L’esercizio della potestà di governo nelle prelature personali

S.E.R. Mons. Javier Echevarría, Budapest 7-II-2005. Nel simposio internazionale di Diritto Canonico dell’Università Cattolica Peter Pázmány.
 
 

Ringrazio vivamente il rettore dell’Università, prof. Gyorgy Fodor, ed il preside dell’Istituto di Diritto Canonico, prof. Géza Zuminetz, per il gentile invito a partecipare a questa giornata di studio dedicata alle cosiddette “circoscrizioni potestative territorio-personali”. Il Convegno fa seguito ad altre importanti riunioni internazionali organizzate da questa Università1 , e la formulazione del titolo, volutamente ampia, ci consente di considerare assieme le varie espressioni di potestà e di giurisdizione di tipo personale che esistono sullo stesso territorio, pur trattandosi di ben diverse manifestazioni della giuridicità canonica, poiché provengono ciascuna da entità di natura teologica differente.

In concreto, gli organizzatori hanno pensato a me per trattare dell’esercizio della potestà di governo nelle Prelature personali, chiedendomi, in qualche maniera, di trasferire secondo categorie generali l’esperienza giuridica dell’unica Prelatura personale finora esistente, quella dell’Opus Dei, nei termini e nelle condizioni in cui è consentito un tale passaggio dal singolo al generale. Infatti, come loro sanno, queste Prelature sono giurisdizioni ecclesiastiche di conformazione prevalentemente statutaria, nel senso che le poche norme generali previste nel Codice di Diritto Canonico lasciano agli statuti, appositamente sanciti dalla Santa Sede per ciascuna, la possibilità di configurare, secondo le necessità pastorali, Prelature molto diverse tra loro, possedendo logicamente gli elementi necessariamente comuni previsti nel Codice.

Ritengo importante, all’inizio di questa conferenza, ricordare che il Concilio Vaticano II affrontò con grande sensibilità pastorale le più diverse questioni circa la natura, la vita e le necessità della Chiesa. L’argomento che mi è stato affidato — l’esercizio della potestà di governo nelle Prelature personali — si comprende proprio da questa prospettiva pastorale tanto rilevante nel Concilio. Com’è risaputo, il Vaticano II espose una definizione di Chiesa particolare dove non figura la territorialità (cfr. Christus Dominus, n. 11). Inoltre, stimolò la convenienza di erigere Diocesi peculiari o Prelature personali, Seminari internazionali o altre istituzioni di questo tipo per portare a termine determinate iniziative pastorali a favore di diversi gruppi sociali (cfr. Presbyterorum Ordinis, n. 10; Ad Gentes, n. 20, nota 4, n. 27, nota 28). Le norme del CIC del 1983 recepirono nei cc. 294-297 queste istanze pastorali del Concilio per quanto attiene alle prelature personali. Sono sicuro che i nostri fratelli greco-cattolici comprendono molto bene questa posizione sulla giurisdizione personale, perché gran parte del loro ordinamento giuridico si inserisce in questa cornice e a tutti ci consta il loro grande e costante servizio alla Chiesa: la loro presenza qui, in questa giornata, è anche per me motivo di allegria.

Da tempi ormai remoti una figura canonica di questo tipo era incessantemente oggetto dell’orazione e della mortificazione di San Josemaría Escrivá, Fondatore dell’Opus Dei; egli fu sempre sicuro che sarebbe stato esaudito da Dio Onnipotente, attraverso l’intercessione della Madonna, ma poté vedere realizzata la soluzione appropriata e da tanto tempo auspicata, come assetto giuridico per il fenomeno teologico e pastorale che era stato affidato nelle sue mani, soltanto dal Cielo. La figura della Prelatura personale, infatti, come auspicata dal Concilio Vaticano II è stata delineata in linea generale nell’ordinamento canonico dal nuovo Codice, e per quanto si riferisce specificamente all’Opus Dei è stata configurata dalla cost. ap. Ut sit e dagli Statuti propri o “Codex iuris particularis Operis Dei”, approvati dalla suddetta Costituzione pontificia. Tale figura ha permesso di inquadrare giuridicamente l’Opus Dei nell’ordinamento canonico in forma adeguata alla propria natura, e ciò è stato certamente, per i propri fedeli – sacerdoti e laici – e per tante altre persone nella Chiesa, motivo di ringraziamento a Dio e alla Chiesa2 .
In questa relazione, comunque, cercherò di far riferimento agli elementi necessariamente comuni a tutte le Prelature personali, nell’ambito specifico del tema che mi è stato prospettato. Prima di ciò, è necessario ricordare alcune caratteristiche centrali del tipo di struttura di cui parliamo.

