazione, di spiritualità e di regime»[24] .
In una Lettera del 23-IV-1979 alla Congregazione per i Vescovi, Mons. Alvaro del Portillo metteva parimenti in evidenza che:
«dal punto di vista sia giuridico che di fatto, vale a dire come realtà sociale esistente nella Chiesa da più di 50 anni, l’Opera costituisce un’unità pastorale, organica e indivisibile, che è integrata da sacerdoti e da laici di ogni stato di vita e condizione sociale e professionale: uomini e donne, celibi e sposati, intellettuali e operai, ecc., tutti partecipi dello stesso spirito e vocazione, e uniti sotto lo stesso regime, formazione e disciplina»[25] .
7. Ciò che precede consente anche di precisare, nella sua applicazione alla Prelatura Opus Dei, la portata esatta dell’espressione cooperazione organica, a cui si riferisce il can. 296 del CIC, promulgato pochi mesi prima della esecuzione e promulgazione in AAS della Cost. Ap. Ut sit.
a) Il termine cooperazione non ha nel linguaggio giuridico un significato univoco: assume varie accezioni, che vanno dall’aiuto o collaborazione che si presta a un’altro, in ciò che di quest’ultimo è proprio, fino alla piena partecipazione a un compito che è di tutti coloro che lo realizzano[26] .
b) Nel can. 296, a cui ci stiamo riferendo, tale cooperazione viene qualificata come organica. La scelta dell’aggettivo da parte del Legislatore non si può considerare casuale: difatti il Concilio Vaticano II l’impiega per designare la struttura dellla Chiesa stessa, della comunione nell’ambito del Collegio Episcopale, delle Chiese Orientali cattoliche o di una diocesi[27] .
La Chiesa è una comunità sacerdotale organicamente strutturata[28] , la cui missione compete a tutti i suoi membri, che devono cooperare organicamente fra di loro, ciascuno secondo la funzione che gli compete[29] . Elemento fondamentale di questa cooperazione è la relazione mutua tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, che differiscono essenzialmente e non solo per grado, ma al tempo stesso sono ordinati l’uno all’altro, «ad invicem ordinantur»[30] , sono reciprocamente necessari e complementari: si deve sempre tenere presente che tale reciproco ordinamento non è riducibile a un aiuto esterno del sacerdozio comune al sacerdozio ministeriale, ma implica una cooperazione mutua e organica tra due poli che non potrebbero sussistere l’uno senza l’altro, dal momento che «apostolatus laicorum et ministerium pastorale mutuo se complent»[31] . La missione della Chiesa non si compie attraverso l’azione di uno dei due sacerdozi con l’appoggio esterno dell’altro, ma è frutto dell’azione congiunta e ugualmente necessaria di entrambi. Perciò, quando si parla di cooperazione tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune si vuole dire genuinamente che entrambi co-operano od operano congiuntamente; e organicamente, vale a dire ciascuno nella funzione che gli è propria, in reciproca connessione.
Riassumendo quanto si è esposto in questo paragrafo, possiamo dire che, entro una possibile pluralità di significati, la cooperazione organica, nel suo senso più pieno, è quella che sorge dalla relazione mutua e necessaria tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune ed è radicata nell’essere stesso della Chiesa, la cui missione non è clericale né laicale, ma si realizza proprio nella cooperazione e complementarietà tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune.
8. Le riflessioni che abbiamo appena esposto sono di applicazione immediata alla Chiesa universale e alle Chiese particolari come pure alle Prelature personali, che, senza essere propriamente Chiese particolari, costituiscono tuttavia elementi integranti della struttura gerarchica della Chiesa. Come già abbiamo indicato in precedenza[32] , la Cost. Ap. Ut sit si riferisce alla finalità della Prelatura Opus Dei mettendo in evidenza che s’impegna «a tradurre in realtà vissuta la dottrina della chiamata universale alla santità, e a promuovere in ogni ceto sociale la santificazione del lavoro professionale ed attraverso il lavoro professionale». Pertanto, ciò che viene elevato a finalità che motiva l’erezione dell’Opus Dei come Prelatura non è il disimpegno di un compito clericale, con un aiuto più o meno intenso di laici, ma la cooperazione organica tra sacerdoti e laici o, meglio, tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, per raggiungere codesto fine.