1.– Le Prelature personali come parte della struttura gerarchica della Chiesa: caratteristiche peculiari ed esperienza giuridica

Com’è noto, le Prelature personali rappresentano nella Chiesa una figura nuova e, conseguentemente, ci si manifestano con le peculiarità di ogni nuova istituzione3 .

Le Prelature personali, come tali, erano già presenti nel decr. Presbiterorum Ordinis del Concilio Vaticano II, e vennero introdotte nell’ordinamento canonico dal primo documento pontificio volto a rendere operativi i dettati conciliari: il motu proprio Ecclesiae Santae, nel n. 1, 4 del suo primo capitolo4 . La Prelatura personale si poneva già da questo documento nell’alveo della struttura gerarchica della Chiesa che, sulla base di una giurisdizione ecclesiastica di tipo personale, cercava di fornire uno strumento flessibile di organizzazione per venire incontro a necessità pastorali concrete di svariata natura.

Distaccandosi dal criterio territoriale, che di regola segue la Chiesa latina per organizzare le proprie attività, la storia è testimone del frequente ricorso alle strutture personali per risolvere problemi puntuali di vario genere. Non è possibile, ovviamente, farne adesso un resoconto storico dettagliato, ma mi piace ricordare nel presente contesto, in linea con una recente monografia5 , come il tentativo di costituire una giurisdizione diocesana personale in Ungheria, direttamente soggetta alla Santa Sede, venne preso in considerazione da Papa Innocenzo III, ai tempi del Re Emerico, nel lontano 1204, per motivi di unità ecumenica, come modo di riunire sotto un unico vescovo le chiese e i monasteri di rito greco ortodosso situati nel Regno d’Ungheria.

Ai nostri giorni, le indicazioni del Vaticano II e della legislazione post-conciliare sulle Prelature personali sono state riprese dal Codice di Diritto Canonico del 1983, nei cann. 294-297. Non è il caso di fare adesso riferimento al modo come questi canoni codiciali hanno recepito la dottrina conciliare e quella posteriore. Dirò soltanto che, a mio giudizio, la singolarità della figura, e l’incerto impiego di categorie ecclesiologiche assieme ad altre di natura tecnica e canonistica, provocarono nei momenti precedenti alla promulgazione del Codice un tentennamento da parte di qualche Consultore nell’ultima fase redazionale del testo6 , che ebbe come risultato finale un equivoco inserimento sistematico delle Prelature personali che, pur avendo una rilevanza interpretativa e sostanziale molto ristretta, certamente non giova, almeno inizialmente, alla corretta comprensione della figura.

Della questione si è occupata sufficientemente la dottrina7 , e non pare opportuno trattenersi adesso. Credo che si possa affermare, tuttavia, che l’esperienza giuridica della Chiesa in questi oltre vent’anni dalla promulgazione del Codice latino ha contribuito a correggere, almeno in parte, gli equivoci iniziali, mettendo in luce con chiarezza la natura gerarchica, di circoscrizioni ecclesiastiche personali, delle Prelature personali. Si tratta di una categoria che, come accade anche con gli Ordinariati militari, la cui normativa attuale è anch’essa di recente creazione, non rientra nella nozione di Chiesa particolare, intesa da un punto di vista strettamente teologico.

Molti elementi dell’esperienza giuridica di questi anni suffragano questa concezione della natura delle Prelature personali. Si tratta, per di più, di una esperienza uniforme e incontrastata8 , confermata inoltre, da diversi documenti magisteriali e normativi della Santa Sede che hanno sottolineato aspetti concreti della dimensione gerarchica delle Prelature personali9 , o che, come nel caso della praxis curiae10 , ha contribuito a mettere in rilievo la dimensione giurisdizionale, di circoscrizioni ecclesiastiche personali, delle Prelature personali, con l’autorità interpretativa che il can. 19 attribuisce ad una simile prassi.
È anche vero, comunque, che, al di là delle problematiche legate all’evoluzione dei testi normativi, il consolidamento di una nuova figura giuridica deve necessariamente passare attraverso la creazione nell’avvenire di altre – non necessariamente molte – Prelature personali. Entro il comune quadro della struttura gerarchica della Chiesa e nel rispetto delle poche norme codiciali che necessariamente devono seguire tutte le circoscrizioni di questo genere, daranno spazio alla diversità di compiti o di necessità pastorali per le quali è stata prevista la figura, e quindi alla varietà anche di statuti approvati dalla Sede Apostolica in funzione delle concrete necessità pastorali del caso, alle possibilità organizzative che in tali casi possa offrire la Chiesa, e anche all’ambito (nazionale, dentro una Conferenza episcopale, o internazionale). Al di là di queste varietà, le Prelature personali che in futuro potranno essere costituite dalla Sede Apostolica dovranno necessariamente richiamarsi a quei pochi elementi comuni stabiliti dalla legislazione canonica che ritengo ormai acquisiti in questi anni dall’uniforme uso adottato dalla Chiesa.

Tali elementi comuni potrebbero essere, in sostanza, ricondotti a quelli tipici di qualsiasi circoscrizione ecclesiastica. La Prelatura è formata da una comunità di fedeli che, rimanendo membri delle loro rispettive Chiese particolari, vengono anche affidati, sotto prospettive ben definite, ad un Pastore — il Prelato di cui al can. 295 ß 1 CIC —, coadiuvato da un proprio presbiterio. Ritroviamo qui le comuni categorie necessariamente presenti in ogni circoscrizione ecclesiastica, territoriale o personale che essa sia, e in sintesi: un c fidelium affidato ad un Pastore, intendendo in tale contesto per “c” qualcosa che teologicamente differisce dalla portio o pars Ecclesiae universalis, che ecclesiologicamente si individua d’ordinario in una Chiesa particolare.
Nel contempo bisogna affermare che le norme codiciali non necessariamente trovano un’applicazione univoca nella conformazione delle Prelature personali, poiché alcune di esse – mi riferisco a quelle contenute nei cann. 294-297 – sono in realtà facoltative11 .

Per esempio, l’incardinazione di proprio clero previsto dal can. 295 ß 1, pur esistendo nella prima Prelatura che è stata eretta, non necessariamente risulta elemento essenziale, essendo quindi ipotizzabili Prelature personali senza un proprio clero incardinato come può accadere – e di fatto accade – negli Ordinariati militari; lo stesso avviene per quanto riguarda il Seminario proprio, l’ambito geografico di attività della Prelatura, ecc. La stessa incorporazione di fedeli alla Prelatura per mezzo della convenzione indicata nel can. 296 ha risolto, nel caso della prima Prelatura che è stata eretta, la via tecnica per la incorporazione dei fedeli laici alla Prelatura e il modo di stabilire il rapporto col Prelato, ma si tratta sempre di una possibilità e che, eventualmente, potrebbe venir sostituita con altre forme di incorporazione. Per esempio, in altri possibili casi, la determinazione dei fedeli affidati alla cura pastorale del Prelato – mantenendo in ogni caso l’appartenenza alla diocesi di domicilio – potrebbe venire stabilita d’autorità dalla Sede Apostolica nell’atto stesso di erezione della Prelatura, come può accadere in un Ordinariato militare12 o come è avvenuto nella Amministrazione Apostolica personale di Campos (Brasile) 13
.
In sintesi, com’è dato costatare dall’attenta lettura dei testi di legge, degli elementi strutturali segnalati dai cann. 294-297 per le Prelature personali, soltanto alcuni sono da ritenere essenziali. Di conseguenza, solo alcune delle caratteristiche stabilite nel caso della prima di queste Prelature personali, la Prelatura dell’Opus Dei, risultano valide anche per altre Prelature che per altre finalità pastorali vengano successivamente create.

2.– La natura giuridica della potestà esercitata nelle Prelature personali

Il quadro tracciato finora permette di identificare gli elementi essenziali propri della Prelatura personale e allo stesso tempo di determinare il contesto al quale appartengono tali Prelature: quello, cioè, delle circoscrizioni ecclesiastiche personali. Ritengo, infatti, che la nozione di Chiesa particolare vada usata solo all’interno di un contesto teologico in senso stretto ed è ciò che cerco di fare in questo intervento.