9. Come conseguenza di tale unità, l’art. III della parte dispositiva della Costituzione Apostolica determina la giurisdizione della Prelatura sulla totalità dei membri a essa incorporati, vale a dire, tanto nei confronti dei chierici incorporati nella Prelatura, quanto nei confronti dei laici che, formando con i chierici un solo corpo organico, si dedicano al lavoro apostolico della Prelatura. Questa giurisdizione è ordinaria e propria e riguarda la realizzazione del lavoro pastorale della stessa. Per quanto concerne i laici, comprende solamente ciò che si riferisce «all’adempimento dei peculiari obblighi che essi hanno assunto con vincolo giuridico, mediante una convenzione con la Prelatura», di modo che, come si precisa nella Dichiarazione Praelaturae personales, «è sostanzialmente diversa, per la sua materia, dalla giurisdizione che compete ai Vescovi diocesani nell’ordinaria cura pastorale dei fedeli»[33] . Effettivamente, «i laici incorporati alla Prelatura Opus Dei rimangono fedeli delle singole diocesi nelle quali hanno il proprio domicilio o quasi-domicilio, e sono quindi sottoposti alla giurisdizione del Vescovo diocesano in tutto quanto il diritto stabilisce per la generalità dei semplici fedeli»[34] .
EREZIONE DELLA PRELATURA E ADEGUAMENTO AL CARISMA
10. Una volta descritto il fenomeno pastorale, la Costituzione Apostolica Ut sit spiega che la trasformazione dell’Opus Dei in Prelatura personale è un’esigenza delle caratteristiche peculiari dell’Istituzione. «Poiché l’Opus Dei, con l’aiuto della grazia divina, crebbe in tal modo da diffondersi ed operare in un gran numero di diocesi di tutto il mondo…, si è reso necessario attribuirle una appropriata forma giuridica, rispondente alle sue caratteristiche peculiari«; in altre parole, quella forma giuridica che compete alla sua peculiare natura e al suo carisma, in virtù dei quali si presenta «come una compagine apostolica che, formata da sacerdoti e da laici, uomini e donne, è allo stesso tempo organica e indivisa, vale a dire, come un’istituzione dotata di una unità di spirito, di fine, di regime e di formazione«.
E’ opportuno soffermarsi sul contenuto delle frasi che abbiamo appena trascritto, delle quali abbiamo sottolineato alcune espressioni: proprio quelle che descrivono l’Opus Dei come una realtà organica e indivisa, composta da sacerdoti e da laici, la cui unità comprende tanto lo spirito, il fine e la formazione quanto il regime o giurisdizione del Prelato, che si estende a tutti i suoi membri.
11. E’ destinataria dell’atto pontificio di erezione la realtà così descritta come organica e indivisa, in accordo pure con il desiderio esplicito del Fondatore, il Servo di Dio Josemaría Escrivá, giacché «fu lo stesso Fondatore dell’Opus Dei —prosegue il proemio della Cost. Ap. Ut sit—, nell’anno 1962, a chiedere con umile e fiduciosa supplica alla Santa Sede che, in considerazione della natura teologica ed originaria dell’Istituzione e in vista di una sua maggiore efficacia apostolica, le venisse applicata una configurazione ecclesiale ad essa adatta». Al menzionato desiderio di ottenere la configurazione ecclesiale corrispondente alla natura teologica e originaria dell’Opus Dei, la Costituzione Apostolica risponde che: «Dal momento in cui il Concilio Vaticano II ebbe introdotto nell’ordinamento della Chiesa per mezzo del Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 10 —che fu reso esecutivo mediante il Motu proprio Ecclesiae Sanctae, I, n. 4— la figura delle Prelature personali dirette alla realizzazione di peculiari opere pastorali, apparve chiaro che tale figura era perfettamente adeguata all’Opus Dei (visa est ea ipsa Operi Dei apprime aptari)». Perciò, prosegue il Papa, «nell’anno 1969, il Nostro Predecessore Paolo VI, di felicissima memoria, accogliendo benignamente la richiesta del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, lo autorizzò a convocare uno speciale Congresso generale, che sotto la sua guida si occupasse di iniziare lo studio per una trasformazione dell’Opus Dei in accordo con la sua natura e con le norme del Concilio Vaticano II».