Tuttavia, l’appartenenza delle Prelature personali alle giurisdizioni ecclesiastiche attraverso le quali si organizza gerarchicamente la Chiesa come Popolo di Dio significa di per sé che la potestà di chi ne è a capo – il Prelato – è per forza una potestà di natura episcopale, simile, da questo punto di vista, al tipo di potestà di qualunque altro Pastore a capo di un’altra circoscrizione ecclesiastica, sia Vescovo o non lo sia, nemmeno lo sono necessariamente altri Pastori a capo di circoscrizioni pastorali della Chiesa, come ad es. i Prefetti apostolici, e Vicari o Amministratori apostolici. Ciò vuol dire che la giurisdizione che esercitano tutti questi Pastori, compreso il Prelato personale, riguarda l’esercizio del munus regendi di direzione e di governo della comunità dei battezzati che può venir conferito anche – come dimostrano secoli di storia della Chiesa – ad un presbitero con giurisdizione ecclesiastica. Basta una rapida consultazione dell’Annuario Pontificio per accertare questa realtà14 .

È vero, comunque, che, al di là degli stretti termini di quanto viene richiesto dalla struttura della Chiesa – secondo la quale, né il Prelato né altri Pastori di analoga giurisdizione devono per necessità avere la condizione di Vescovi –, ragioni di coerenza tra la dimensione giuridica e la realtà sacramentale della Chiesa e, più precisamente, per quanto riguarda il caso delle Prelature, per la realtà pastorale, sono abbastanza indicative dell’opportunità dell’ordinazione episcopale di questi Prelati ai quali, in definitiva, la Sede Apostolica assegna con la nomina all’ufficio una missione canonica e un gregge15 sul quale esercitare la corrispondente funzione pastorale.

Di fatto è stato così ritenuto dalla Santa Sede nel caso dei due Prelati che si sono succeduti a capo dell’unica Prelatura personale finora esistente16 .
Il mio predecessore, il Servo di Dio Álvaro del Portillo, del quale è stata recentemente introdotta la causa di beatificazione, ricevette infatti l’ordinazione episcopale il 6 gennaio 199117 , e lo stesso accadde col seguente Prelato il 6 gennaio 199518 . Rilevante, per quanto si dirà in seguito, è un passo della Bolla pontificia corrispondente all’ultima di queste due ordinazioni episcopali, nel quale si parla esplicitamente del gregge19 affidato alla cura pastorale del Prelato elevato alla condizione di vescovo.

Nell’ufficio del Prelato, dunque, si esercita una potestà ecclesiastica di natura episcopale, delimitata in termini generali, e conferita anche ai singoli Prelati dalla Sede Apostolica, che corrisponde al ministero svolto da un Pastore nei confronti di un c fidelium. Detto conferimento rappresenta propriamente la missio canonica, con l’assegnazione di fedeli sui quali il Prelato ha la giurisdizione ecclesiastica nel senso indicato dagli statuti, così come dice il can. 296. Tornerò anche su questo più avanti per delimitare meglio queste nozioni che, secondo me, non vanno riferite negli stessi termini alla Chiesa particolare, in senso teologico rigoroso.

In un tale orizzonte concettuale, l’approfondimento della natura giuridica della potestà esercitata nelle Prelature personali richiede il riferimento alle tradizionali categorie canoniche riguardanti la potestà ordinaria e delegata, così come vennero sintetizzate ai tempi della prima codificazione canonica e sono arrivate a noi attraverso i cann. 129 ss. del Codice in vigore. Inoltre, come elementi specifici, oltre ai cann. 294 ss., dovremo far leva anche sull’esperienza giuridica avutasi con l’erezione della prima Prelatura personale, come sempre, solo nella misura in cui il quadro normativo generale consenta di trasferire tali dati ad un contesto generale.

Il ß 1 del can. 295 segnala che “la Prelatura personale è retta da statuti emanati dalla Sede Apostolica e ad essa viene preposto un Prelato come Ordinario proprio, il quale ha il diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, nonché di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini con il titolo di servizio alla Prelatura”. Assieme ad altre questioni che riprenderò più avanti, la menzionata norma segnala con precisione tecnica la natura della potestà del Prelato.
In tale senso, e per riferimento al can. 131 che determina le categorie tipiche della potestà ecclesiastica, va detto che, nell’ambito giurisdizionale della Prelatura, il Prelato possiede una potestà di governo ordinaria — annessa, cioè, all’ufficio di presidenza o di capitalità della Prelatura stessa —, di natura propria, vale a dire non vicaria o esercitata a nome di un altro, come ad esempio accade nelle diverse giurisdizioni ecclesiastiche di missione — Vicariati apostolici, Prefetture apostoliche, ecc. — i cui rispettivi Pastori esercitano la giurisdizione a nome del Sommo Pontefice, come attesta puntualmente il can. 371.
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Il Prelato possiede, dunque, una potestà ordinaria propria nell’ambito della relativa Prelatura personale e nei termini stabiliti per ogni Prelatura dai rispettivi statuti. Secondo tali statuti, il contenuto della potestà potrà variare dall’una all’altra Prelatura, come si dirà subito, ma la natura giuridica della potestà rimarrà in ogni caso la stessa.

Su questa base, e in connessione con la tradizione canonica, un settore della dottrina tiene a precisare che la potestà del Prelato personale, come quella, ad esempio, dell’Ordinario militare, è comunque una potestà “a iure partecipata” (partecipata dall’ufficio primaziale), che va distinta dalla capitalità episcopale strettamente sacramentale, corrispondente solo al vescovo diocesano in riferimento alla Chiesa particolare, in senso teologico rigoroso20 . Una tale peculiarità di queste giurisdizioni personali comporta, infatti, un particolare tipo di relazione teologica con l’ufficio primaziale che il n. 16 della lettera Communionis notio, della Congregazione per la Dottrina della Fede, esprimeva nel 1992 rilevando che, assieme alle Chiese particolari, “esistono istituzioni e comunità stabilite dall’Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano” 21 .

Sarebbe interessante soffermarsi su queste affermazioni del documento citato, ma non è possibile farlo adesso. Dirò soltanto che, in linea con tali osservazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, alcuni autori hanno sostenuto che le Prelature personali — come anche gli Ordinariati militari — sono in realtà strutture teologicamente appartenenti alla Chiesa universale, mentre altri, volendo in fondo manifestare la stessa intuizione, hanno preferito parlare di strutture complementari alle Chiese particolari22 . In un caso e nell’altro, credo, l’intuizione di fondo richiama, da una parte, una distinzione in termini ecclesiologici fra queste realtà e la Chiesa particolare, e, dall’altra, determina un particolare legame teologico delle suddette strutture con il Successore di Pietro e Capo del Collegio episcopale.
Un’altra caratteristica generale della potestà del Prelato deriva dal fatto di incidere su una circoscrizione ecclesiastica di tipo personale. È vero che ogni rapporto di giurisdizione, come evidenzia il can. 136 per la potestà esecutiva, è un rapporto gerarchico tra soggetti che trascende i limiti territoriali; ma, a parte ciò, il fatto di trattarsi di una giurisdizione personale significa anzitutto che non è il territorio, bensì una circostanza o condizione delle persone stesse quella utile a delimitare i soggetti sottoposti alla giurisdizione del Prelato, e quindi la relativa comunità di fedeli. Dovrà trattarsi comunque sempre di una circostanza oggettiva e determinata, poiché altrimenti non sarebbe possibile identificare con certezza le persone sulle quali il Prelato esercita la giurisdizione. Non bisogna dimenticare comunque, e il particolare ci sarà utile tra poco, che nelle circoscrizioni territoriali il fattore territoriale serve solo a delimitare la giurisdizione rispetto ai laici, mentre per i chierici si segue un criterio nettamente diverso.

L’altra conseguenza della natura personale della struttura che ci occupa riguarda il fatto che, in termini di principio, il Prelato non possiede giurisdizione sul territorio che possa contrastare con gli Ordinari locali.
Va anche notato che la natura personale di queste giurisdizioni non significa che non possa rilevarsi in questi casi alcun tipo di giurisdizione territoriale. Per gli Ordinari militari, per esempio, è stata indicata la giurisdizione personale concorrente con quella del Vescovo locale nelle caserme e luoghi propri di culto23 . Analogamente, nel caso delle Prelature personali una determinazione del genere può anche avvenire al momento della loro erezione o successivamente ad essa; ad ogni modo, pare difficile rifiutare canonicamente qualche ambito di giurisdizione territoriale del Pastore personale, per esempio, nella chiesa eretta come chiesa prelatizia, nella sede stessa della Curia, nel proprio seminario, ecc.
Dunque la potestà del Prelato personale è quella dell’Ordinario proprio24 , e, in quanto Ordinario del luogo, avendo presente quanto prima detto, tale condizione risulta chiara in quei concreti posti in cui la Prelatura ha un territorio e in quanto si riferisce alla sua qualifica di Ordinario del luogo di incardinazione25 .