12. A tali desideri —o meglio: alla realtà del carisma fondazionale, dal quale codesti desideri dipendono—, risponde la Costituzione Apostolica, nel cui proemio viene utilizzato due volte il termine trasformazione, che descrive con esattezza la portata della decisione pontificia. Non si trattava infatti di introdurre modifiche nelle norme sulle quali si reggeva l’Opus Dei (norme che, quanto al resto, sono rimaste immutate quanto alla loro sostanza, in accordo con il desiderio fondazionale), ma di conferirgli la forma giuridica ed ecclesiale che compete alla natura dell’Istituzione. Perciò il documento impiega proprio la parola trasformazione, per indicare che si conferisce la forma adatta all’Opus Dei, che viene così assunto nell’ambito delle istituzioni che appartengono alla struttura pastorale e gerarchica della Chiesa, uscendo pertanto dall’alveo, caratteristico del fenomeno associativo, in cui aveva dovuto in precedenza muoversi.
La Cost. Ap. Ut sit mette in gioco, in questo modo, due elementi:
a) la sostanza, vale a dire un’istituzione fondata per ispirazione divina, con un carisma peculiare e immutabile e con una finalità apostolica ben definita, che si configura come un corpo vivo, integrato da sacerdoti e laici, al quale logicamente si conferisce la qualificazione di organico e al tempo stesso indiviso, con un’unità che viene descritta nei suoi diversi aspetti: di spirito, di fine, di regime e di formazione;
b) la forma che si deve attribuire alla sostanza così descritta, perché il carisma e la sua configurazione giuridica convergano definitivamente e si provveda affinché l’Opus Dei «sia sempre un valido ed efficace strumento della missione salvifica che la Chiesa adempie per la vita del mondo», come sottolineano le parole iniziali della Cost. Ap. Ut sit.
13. L’esposizione che la Costituzione Apostolica realizza si collega perfettamente con un altro documento della Santa Sede, la Dichiarazione Praelaturae personales, data dalla Congregazione per i Vescovi il 23-VIII-1982, e pubblicata per la prima volta il 28-XI-1982, mentre si rendeva pubblica l’erezione della Prelatura Opus Dei e la nomina del suo Prelato[35] . Nell’introduzione di tale Declaratio si illustra, in primo luogo, come le Prelature personali, «volute dal Concilio Vaticano II per ‘l’attuazione di peculiari iniziative pastorali’ (Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10 § 2) e regolate poi giuridicamente nella legislazione pontificia di applicazione dei Decreti conciliari (cfr. Motu pr. Ecclesiae Sanctae, I, n. 4), rappresentano un’ulteriore prova della sensibilità con la quale la Chiesa risponde alle particolari necessità pastorali ed evangelizzatrici del nostro tempo», in modo che il provvedimento pontificio in virtù del quale si erige l’Opus Dei in Prelatura personale «mira direttamente alla promozione dell’attività apostolica della Chiesa. Esso, infatti, fa diventare realtà pratica e operativa un nuovo strumento pastorale, finora soltanto auspicato e previsto nel diritto»; e, al tempo stesso, «tale provvedimento assicura all’Opus Dei un ordinamento ecclesiale pienamente adeguato al suo carisma fondazionale ed alla sua realtà sociale».
14. Perciò, continuando l’esposizione che viene sviluppata nel proemio della Cost. Ap. Ut sit, il Santo Padre Giovanni Paolo II chiarisce: «Noi stessi ordinammo espressamente che venisse proseguito lo studio» (necessario per dare all’Opus Dei una configurazione giuridica appropriata), e aggiunge immediatamente un dato che è conseguenza di quanto si è in precedenza esposto e, insieme, ha una portata ermeneutica decisiva «nell’anno 1979 demmo mandato alla Sacra Congregazione per i Vescovi, ad quam res suapte pertinebat natura, alla quale per sua natura competeva l’assunto, affinché, dopo aver considerato attentamente tutti gli elementi sia di diritto che di fatto, vagliasse la richiesta formale che era stata presentata dall’Opus Dei».