Ci troviamo, pertanto, davanti ad una struttura gerarchica ideata per sovvenire a peculiari bisogni pastorali, in potenza, ben diversi tra loro, con la conseguente necessità di restringere al massimo le caratteristiche comuni e di stabilire un quadro generale elastico che consenta di delineare nei singoli casi ogni Prelatura attraverso gli statuti, modellando in essi le facoltà di ogni ufficio di Prelato secondo le esigenze del caso26 .
Si tenga, infatti, presente che la giurisdizione del Prelato, specie sui fedeli laici, può essere molto diversa nelle Prelature personali e dev’essere ben indicata negli statuti.

3.— L’attuazione della potestà del Prelato riguardo al contenuto e ai vari componenti della Prelatura.

Un’altra questione da considerare all’interno dell’argomento che ci è stato proposto riguarda l’attuazione della potestà del Prelato. L’argomento dev’essere collegato, quanto meno, con due tematiche differenti, che riguardano sia elementi di natura teologica che di ordine tecnico-giuridico: la prima riguarda i contenuti della potestà del Prelato, l’altra concerne piuttosto il genere di rapporto di giurisdizione istaurato nei confronti dei soggetti sottoposti alla giurisdizione del Prelato.
Anche in questo caso è necessario rammentare sin dall’inizio la natura funzionale della figura delle Prelature personali e, conseguentemente, la potenziale diversità tra una Prelatura e l’altra in ciò che concerne il contenuto della potestà del Prelato o il genere di rapporto giurisdizionale di questo con i fedeli che gli vengono affidati; non è lecito nemmeno — l’ho già detto più volte — estendere integralmente ad altre future Prelature l’esperienza giuridica che possediamo limitata alla finora unica Prelatura personale. Saranno in ogni caso — non può essere diversamente — le concrete circostanze pastorali a determinare il modo di configurare ciascuna Prelatura, e l’estensione della giurisdizione da conferire al Prelato.

Nel caso dell’Opus Dei non si pongono questioni di concorrenza con la giurisdizione dei Vescovi diocesani; e per lo stesso motivo sembra abbastanza chiaro che una tale esperienza non potrà essere generalizzata. Pare, invece, ragionevole prevedere che le necessità pastorali che, in futuro, potranno suggerire l’erezione di nuove Prelature personali comportino, abitualmente, la necessità di delineare una partecipazione alla cura pastorale ordinaria dei fedeli assegnati.

Pensando, per esempio, all’eventuale necessità di risolvere per mezzo di Prelature personali problemi di attenzione pastorale di categorie determinate di profughi, di nomadi, di zingari o di emigranti — soprattutto nei casi di emigrazione transitoria in posti senza le adeguate strutture pastorali —, è logico ritenere necessario un’adeguata giurisdizione del Prelato, simile a quella riservata agli Ordinari militari dalla cost. ap. Spirituali militum curae. In ogni caso, dovrà trattarsi sempre di una giurisdizione cumulativa con quella del Vescovo diocesano del luogo, poiché caratteristica comune di tutte le circoscrizioni dette complementari — Prelature personali e Ordinariati militari seguono in questo punto la stessa disciplina — è quella dell’appartenenza simultanea dei fedeli alla giurisdizione personale e a quella territoriale della diocesi.

Ad ogni modo, come accade anche rispetto all’Ordinario militare, la potestà del Prelato personale riguarda comunque i tre ambiti della potestà di governo menzionati dal can. 135, cioè la potestà legislativa — il potere di emanare leggi o decreti generali nelle materie di propria competenza —, la potestà esecutiva e la potestà giudiziale. Concretamente, al tribunale costituito nella Prelatura dell’Opus Dei la Segnatura Apostolica ha attribuito come seconda istanza il Tribunale di appello del Vicariato di Roma, lo stesso che funge da seconda istanza al Tribunale dell’Ordinariato militare per l’Italia27 .

L’altra questione annunziata prima a proposito dell’attuazione della potestà del Prelato riguarda il rapporto giurisdizionale con i soggetti che fanno parte della Prelatura: i fedeli laici incorporati alla Prelatura per convenzione o in altro modo, o i fedeli assegnati alla cura pastorale della Prelatura28 , e il clero incardinato o, eventualmente, non incardinato ma comunque dedicato pastoralmente alla missione della Prelatura.