Sembra opportuno sottolineare che il mandato ricadde sulla Congregazione per i Vescovi, per la natura stessa della materia, cioè, perché si tratta del Dicastero della Curia Romana che, per i territori di rito latino non dipendenti dalla Propaganda Fide, è competente in ciò che si riferisce non solo alle Chiese particolari, ma anche alle altre entità che fanno parte della struttura gerarchica e pastorale della Chiesa; e che tale mandato prescriveva che si considerassero attentamente tutti i dati, tanto di diritto (la conformità della soluzione con la normativa vigente e in modo speciale con i documenti del Concilio Vaticano II), come di fatto (la possibilità di applicare la forma giuridica proposta all’Istituzione di cui si trattava, in considerazione della sua costituzione e caratteristiche).
Nello studio condotto, la Congregazione per i Vescovi «esaminò accuratamente la questione che le era stata affidata, e lo fece prendendo in considerazione sia l’aspetto storico che quello giuridico e pastorale»[36] , cosicché —dichiara il Papa— «essendo stato rimosso qualsiasi genere di dubbio circa il fondamento, la possibilità ed il modo concreto di accogliere la domanda, apparve evidente l’opportunità e l’utilità dell’auspicata trasformazione dell’Opus Dei in Prelatura personale». Opportunità e utilità: perché, attraverso un lungo iter, si giungeva finalmente al necessario adeguamento tra carisma e norma giuridica, tra sostanza e forma, in modo che l’Opus Dei «sia sempre un valido ed efficace strumento della missione salvifica che la Chiesa adempie per la vita del mondo».
[1] 1. AAS 75 (1983), pp. 423-425.
[2] 2. Cfr. Codex iuris particularis Praelaturae Sanctae Crucis et Operis Dei (si citerà da qui in poi con la sigla Cip), nn. 86; 93; 116; 117; ecc.
[3] 3. Cfr. Cip, n. 79 § 1.
[4] 4. «Peculiaris proinde character spiritus Operis Dei in eo consistit, quod unusquisque suum laborem professionalem sanctificare debet; in sui laboris professionalis perfecta adimpletione, sanctificari; et per suum laborem professionalem, alios sanctificare» (Cip, n. 86 § 2).
[5] 5. La finalità della Prelatura viene descritta nel Cip, n. 2. In riferimento ai mezzi soprannaturali volti a raggiungere tale finalità, nel n. 3 § 1, n. 3, si stabilisce: «imitatio vitae absconditae Domini Nostri Iesu Christi in Nazareth, etiam in sanctificatione proprii laboris professionalis ordinarii, quem, exemplo et verbis, convertere satagunt in instrumentum apostolatus, unusquisque propriam attingens actionis sphaeram». Per tanto, tutti i fedeli della Pelatura «se obligant ad exercitium laboris professionalis vel alterius aequipollentis non derelinquendum, quia per ipsum sanctificationem et peculiarem apostolatum persequentur» (Cip, n. 3 § 2, n. 1; cfr. nn. 86 § 2; 117).
[6] 6. Cfr. Cip, n. 79 § 1.
[7] 7. Cfr. Cip, nn. 86; 92, etc.
[8] 8. Cfr. Cip, nn. 93; 3 § 2, n. 2.
[9] 9. Cfr. Cip, n. 92.
[10] 10. Cfr. Cip, n. 3 § 2, n. 2.
[11] 11. Cfr. Cip, n. 112.
[12] 12. Cfr. Cip, nn. 113 e 117.
[13] 13. Cfr. Cip, n. 114.
[14] 14. Cfr. Cip, n. 118.
[15] 15. Le medesime idee sono espresse anche nell’articolo Un bene per tutta la Chiesa, del Card. S. Baggio, allora Prefetto della Congregazione per i Vescovi: «L’Osservatore Romano», 28-XI-1982, pp. 1 e 3.
[16] 16. Cfr. Cip, nn. 4 §§ 1-2; 6; 11 § 1.
[17] 17. Cfr. Cip, n. 87 § 1.
[18] 18. Cfr. Cip, n. 11 § 1.
[19] 19. Cfr. Cip, n. 7 § 1.
[20] 20. Cfr. Cip, n. 79 § 2.
[21] 21. «Sacerdotium ministeriale clericorum et commune sacerdotium laicorum intime coniunguntur atque se invicem requirunt et complent, ad exsequendum, in unitate vocationis et regiminis, finem quem Praelatura sibi proponit» (Cip, n. 4 § 2).