Come si vede, le situazioni possono essere molto varie, ragione per cui non pare consigliabile stabilire in partenza posizioni innecessariamente rigide e preclusive, semplicemente perché, trattandosi di una istituzione voluta proprio per offrire l’elasticità necessaria per risolvere problemi pastorali svariatamente diversi, risulterebbe ben poco realistico cercare di limitare le possibilità di attuazione di chi ne ha il compito e l’autorità29 .

Tuttavia, una cosa che va necessariamente tenuta in considerazione, e che sembra invece sfuggire ad alcuni autori che si sono occupati dell’argomento, è che il regime giuridico stabilito nella Chiesa per determinare la giurisdizione ecclesiastica rispetto alle diverse categorie di fedeli cristiani — i laici e i chierici, principalmente — è ben diverso, e che una tale diversità non può essere minimamente rilevante — non può assolutamente esserlo — perché si possa parlare di gradi diversi di appartenenza. Tra l’altro, ciò andrebbe direttamente contro quella “vera uguaglianza nella dignità e nell’agire” proclamata dal can. 208, sulle tracce del n. 32 della Cost. dog. Lumen gentium, che rappresenta una delle situazioni giuridiche fondamentali dei battezzati ricordata dal Concilio Vaticano II. Mi spiegherò.

Uno dei punti sostenuti a questo riguardo, sulla base di una lettura del can. 294 non coordinata con i restanti dati che emergono dall’ordinamento canonico, a cominciare dai canoni immediatamente seguenti, è quello dell’appartenenza alla Prelatura personale solo dei chierici, sacerdoti e diaconi, menzionati nel can. 294. I fedeli laici che, per convenzione con la Prelatura, secondo il disposto del can. 296, o in altro modo, vengano a “cooperare organicamente” con essa non verrebbero incorporati — secondo tale tesi — alla Prelatura stessa, ma sarebbero una sorte di ausiliari o coadiutori, secondo un modello di rapporto esterno abbastanza frequente in associazioni di fedeli legati a Istituti di vita consacrata. Ebbene, per quanto riguarda le Prelature personali, una tale impostazione della figura appare assolutamente sbagliata, ignora inoltre la conformazione storica della figura ed è contraddetta dalla stessa, pur ancora limitata, esperienza giuridica.

In termini generali, bisogna tener ben presente, come dico, che il distinto tipo di rapporto giurisdizionale allacciato con i chierici e con i fedeli laici non giustifica minimamente che si possa parlare di una distinta appartenenza30 . Non si può affermare, infatti, che i sacerdoti diocesani appartengono di più alla Chiesa diocesana che i fedeli laici, malgrado effettivamente il vincolo dell’incardinazione rappresenti un rapporto di soggezione gerarchica ben più intenso ed esteso rispetto a quello che lega il fedele laico al proprio Vescovo per il rapporto battesimale attraverso le regole del domicilio.

Nel caso delle Prelature personali — penso che quanto dirò serve in buona parte per le altre circoscrizioni dette complementari — il clero incardinato ai sensi del can. 294 allaccia un rapporto giurisdizionale completo ed esclusivo con la Prelatura stessa, che possiede la stessa intensità ed estensione di quello stabilito da qualunque altro chierico secolare con la propria diocesi e il proprio Vescovo. Non è possibile ai chierici mantenere una doppia incardinazione; l’incardinazione infatti ha sempre uno stesso contenuto giuridico: la identica e totale dipendenza giurisdizionale che ha il chierico incardinato in una diocesi rispetto del Vescovo diocesano la ha il chierico incardinato in una Prelatura rispetto del Prelato.

Nel caso dei fedeli laici è possibile, invece, una doppia appartenenza, come succede anche negli Ordinariati militari. Non si tratta di qualcosa di recente: la possibilità della doppia appartenenza proviene dalla tradizione canonica, come dimostrano le regole del domicilio e del quasi-domilicio presenti nel can. 107. La sola novità, in questo caso, deriva del fatto che l’appartenenza alla seconda giurisdizione non è determinata dal quasi-domicilio, bensì da una circostanza di tipo personale.

Inoltre, mentre le conseguenze giuridiche dell’incardinazione sono uniformemente le stesse in tutti i casi, e lo stesso si può dire della rilevanza giuridica del quasi-domicilio, nella fattispecie delle circoscrizioni complementari — Prelature personali e Ordinariati militari —, invece, gli effetti vengono precisati dai rispettivi statuti. In concreto, il fatto che il vincolo del fedele laico con la Prelatura non sia uguale a quello del chierico, o a quello che lo lega alla diocesi del domicilio, non autorizza a concludere che la loro appartenenza alla Prelatura sia minore di quella dei chierici incardinati o sia inesistente. Una tale tesi sarebbe riduttiva, sia dei postulati di uguaglianza proclamati dalla Lumen gentium e presenti nel Codice, sia della indicazione teologica affidata all’espressione ´cooperatio organica` con cui il n. 10 della stessa costituzione conciliare ha inteso accennare precisamente al rapporto tra sacerdozio regale e sacerdozio ministeriale nell’edificazione della Chiesa, espressione che è significativamente ripresa, appunto, nel can. 296, a proposito dell’incorporazione dei fedeli laici alle Prelature personali.
L’esperienza giuridica dell’unica Prelatura attualmente esistente non lascia dubbi a questo riguardo. Il n. III della Cost. Ap. Ut sit, di erezione della Prelatura dell’Opus Dei, dice senza mezzi termini che “la giurisdizione della Prelatura personale — cioè, la giurisdizione del Prelato — si estende ai chierici in essa incardinati nonché ai laici che si dedicano alle opere apostoliche della stessa Prelatura, limitatamente per questi ultimi all’adempimento dei peculiari obblighi che essi hanno assunto con vincolo giuridico, mediante una convenzione con la Prelatura: gli uni e gli altri, chierici e laici, dipendono dall’autorità del Prelato nello svolgimento dell’opera pastorale della medesima Prelatura, a norma di quanto prescritto nell’articolo precedente”. Non vedo in quale modo sia possibile conciliare questa norma della Costituzione Apostolica con l’idea della non piena appartenenza dei fedeli laici alla Prelatura stessa.
Infine, per quanto in concreto riguarda il caso dell’Opus Dei, il Santo Padre Giovanni Paolo II è stato ben esplicito in più occasioni. Concretamente, nel corso di una udienza concessa nel mese di marzo del 2001 a fedeli dell’Opus Dei provenenti da tutto il mondo radunati a Roma per prendere parte ad un incontro organizzato dalla Prelatura stessa sulla Lettera Novo millennio ineunte, si esprimeva con queste parole: “Siete qui, in rappresentanza delle componenti in cui la Prelatura è organicamente strutturata, cioè dei sacerdoti e dei fedeli laici, uomini e donne, con a capo il proprio Prelato. Questa natura gerarchica dell’Opus Dei, stabilita nella Costituzione Apostolica con la quale ho eretto la Prelatura (cfr. Cost. Ap. Ut sit, 28-XI-82), offre lo spunto per considerazioni pastorali ricche di applicazioni pratiche.
Innanzitutto desidero sottolineare che l’appartenenza dei fedeli laici sia alla propria Chiesa particolare sia alla Prelatura, alla quale sono incorporati, fa sì che la missione peculiare della Prelatura confluisca nell’impegno evangelizzatore di ogni Chiesa particolare, come previde il Concilio Vaticano II nell’auspicare la figura delle Prelature personali”. E proseguiva il Papa: “La convergenza organica di sacerdoti e laici è uno dei terreni privilegiati sui quali prenderà vita e si consoliderà una pastorale improntata a quel ´dinamismo nuovo` (cfr. Lett. ap. Novo millennio ineunte, 15) cui tutti ci sentiamo incoraggiati dopo il Grande Giubileo. In questo contesto va richiamata l’importanza di quella ´spiritualità di comunione` sottolineata dalla Lettera Apostolica (cfr. ivi, 42-43) 31.

Concludo. Ho cercato nel mio intervento di segnalare alcuni rilevanti parametri entro i quali si sviluppa l’esercizio della potestà pastorale di governo nelle Prelature personali, considerate in termini generali. Ho cercato di farlo in riferimento ai principali rilievi che in questi anni sono emersi in dottrina a proposito di questa figura canonica. Sono convinto che, proprio a causa della versatilità che gli statuti concedono alle Prelature personali, esse saranno in futuro uno splendido strumento pastorale al servizio dell’evangelizzazione e dell’apostolato che la Chiesa del XXI secolo richiede. Penso ugualmente, che il crescente progresso in quella comunione, tra fedeli e tra Pastori, su cui insistono ripetutamente i più recenti documenti del Magistero pontificio, servirà a guardare con riconoscimento una siffatta struttura pastorale suggerita dal Concilio Vaticano II che, come tutte le altre, non può avere altro scopo che il servizio alla Chiesa di Cristo.