[22] 22. «Praelaturae presbyterium constituunt illi clerici qui ex eiusdem fidelibus laicis ad Ordines promoventur et eidem incardinantur; laicatus Praelaturae ab iis fidelibus efformatur qui, vocatione divina moti, vinculo iuridico incorporationis speciali ratione Praelaturae devinciuntur» (Cip, n. 1 § 2; al presbyterium fanno riferimento anche i nn. 4 § 1, i capp. I e II del Tit. II, ecc.).
[23] 23. «Opus Dei est Praelatura personalis clericos et laicos simul complectens, ad peculiarem operam pastoralem perficiendam sub regimine proprii Praelati» (Cip, n. 1 § 1).
[24] 24. Atti del Congresso Generale Speciale, Parte IIª, sessione del 14-IX-1970.
[25] 25. Perciò in Cip, n. 1 § 1 si stabilisce «Opus Dei est Praelatura personalis clericos et laicos simul complectens».
[26] 26. In quest’ultimo senso, la Cost. dog. Lumen gentium, n. 30, si riferisce alla missione della Chiesa come a un «commune opus», nel quale tutti i fedeli, ciascuno nel modo che gli è proprio, «unanimiter cooperentur». Cfr. anche CIC, can. 208, sulla eguaglianza radicale dei fedeli, in virtù della quale tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo. Si può dire che, tanto nel Concilio Vaticano II come nel CIC, il sostantivo cooperazione e il verbo cooperare si usano quasi esclusivamente per indicare non una cooperazione dall’esterno, ma la partecipazione a un compito comune. Ho trattato più in particolare tale tema nel mio articolo De Praelatura personali iuxta leges eius constitutivas et Codicis Iuris Canonici normas, in «Periodica» 72 (1983), pp. 107-108. Si veda parimenti, nella letteratura più recente, P. Rodríguez, Chiese particolari e Prelature personali. Considerazioni teologiche su una nuova istituzione canonica, Milano 1985, pp. 80-82; W.H. Stetson— J. Hervada, Personal Prelatures from Vatican II to the New Code: An Hermeneutical Study of Canons 294-297, in «The Jurist» 45 (1985), pp. 394-398; J.—P. Schouppe, Les Prélatures personnelles. Réglementation canonique et contexte ecclésiologique, in «Revue Théologique de Louvain» 17 (1986), pp. 321-323.
[27] 27. Cfr. Cost. dog. Lumen gentium, nn. 11/a, 22/b, 23/d; Nota esplicativa previa, n. 2; Decr. Orientalium Ecclesiarum, nn. 2, 6, 23/d; Decr. Christus Dominus, n. 23 inizio e 1). Il Concilio Vaticano II solamente in due occasioni usa l’aggettivo organica in un senso diverso da quello indicato nel testo: cfr. Dich. Gravissimum educationis, n. 10/a e Decr. Apostolicam actuositatem, n. 20/c.
[28] 28. Cfr. Cost. dog. Lumen gentium, n. 11/a.
[29] 29. «Est in Ecclesia diversitas ministerii, sed unitas missionis» (Decr. Apostolicam actuositatem, n. 2/b).
[30] 30. Cost. dog. Lumen gentium, n. 10/b.
[31] 31. Decr. Apostolicam actuositatem, n. 6/a.
[32] 32. Cfr. supra, nn. 2 y 4.
[33] 33. Congregazione per i Vescovi, Declaratio, 23-VIII-1982, n. III a). Questa Dichiarazione fu pubblicata ne «L’Osservatore Romano» del 28-XI-1982 e, successivamente, il 2-V-1983, in AAS 75 (1983), pp. 464-468.
[34] 34. Ibid., n. IV, c).
[35] 35. Cfr. supra, nota 33.
[36] 36. Sulle distinte fasi di tale studio, cfr. Card. S. Baggio, Un bene per tutta la Chiesa, cit. (nota 15); Mons. M. Costalunga, Sottosegretario della Congregazione per i Vescovi, apporta anche il dato che il risultato dello studio, scritto a macchina, a spazio semplice, fu raccolto in due volumi, per un totale di 600 pagine (L’erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale, ne «L’Osservatore Romano», 28-XI-1982, p. 3).